La piccola Kelidonio/VII
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Le lettere erotiche e famigliari d'incerto autore alessandrino (1914)
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Lascia, ragazza mia, che ti consigli ed anche ti rimproveri un poco. Dove mai ti lasci trasportare? Quando rimetterai senno, ti farai giudiziosa ed ingannerai invece di essere ingannata? Per fortuna che ho previsto in buon’ora; così il tuo male esempio non giunge a guastarmi Kelidonio che volgo per altra strada, e che aveva destinata a tua compagna. Sì che avrei ben messo a profitto e li abiti e le gioiellerie e le grazie ed i profumi di cui vado adornandola! E come quell’usurajo che si fidava del bel volto e del portamento distinto del giovanotto mariuolo, avrei perso e capitale ed interessi.
Che ti ha fatto Seso, tanto gli sei impeciata a’ suoi panni come il catrame di cui spalmerebbe ancora le barche al suo padrone s’egli non avesse cambiato mestiere vivendo da ricco sul provento delle sue grazie ch’egli affitta di tanto in tanto ai filosofi ghiotti di tale pastura e trafficando sui lettucci di tutte le feminette che conosce, con mio danno non lieve? Per lui debbo far maggior lusso in casa, obbligarmi a spese gravi, cercar novizie di qua e di là non badando a viaggi ed a pericoli: le mie pratiche si fanno più esigenti e vogliono spendere meno. Tanto Seso li tira dalla sua parte e col promettere e no eccita loro la cupidigia, e ben caldi al maglio della lussuria, li serve di qualche frusto di danzatrice raccattato fuori nei borghi, spulzellonato più dalla nascita, insipido e rozzo.
Così egli ti ha serbata fingendo gelosia per farti crescer di prezzo, e tu sciocchina che credi al suo amore trangugi tutto quanto egli vuole che tu mangi e patisci per lui. Il tristaccio che se ne è avveduto se ne vale e ti spoglia di quanto tu hai guadagnato prima di farti sciupare dai suoi clienti viziosi.
Come ti contenti per lui d’ogni cosa! Si dice che il panattiere ti sia creditore e che tutto ti perdonerebbe quando lo volessi per una volta sola accontentare, ma che tu lo ricusi e fai la superba. Si dice che chiunque ti venga in casa si meraviglia di vederla vuota e non sa dove mettersi a sedere che hai il lettuccio senza lenzuola e che nell’armadio passeggiano due o tre topolini magri sbadigliando di fame. Tu tiri avanti col far promesse. Lakes, il padron di casa, quando mi vede mi fa li occhiacci perché tu alloggi da lui per mia intromissione ed egli che non vuol frascherie aspetta tutt’ora che tu lo paghi. Non ti vergogni d’uscire per le strade senza orecchini, né armilli, né collane? Quelle due foniche che il mercante Praxia il Chiota ti regalò non fanno quattro mesi, so che Seso ha venduto per lui giuocandosi il denaro sui dadi agitati ch’egli sa ben maneggiare e compone nel rovesciarli a suo favore. E pazienza se quanto guadagna lo godesse con te. Kolonike, Myrrhina, Lampito, Gorgo, tutte le altre dello stuolo leggiero e che non han pel capo le tue fisime gavazzano con lui nelle taverne del porto e ti fan dietro scede e lazzi indecenti.
Or ch’egli è partito col pretesto di una fiera di cavalli portandosi seco quei due polledri bolzi e viziosi che ha con inganno raffazzonati in bella vista, provati a far senza di lui ed a riprendere le antiche abitudini. Non desiderartelo vicino, non fuggire li altri, non rinchiuderti in casa. Guarda come li occhi ti si arrossano a torno alle palpebre, come le labra avvizziscono perché le serri e le medichi per dispetto; lascia le vesticciuole povere e dimesse. Colui che è lontano ha sempre torto, un Seso poi! Lui ti si conserverà fedele! Cerca altro in città, non scarmigliata come una buona donna di prefica e ruvida nel tratto come un caprajo.
La tua mammina mi ti ha raccomandato prima che scendesse all’Hades piangendo e di ben altro augurosa per te. Pensava vederti in fortuna e ricchezza, convitare il meglio della città come quella Guattuna di cui i poeti cantano la bellezza, la grazia e l’abilità; o tanto meno assicurata da solide amicizie rimanertene in casa senza domandare nulla alli stranieri, placidamente, come una giovanetta saggia senza molestar persona. Ti scorgevo così nel desiderio, passeggiare composta e sorridente, nuda sotto le tonachelle trasparenti di Amorgo, ben depilata e profumata per la tua onesta faccenda, sulle gettate del molo, seguita dall’invidia delle compagne. E sì; ora non ecciti loro che compassione.
Nulla di tutto ciò: tu ami mandarti in rovina non solo, ma te ne insuperbisci; Seso sghignazza e fa l’impudente. Fa senno, Akkis, e dammi retta se non vorrai presto pentirti, ascolta la vecchia amica di tua madre la quale ti rimpiange nelle oscure praterie in riva alle Stigie paludi cercando tra il colchico e l’asfodelo sotterraneo la corolla magica del fiore che la ritorni a te viva e proteggente. Rinsensa e lascia quel briccone di giovinastro ai suoi giuochi d’astuzia e di destrezza, ai vecchi filosofi, alle nobiluccie raggrinzite della città alta per cui si presta, pagato ad interrompere l’astinenza dell’abbraccio: pensa sul serio per te.
Noi invecchiamo presto, le rughe ci solcheranno dei loro formidabili geroglifici la fronte e le gote: i capelli incanutiranno, la bocca molle e scolorita lascierà cadere un filo di saliva dalle labra che vuole si serrano sui denti assenti: dove la nostra fierezza? e il nostro insuperbire? I piedi ossuti e rattrappiti calzeranno delle ciabatte logore e cercheranno anche d’estate una marmitta di bronzo piena di bracie per tenersi caldi già che l’Insensibile sta loro presso soffiando coll’alito aspro e gelato.
Akkis, Akkis, riguardati in questo ritratto che mente meno del tuo specchio; se tu vuoi io posso procurarti ogni giorno quanto conviene per il cuore per il sesso e per la borsa. Vi è il vecchio Geron che imiterebbe le prodezze d’Heracles per te; e tu lo fuggi, vi sono mille altri che posso gettarti nelle braccia e tu sai come io sia esperta a braccare e raccogliere questa specie di selvaggina; Akkis adornati, sta sera, di festino e ti aspetto.