La piccola Kelidonio/XVII
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Le lettere erotiche e famigliari d'incerto autore alessandrino (1914)
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Cessa dalle nojose importunità che mi irritano. Non è a me, bella di molt’anni sono, ed ora sdrucita carcassa di nave che devi rivolgerti. Vi ha un capraio ispido come la barba del suo becco e libidinoso come una lepre di due anni che può fare al caso tuo. Per conto mio non mi sento d’interrompere la tua giusta vedovanza, e la tua insaziata ingordigia può forse non ributtare quel rustico uomo e melenso ch’io ti propongo. S’egli poi ti rifiuta eccomi ancora a consigliarti per sopra mercato. Se svolti alla casina di Manes, due passi avanti vi è una porta sempre aperta che tien sospesa, ballonzolando all’aria, due sandalacci bulettati e ferrati da legionario, come insegna. Entra in fondo, troverai Bitas seduto al suo deschetto: calvo, piccolo e panciuto, presto di lingua come una calandra di primavera ed artefice diligentissimo. Lo riconoscerai subito perché assomiglia come fico a fico della medesima pianta a Pistos, l’eunuco giuocoliere di Piazza Bianca.
Costui è la tua buona dea Banbô, se a lui come un’altra e sconsolata Demeter ti vorrai presentare: egli saprà come a questa richiamarti il sorriso sulle labra; e fa che non sia una smorfia da spaventarlo. Bitas è amante del bello. Che, del resto, tu sai ciò che Banbò ha recato fuori della sua casa in risposta alle querimonie dolorose della madre per la rubata ed equivoca figlia Persephone, e come la dea delle messi si sia d’un tratto rasserenata.