La miseria di Napoli/Parte IV - Ancora dei Rimedii/Capitolo VIII. Da una città minima

Parte IV - Ancora dei Rimedii - Capitolo VIII. Da una città minima

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CAPITOLO OTTAVO.

Da una città minima.


Sto correggendo le bozze di stampa di questo piccolo volume in Lendinara, graziosa cittadella lungo l’Adigetto che la divide in due parti, e ove a tutta prima direbbesi l’agiatezza abbastanza diffusa. Difatti, oltre a parecchi ricchi possidenti, pregevoli agricoltori, quasi ognuno ha un campicello. C’è mercato il sabato e un tantino il giovedì; Pretura, un caffè che per ampiezza di edificio si può nominare dopo quello Pedrocchi nel Veneto; una popolazione svegliatissima, arguta e cortese con i forestieri. Sopra seimila abitanti Lendinara diede 150 volontarii per la guerra dell’indipendenza, e una famiglia sola fra le più ricche diede cinque figli sopra sette. Benchè il paese sia puramente agrario, gli artigiani potrebbero passarsela benissimo, se non ci fossero 14 chiese, più di 30 preti, 32 osterie e botteghe di liquori (detti sampagnin o sgagna). I preti hanno organizzato il Circolo Cattolico, a cui va aggiunto un Sotto-Circolo di artigiani, i quali contribuiscono un tanto al mese per Messa ebdomadaría; il resto del loro guadagno, salvo alcune eccezioni, va nelle bettole. Il denaro esaurito, eglino e anche altri estranei al Circolo tornano a casa a battere e maltrattare le mogli, esigendo non solamente che esse [p. 263 modifica]mantengano loro e i figli, ma che li provvedano di denaro per giuoco e sampagnino. E le donne, ammaestrate dal prete a dover sottomettersi a tutte le potestà cominciando da quella di Dio e finendo con quella del marito, o viceversa, tacciono e lavorano. Vanno sempre alla Messa, e sperano una ricompensa delle pene sofferte quaggiù nel regno dei cieli. E intanto cresce una meschina figliuolanza, e ancora i preti non vogliono che la filantropia cittadina supplisca a’ suoi bisogni.

Da poco tempo in qua si è aperto un Asilo infantile con due maestre, gratuito per i poveri. Chi può, paga due lire al mese. I bambini dai tre ai sei anni vanno alle 9 ant. e ci stanno fino alle 5 pom. L’Asilo è stabilito in un bel palazzetto con sufficiente luogo scoperto per gli esercizii ginnastici. I signori del paese donano vino, paste, riso e fagiuoli, affinchè a mezzogiorno tutti mangino una buona minestra, ed è tanto buona, che i signori, che pagano cinque lire al mese, sono contenti che i loro figli se ne cibino.

Ebbene, il Circolo Cattolico e i preti insegnano ai poveri di non mandarvi i loro bambini, perchè andranno all’Inferno.

Alcuni, sedotti più dalla minestra presente che dalla mappa celeste, mandano i bimbi, e il Medico condotto m’assicura che questi furono ricostrutti fisicamente da non riconoscersi più, cotanto sono floridi e vispi e cingallegre. La città spende trentasettemila lire per l’istruzione, e le Scuole elementari hanno cinque classi. Ma si è permesso ai Cavanis (varietà della Compagnia di Gesù) di aprire Scuole elementari [p. 264 modifica]dette paterne, e costoro sono riusciti a portar via dalle Scuole comunali gran parte della scolaresca.

Però un recente divieto del Ministero obbligolli a chiudere le due classi inferiori, che essi nondimeno riapersero, ma che furono chiuse di nuovo con un secondo Decreto, e speriamo per sempre.1

L’influenza del Clero sul contadino e segnata mente sulle contadine manifestasi ancora più deleteria. Qui i braccianti guadagnano da 60 a 80 cent. al giorno, le donne da 40 a 50 cent. Nei giorni di pioggia, nessun guadagno; nei festivi, secondo il Calendario cattolico, i preti proibiscono che lavorino, e guai se lavorano! Adesso abbiamo passate appena le feste di Pasqua, tre feste di seguito. Un uomo che lavora per noi con moglie e tre figli, è venuto di soppiatto a lavorare qualche ora in queste feste e ha ricevuto un bel rimbrotto dai Frati d’un convento chiuso, ma, viceversa, aperto e rigoglioso.

E frati e preti per altro pigliansi da questa povera gente e frumento e frumentone, e noci, e qualche libbra di lino o di canape, e piccioni e polli; e magari dalle femmine all’insaputa dei mariti. E qui ancora raccolgono gli arcipreti e i preti la decima, il cinquantino, il quarantino. E così fieramente il terrore dell’Inferno tiranneggia le donne di servizio, massime le contadine, che nei giorni di magro anche quando devono sobbarcarsi alle fatiche del bucato o pulire il rame, si rifiutano ad ogni cibo non prescritto dalla Chiesa; e nei giorni di digiuno, quasi letteralmente [p. 265 modifica]non mangiano; e non mangiano affatto nelle Quarant’ore, o tutt’al più un pane e un po’ di caffè nero.

E il povero bracciante che suda e nutresi male e dorme peggio e patisce la mal’aria della macerazione della canapa e del lino sotto il cocente sole d’agosto, e non può ripararsi bastevolmente dal freddo all’inverno e finisce all’Ospedale con la pellagra, si consola allo spettacolo della miseria ancor più tragica del prete, che esso prete gli vien tratteggiando con la seguete antitesi: – A vu un bel sardelon, coto in gradela col so ogio; a mi un caponeto coto ne l’acqua con do grani de sale. —

Volli visitare le Opere pie, e per ciò non ebbi mestieri di un ordine del Ministro, avendomene dato permesso il Sindaco e le rispettive Autorità.

Vidi adunque la Casa di ricovero, l’Ospedale civico, e il così detto Monte di pietà; e ogni visita mi ha confermato quanto scrissi sulle Opere pie di Napoli; esser cioè inutile cambiare gl’individui; necessario mutare sistema, perchè, col sistema presente, quello che chiamiamo la ricchezza dei poveri va sperperato in mille modi. Le Istituzioni pie di Lendinara non dipendono dal Comune, benchè pesi sul Sindaco una certa responsabilità senza che siagli riconosciuta ombra di autorità. Difatti i conti di questi Istituti, invece di essere sottoposti al sindacato della Giunta municipale nell’interesse dei poveri e anche nell’interesse dei contribuenti, trasmettonsi direttamente al Prefetto di Rovigo, il quale o perchè non possiede la chiave esplicatrice, o non ha tempo, o si fida, li firma, senza essere in grado di esaminare gli allegati. [p. 266 modifica]

La Casa di ricovero deriva i proprii fondi da lasciti cittadini, e la rendita somma a 117,383 lire. Ho visitato questa Casa, bella e ariosa. Ivi son raccolti i vecchi e le vecchie, più o meno inabili al lavoro, e finora bambini e bambine orfani o abbandonati.

C’è un Direttore nominato a vita e un Amministratore: posti ambedue gratuiti. Ho domandato che mi si favorisse un conto di qualunque anno, e mi fu dato lo specchio generale.

Ebbi poi gli allegati. Non m’assumo di analizzarli tutti. Leggo a caso: Titolo, Spese di campagna:

Entrata L. 34 00
Uscita » 338 36

Eccone i particolari:

Titolo, Spese di campagna:
A Munerato Andrea, per fascine onde costruire una siepe. L. 8. 50
Quaglio Marta, per legna da viti. » 38. 34
Munerato Giovan Battista, per lavori da contadino. (I Trimestre.) » 52. 36
Stocco Giuseppe, per arature. » 35. 00
Toso Domenico, idem. » 6. 00
Munerato Giovan Battista, per lavori da contadino. (II Trimestre.) » 58. 96
Idem, come sopra. (III Trimestre.) » 61. 78
Toso Domenico, per arature. » 17. 50
Munerato Giovan Battista, per lavori da contadino. (IV Trimestre.) » 59. 92
Totale. L. 338. 36

Domandai: Perchè questo podere, la cui rendita non apparisce che in lire 34, non è dato in [p. 267 modifica]affitto, o perchè non vi lavorano i ricoverati abili? Perchè non si fa vangare dalle fanciulle, come vangano le ragazze di campagna della loro stessa età? Queste ragazze che variano dall’età di cinque a ventidue anni, tutte linfatiche, che vanno alla Messa alla mattina, dicono il Rosario tutto il giorno, nessuna delle quali ha passato la terza classe, perchè non sono mandate alle Scuole elementari, ove apprenderebbero a stare al mondo trovandosi al tu per tu con le loro coetanee? O perchè non le fanno lavare, stirare, cucire, apprendere a far le cuoche, affinchè uscendo possano guadagnarsi la vita? Perchè esse e le vecchie abili non fanno tutti gli abiti necessarii per la Casa? Se si guarda la lista del vestiario si vedrà quanto si spende.

Andando alla partita vitto, chi vi capisce qualche cosa?

Per ridurre in salami due maiali grassi si spesero lire 10,50 di budella; lire 61,04 per l’artefice dei salami; e poi tutti i seguenti titoli che cosa significano?

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All’Amministrazione, per rifusione e spese minute. L. 67. 83
Al Direttore dottor Luigi Ganassini, per rifusione e spese minute. » 16. 47
Idem. » 20. 60
A suor Alessandrina Martini, per rifusione e spese. » 7. 22
A Munerato Andrea, per rifusione e spese minute. » 23. 30
A suor Alessandrina, idem. » 5. 60
Al dottor Luigi Ganassini, idem. » 27. 35
All’Amministrazione Pelà, idem. » 57. 99
Al dottor Luigi Ganassini, idem. » 12. 40
Idem. » 19. 05
All’Amministrazione Pelà, idem. » 67. 87
Al dottor Luigi Ganassini, idem. » 25. 89
Idem. » 26. 73
Idem. » 28. 44
Idem. » 28. 96
All’Amministrazione Pelà, idem. » 71. 82
Al dottor Luigi Ganassini, idem. » 28. 10
Idem. » 23. 20
All’Amministrazione Pelà, idem. » 42. 02
Al dottor Luigi Ganassini, idem. » 14. 00
Totale. L. 614. 84


Il rendimento di conti di un Istituto Pio deve mettere ogni persona.in grado di dire: «Tanti sono gl’inquilini, tanti i giorni di presenza di ciascheduno, tanti i sani, tanti gl’infermi, e ognuno costa tanto, Ciò non si può fare di certo nella Casa di ricovero di Lendinara. Notando l’aria malaticcia delle ragazze, mi informai se il Medico condotto ha obbligo di visitare frequentemente questa Casa: mi fu risposto: «Avrebbe obbligo, ma il Direttore, medico egli pure, fa da sè. Epperò per questa Casa di ricovero il Comune paga inutilmente maestri e medici!»

All’Ospedale le cose vanno peggio. Quest’Ospedale non ha che 2000 lire di rendita propria, e ne spende 1300 per Suore di carità!

Non c’è sala per anatomizzare i cadaveri; di fatto la sezione si eseguisce nel cortile, ove si ammazzano i maiali: non c’è sala separata per i malati [p. 269 modifica]da chirurghi e da medici; per il che tutte le operazioni si fanno in presenza dei poveri malati; mentre un’ala intera dello Stabilimento, ben addobbala, appartiene alle Suore di carità.

Or l’Ospedale di Lendinara è il solo per i Comuni del distretto; e per ogni malato questi Comuni pagano lire 1,50 il giorno; lieve cosa in confronto al prezzo dei viveri, ma grave, se ragguagliata al costo delle Suore.

E anche qui il Direttore è a vita: e tempo fa, durante un’inchiesta, tante e tali rivelazioni escirono fuori intorno allo sperpero e alla insipiente amministrazione, che un uguale risultamento in azienda privata avrebbe indotto il proprietario a far tavola rasa di tutti e di tutto.

Ma che! l’Ospedale non è che roba dei poveri. Perciò l’istesso sistema continua; rimangono le stesse Suore, lo stesso Direttore dirige.

Se veniamo al Monte di pietà, mi dichiaro inca pace di decifrare l’abbiccì del suo Regolamento e del suo ordinamento. Una sola cosa parini lampante, ed è: che sarebbe meglio assai per il povero che esso non esistesse. Mercè la cortesia del Direttore ho potuto esaminare il luogo, i pegni, i conti.

Che pegni desolanti! filo, canape in tutti gli stadii; e quando si pensa che quei miseri hanno faticato tutto un anno per avere quel po’ di materiale, e che per mangiare durante l’inverno dovettero privarsene, viene un groppo alla gola. C’è tela fatta, ci sono lenzuola, pentole, utensili di cucina; tutto ciò che rende tollerabile la vita. [p. 270 modifica]

E in che modo questi oggetti sono impiegati? Si porta la roba: lo stimatore, legato da forte cauzione, dà poco e stima poco l’oggetto, perchè, avvenendo che colui che impegna non rinnovi la polizza a tempo, l’oggetto si vende all’asta, e se resta invenduto, egli ne è responsabile.

Ora, il povero non sa leggere: si ricorda della stagione, nella quale ha impegnato, perchè o zappa, o spiga, o spannocchia, o fa le canne, o vendemmia; ma difficilmente fra dodici o venti polizze sa distinguere quale scada, supponiamo, il 20 giugno o il 3 settembre. Il tempo segnato trascorre, il suo rotolo di tela si vende, e probabilmente al tempo della vendita ei ne ha già pagato due volte il valore con gl’interessi pagati!

Io conosco una famiglia di povera gente, che illustra la nessuna pietà e la spietata natura di così fatti Istituti Pii.

Il padre raccoglieva il quarantino per l’arciprete: aveva moglie e tre figlie. Stavano bene, possedevano una piccola casa con orticello; la casa e ogni oggetto contenutovi bruciarono, credesi per vendetta, quindici anni sono.

Nessun Banco o Monte di pietà avrebbe prestato a questi miseri la somma necessaria per rifarsi del danno sofferto, qualche persona caritatevole diede una materassa con lenzuolo.

Il padre discese allo stato di bracciante, le figlie al tempo della sciagura erano nell’infanzia.

Il padre ammalò e morì di pellagra. E tutto ciò che le eredi possedevano, fu impegnato al Monte. [p. 271 modifica]Nessuno le aiutò: queste tre donne debbono vivere sulle proprie braccia, zappando, andando a carriole, facendo tutti i lavori che in altri paesi spettano agli uomini, e guadagnano 40 cent., talvolta 50 cènt. al giorno, e si alimentano fedelmente di polenta e bevono acqua: null’altro. La domenica un zinzino di riso condìto con 10 cent. di sego. Vestono con una pulitezza estrema, sono di un’onestà specchiata. Ebbene, che cosa ha fatto in favor loro il Monte di pietà? Ha succhiato il 6 per cento d’interesse per 10 anni sopra un rotolo di tela di 45 braccia; e l’anno passato, dimenticatesi le misere donne di rinnovare la polizza, quella tela fu venduta, e fra interesse e spese pochi soldi residuarono. Altrettanto accadde di una coperta da letto.

Io esaminai le dodici polizze e le trovai in regola; dicono in testa che entro un anno bisogna rinnovarle; ma non dicono al piede — nel giorno tale — come è prescritto. Domandai alla madre come mai si lasciò ella cogliere all’improvviso. Mi disse d’aver chiesto ad un contadino, che sa leggere e scrivere, se ci fossero scadenze, e colui le rispose di no. Quando dopo la spigolatura andò a rinnovellare la polizza, la vendita era avvenuta.

Ora queste donne, che guadagnano in tutte tre lire 1,20 al giorno, quando non è festa e non piove, e che si mantengono decenti e onorate con quella somma e con gli scarsi incerti della spigolatura e della conocchia, ec., non possiedono in caso di malattia una riserva qualsiasi. Il Comune non le provvede di medicine, e non c’è istituzione alcuna nel paese che porga loro un fil d’aita. Porteranno tuito al Monte, e [p. 272 modifica]consumato che abbiano il ricavato, il Monte venderà ed elleno resteranno senza nulla. Or se le prigioni erano costrutte per i vagabondi e i delinquenti, i Monti erano istituiti per soccorrere l’onesta povertà e la temporanea miseria. — E mancano assolutamente al loro oggetto.

Nè sono questi i soli danni. A Lendinara si prende il ½ per cento ad ogni rinnovamento di polizza o di pegno; laonde un povero costretto ad impegnare e a disimpegnare un istrumento di lavoro o un utensile di cucina mese per mese, finisce per isborsare il 12 per cento.

Quando accade una vendita, bisogna pagare tasse allo Stato, il cursore del Comune, i facchini pel trasporto degli oggetti e colui che registra. E anche tutto questo gravita sul povero consolato da così fatta pietà.

Ho letto il Regolamento, approvato prima dall’Austria, poi dalla provinciale Autorità del Regno; e i Direttori del Monte operarono in piena conformità con esso.

Ma appunto dai regolamenti e dai sistemi dissentiamo. Perchè mai questo stesso Monte, così duro coi poveri, presta con ipoteca parecchie migliaia di lire ai ricchi? E cið per nove anni; mentre dall’altra parte con tanti cenci agglomerati non è nemmeno assicurato contro l’incendio? Assicurato è adunque il capitale dato a mutuo, ma non gli oggetti di pegno. Per il che le proprietarie delle dodici polizze, in caso d’incendio, perderanno filo, tela, lenzuola, tutto: è così gli altri. E poi avvenendo una rottura dell’Adige [p. 273 modifica]soprastante a Lendinara, o un’annata di carestia, come risponderanno i Direttori del Monte alla turba accorsa per prestiti?

Dovranno pur dire: «Amici, il denaro destinato ai vostri bisogni l’abbiamo prestato altrove, e per nove anni non lo possiamo ritirare!»

Parmi provato che nei piccoli come nei grandi centri dell’Italia il povero, oltre che oppresso da tasse e da oneri ingiusti ed iniqui, è anche defraudato di ciò che è suo, e che una vera riforma delle Istituzioni pie implica restituzione. A me sembra necessaria una legge che ridia ai poveri tutto il frutto che con buona amministrazione può essere duplicato di quel miliardo, centonovanta milioni, 932 mila 606 lire, che costituiscono il loro patrimonio. Quando non si vogliono fare le cose giuste, facilmente trovansi le difficoltà: ma con onestà e buon volere l’amministrazione di uno Stato torna quasi facile come quella di un podere. Immaginiamo che il Parlamento voti una legge, assegnando alle Provincie tutte le Opere pie e il rispettivo patrimonio che trovasi entro i limiti di ciascuna Provincia: obbligandole entro un dato tempo e non subito a convertire i beni immobili in rendita; esigendo che tutti i poveri siano divisi in varie categorie; che per vecchi, infermi, orfani, orfane, sordo-muti, ciechi, imbecilli, ci siano separati Stabilimenti, e che i Sindaci e le Giunte municipali di ogni Comune rispondano per quell’Istituto che esiste entro la loro giurisdizione e che dappertutto per una data popolazione ci sia un Ospedale, unica istituzione che, eccettuato le scuole, debba essere d’immediato [p. 274 modifica]accesso ad ogni cittadino; che cosa succederà? Succederà che i rappresentanti del popolo, Sindaci e Giunte, sapranno quale Istituto si convenga al proprio paese. Qui una Colonia agraria; costi una Scuola industriale; là un Brefotrofio per raccogliere momentaneamente i neonati e darli a balia fuori (e questo Istituto avrà necessariamente. ramificazioni dappertutto); in altro luogo un Banco di prestiti e di pegni che non prenderà interesse se non al di sopra di una certa somma; una Banca centrale per la Provincia con agenzie nei rispettivi Comuni; Banchi che piglino il posto dei Monti di pietà, rivolgendoli allo scopo santo originariamente prefisso a questi ultimi; altrove un Istituto per i ciechi, per i sordo-muti, per i vecchi e vecchie infermi, e via discorrendo. Portate le proposte davanti il Consiglio provinciale, ne seguiranno le deliberazioni. Cosi ogni Comune sarà interessato nel buon andamento di tutti gl’Istituti: perchè in ciascheduno si troveranno cittadini suoi, da ciascheduno si spenderà il denaro di tutti per il bene di tutti; e starà a cuore a tutti che questo denaro non si sprechi dovendovi supplire, se sprecato, con tasse. I conti dapprima sottoposti al Sindaco e alla Giunta, l’immediato ente responsabile e autorevole, saranno poi trasmessi al Consiglio provinciale. Mai più allora avverrà che i conti si approvino come presentemente dal solo Prefetto, il quale raramente legge lo specchio generale, e non mai gli allegati; e di solito firma a occhi chiusi, avendo ben altre cose, alle quali attendere.

Nè basta questo sindacato. Il Governo, esecutore delle leggi votate dal Parlamento, ha l’obbligo di [p. 275 modifica]verificarne la generale e rigorosa esecuzione. Epperò o il Ministro dell’Interno o meglio un Collegio speciale, come il Local Government Board, avrà uno Stato Maggiore d’Ispettori e di Medici, che a turno e sempre improvvisi visitino tutti questi Istituti e ne riferiscano al capo, il Presidente del Collegio centrale.

E questi Ispettori, pagati e subordinati al Governo, senza legame o interesse, o influenza di luogo, esporranno gli abusi e le mancanze e i difetti; e il Presidente chiamerà all’ordine i Consigli provinciali e questi i Sindaci; e se ciò non bastasse, invierà Commissarii per rimediarvi con piena potestà e a spese del Comune, cioè dei contribuenti.

Così fatto sistema alleggerirebbe la miseria esistente, la quale i cittadini stessi accerterebbero; preverrebbe la miseria futura e vi provvederebbe educando la nuova generazione, insegnandole arti e mestieri.

Ignoro se il patrimonio presente basterebbe a sollievo di tutti i miseri che, per colpa della società, delle guerre e degli sconvolgimenti politici ed economici, siano incapaci di lavorare per vivere o manchino di lavoro. Se no, bisognerebbe supplirvi con imposte locali, sopprimendo molte sinecure, tassando il superfluo. Ma oggi in Italia non si può negare nè affermare che quel patrimonio basti; tale è la dilapidazione, tanti gl’impiegati oziosi ed inetti che come locuste lo divorano! E qui, torniamo ancora sull’argomento degli amministratori e reggitori di questi Istituti.

Volere o non volere, essi sono in mano dei preti, delle Suore e dei loro partigiani.

Perchè non s’ha a fondare Scuole normali per [p. 276 modifica]istruire le donne italiane così intelligenti, e pietose, e laboriose, a divenire direttrici e amministratrici?

Perchè non una Scuola normale per le infermiere, come ci sono Scuole normali per maestre e per levatrici?

Si otterrebbero così due benefizii: il povero, vecchio, vecchia, orfano e orfana, disgraziato o infermo, avrebbe una persona che ha cuore e senso d’umanità per tutrice: queste donne penserebbero a migliorare il loro stato, ad addolcire le loro sofferenze, non a fare proseliti, sudditi di un Principe straniero e nemico della patria italiana in questo mondo, e abitanti di un mondo ignoto nell’avvenire: queste donne sarebbero tante madri per gli orfani, tante soccorritrici illuminate dei malati e degl’infelici. E per le donne stesse, quale beneficio! Oggi che carriera fanno esse? Quella che non si marita, deve diventare maestra o serva: appena le si permette d’apprendere la telegrafia e si paga il suo lavoro la metà di meno di quello degli uomini, pur confessandolo eseguito altrettanto bene, e, spesso, meglio.

Scuole normali per direttrici di Opere pie per infermiere, per Istituti di sordo-muti e ciechi, ne assicurerebbero il buon andamento, e salverebbero un numero grandissimo di donne dall’unico mestiere, oggi ad esse non contrastato, la prostituzione.

Ci pensi il Governo riparatore, ci pensino i Municipii progressisti, ci pensino tutti e tutte: Monarchici, Unitari, Federalisti! Qui sta uno dei mezzi graduali, effettuabili, evidenti, per gettare le basi di un’Italia libera, florida, potente.


  1. Per Decreto più recente furono chiuse addirittura tutte le classi.