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della dominazione angioina, spagnuola, borbonica; vago di ammirare i superbi palazzi dei suoi re, e non curante di fracassarsi le membra tra i ciottoli spostati delle sue strade, irrisore del cittadino o del soldato che veste alla buona, ammiratore del birro purché abbia un bel pennacchio al cappello; memore sempre e piagnone della vecchia dinastia che facea tirar sue carrozze da sei cavalli, mentre egli trottava sul somaro, e avviticchiato ancora a un culto che gli accompagnava il Viatico con una fanfara di campanelle, e si espandeva in un alveare di cappelle, illuminate con l’olio negato alle strade, perché chi aspirava al cielo avea il dovere di rompersi il collo per terra.

Io narro, non accuso: i documenti di questa storia non stanno nelle biblioteche, sono viventi a San Carlino. Campano antico e moderno, genio osco personificato, facile e allegro personaggio, sempre docile e preoccupato, pieno di bonarietá e spesso di malizia, doppio a un tempo e semplicione; credulo e furbo, miscuglio di cinismo e di sensibilitá; poltrone e attaccabrighe, custode fido, e, se gli capita, ladro: ma amabile, eguale di umore, ottimista, carezzevole; tale è Pulcinella, anima della scena, idolo della plebe che vi si riconosce. La sciocchezza è il suo fondo, ma egli qualche volta lo sa e la commercia, e sorpreso col vostro taccuino guarderá con faccia di cartapesta, e voi direte: è uno sciocco! Amministratore infelice, vende il suo bosco per far negozio di cenere, evita di pagare il dazio sul macinato comprando pane invece di farina, e cittadino equivoco fará una rivoluzione se si tratta di salvare non la sua libertá, ma il suo stomaco. Non gli domandate ch’entri un poco a veder quel che fa, che rifletta sulle sue condizioni, che cavi una giusta conseguenza: sarebbe Io stesso che far rinculare la Francia dalle petizioni cattoliche al 4 agosto i879.

Non gli domandate una reminiscenza o un’aspirazione; egli pensa solo al presente e se ha mangiato e bevuto rifiuta qualsiasi offerta di guadagno e di lavoro: è il lazzarone che empita la pancia si rannicchia al sole ravvolto nei suoi cenci e c’intima «levati di lá», è il contadino spagnuolo che vedendoti passare gitta la sua zappa e proclama son caballeros.

Pulcinella celia su tutto, fin sulla sventura, e trova le sue orgie anche nel dolore, come questa gente improvvisa religiosamente, il df dei morti, le sue taverne accanto al Camposanto. Gli confidate un segreto? giurerá a sette suggelli e lo pubblicherá dopo sette minuti, perché è pubblicista soprattutto, e meglio che i Fluh, i Crisostomi, gli Analbah, che avendone la natura han temuto assumere il nome di lui, simili agli scrittori che non citan mai quelli, dai quali piú rubano.

Facile ad accendersi, Pulcinella si offre primo a un’impresa; ma se corre rischio la pelle, è il primo a fuggire; vi avverte che si batterá e torna con peste le spalle. E come un capitano siciliano di volontarii al i848, rodomonte in 64° che tuonava: «avanti, la vittora è nostra», e visti i nemici: «chi può salvarsi si salvi». È come i popoli decaduti e corrotti che sudano a fabbricar proclami ed inni di guerra invece di istituzioni e