La partenza per l'esiglio

latino

Publio Ovidio Nasone I secolo a.C. 1868 Giacomo Zanella Indice:Versi di Giacomo Zanella.djvu Elegie letteratura La partenza per l'esiglio Intestazione 28 dicembre 2011 100% Elegie

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LA PARTENZA PER L'ESIGLIO.

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Elegia III del Libro I dei Tristi

dello Stesso.





 
     Quando alla notte orribile
Io col pensier ritorno,
Che sotto il ciel romuleo
4Fu l’ultimo mio giorno;

     Quando cotante io medito
Dolcezze che lasciai,
Di subitana lagrima
8Molli ancor sento i rai.

     Era il mattin già prossimo;
E per regale editto
Io da’ confini italici
12Uscir dovea proscritto.

     Mente non ebbi e spazio
Di apparecchiarmi: immenso
Sbalordimento all’anima
16Moto avea tolto e senso.

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     Servi e compagno a scegliermi
Stordito io non attesi;
Oro, difesa all’esule,
20E vesti io non mi presi.

     Giacqui percosso, attonito,
Come percosso e domo
Uom giace dalla folgore,
24Tronco vital, non uomo.

     Poi che dal cor le nuvole
Lo stesso duol rimosse,
E vigoria ripresero
28Dell’anima le posse,

     Sorto, l’addio novissimo
Volgo a’ dolenti amici;
Due furon meco; ed erano
32Tanti a’ miei dì felici.

     Alto io piangeva: al trepido
Mio seno la consorte
In disperato spasimo
36Stretta piangea più forte.

     Lungi dal patrio Tevere,
Di mia fortuna amara
Nelle contrade libiche
40Vivea la figlia ignara.

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     Suonano pianti e gemiti;
Gli stessi servi han lutto;
Non ha la casa un angolo
44Che sia di pianto asciutto.

     Di funeral non tacito
Rendea sembianza il loco;
Rendea di Troia immagine,
48Quando fu preda al foco.

     Le voci omai tacevano
De’ cani e delle genti;
Ed alto il cocchio Cinzia
52Reggea pe’ firmamenti.

     Gli occhi levai: sul culmine
Il suo splendor battea
Del Campidoglio: attigue
56Io le mie case avea.

     Numi, sclamai, cui vivere
Potei tanti anni appresso:
Vette tarpee, che scorgere
60Più non mi fia concesso;

     Dei del superbo Lazio
Che abbandonar degg’io,
Miti vi piaccia accogliere
64Dell’esule l’addio.

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     So che lo scudo inutile
Torna a guerrier trafitto;
Pur voi scemate gli odii
68Al misero proscritto.

     Dite al divino Cesare
Come demente errai;
Dite che fui colpevole,
72Non scellerato mai.

     Tutto è a voi noto; il giudice
Pur esso non l’ignori.
Saran, placato Cesare,
76Forse i miei guai minori.

     Tanto io pregai: più fervida
La donna orava, e mozzi
L’erano i preghi assidui
80Da lagrime e singhiozzi.

     Discinta, supplichevole
Si prostra ai Lari, e tocca
Del focolar le ceneri
84Colla tremante bocca;

     Poi sorge, e di rimprovero
Acre i Penati assale,
Rimprovero che gl’invidi
88Fati a stornar non vale.

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     E già rompea l’indugio
La mezzanotte scorsa;
Già volto al lato occiduo
92Era il timon dell’Orsa.

     Che far dovea? Di patria
Mi rattenea l’amore;
Ma noverate ed ultime
96Erano a me quelle ore.

     Se fretta alcun facevami,
Perchè, dicea, mi sproni?
Pensa onde vuoi divellermi,
100Pensa ove andar m’imponi.

     Oh quante volte fingere
Mi piacque un’ora, e dissi:
Gl’istanti ancor non giunsero
104Che alla partenza ho fissi!

     Tre volte vêr la soglia
Mossi: tre volte addietro
Trassimi: il piede e l’animo
108Tenean lo stesso metro.

     Addio, mi udian ripetere,
Dar mi vedean gli amplessi
Ultimi, e tosto riedere
112A’ detti, a’ baci istessi.

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     Dava a’ miei cari i memori
Novissimi precetti;
Poi gli occhi non sapeano
116Torsi dai cari aspetti.

      Perchè, diceva, accelero
Tanto il partir? Si noma
Il mio confin la Scizia;
120Questa che lascio è Roma.

     Viva a me vivo involasi
Impareggiabil moglie;
Il genïal ricovero
124Del padri mi si toglie;

     Tolti mi sono i teneri
Compagni desïati,
Più che Piritoo a Teseo
128A me d’amor legati.

     Pria che il destin ne separi,
Oh, ch’io vi abbracci ancora.
Nobili petti; oh, spendere
132Possa con voi questa ora!

     Diceva; e a lor che stavano
A capo chin piangendo,
Voci alternando e gemiti,
136L’avide braccia io stendo.

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     Mentre favello e lagrimo,
Dalla marina sorto,
Stella fatal, Lucifero
140Alto splendea nell’Orto.

     Mi stacco alfin: nell’impeto
Tutte sentir mi sembra
Dilacerate fendersi
144E sanguinar le membra.

     Allor clamori ed ululi
Suonan pegli ampi tetti;
Percosse palme suonano,
148Suonan percossi petti.

     Stretto mi tien pegli omeri
Furente la consorte,
E detti e pianti mescola
152Sulle contese porte.

     «A me nessun può toglierti;
Insieme, insieme andremo.
Ella dicea; di un esule
156I guai partir non temo.

     Sol non farai di Scizia
L’orribile sentiero;
Alla tua nave io carico
160Aggiungerò leggero.

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     Te l’adirato Cesare
Lungi d’Italia invia;
Sia la pietà, mio Cesare,
164A pormi teco in via.

     Cotal tentava: a smoverla
Erano i preghi vani;
Solo al pensier dell’utile
168Vinte rendea le mani.

     Esco. Io parea cadavere
D’in sulla soglia tolto,
Squallido tutto ed orrido
172Di sparse chiome il volto.

     Mi disser poi ch’esanime,
Vinta d’immenso duolo,
Chiusa in mortal caligine
176Ella cadea sul suolo;

     Che sorta dal deliquio
I rabbuffati crini
Bruttò d’immonda polvere,
180Pianse i suoi rei destini;

     Pianse il deserto talamo
Ed il remoto esiglio,
Di madre in guisa che ardere
184Miri sul rogo il figlio.

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     E che volea, mi dissero,
Correr feroce a morte;
Nè l’arrestò che il provvido
188Pensiero di mia sorte.

     Viva: e se a’ fati infrangere
Piacque di nostra vita
L’unica tela all’esule
192Sia liberal di aita.