La miseria di Napoli/Parte II - La ricchezza dei poveri/Capitolo VI. Santa Maria succurre miseris

Parte II - La ricchezza dei poveri - Capitolo VI. Santa Maria succurre miseris

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CAPITOLO SESTO.

Santa Maria succurre miseris.


E se un esame dei Luoghi Pii riformati, compatibilmente col foro statuto originale, dimostra che per esser resi utili ai poveri di oggi fa d’uopo la rifabbricazione (instauratio ab imis fundamentis) dalla base, chi può ideare l’impressione di colui che penetrasse in uno di quei ritiri, ove i pretesi diritti del Clero impedirono alle Autorità laiche di metter mano?

La dittatura del Garibaldi avea tolta l’ingerenza del Clero nelle amministrazioni delle Opere pie, e il decreto fu confermato e perfezionato nel 1861, e una legge contrassegnata Mancini, 1861, annullatrice di ogni altra legge in contrario, esentava tutti gli ecclesiastici dagli ufficii che avevano nelle Opere pie. Venne la legge Rattazzi, venne l’energico appello dello Spaventa nel 1864 alle Rappresentanze interessate che rimanevano inerti, seguirono le sue giuste osservazioni sul debito che ha lo Stato di vigilare che per eccessivo ossequio al diritto dei singoli non si disordini il giure pubblico e privato di tutti, massime dove si tratta di perpetuare abusi e pregiudizii di altre età e di altri costumi.

I giornali parlarono, si pubblicarono opuscoli e [p. 117 modifica]memorie, ed il Reale Istituto di Incoraggiamento bandì un concorso per chi avesse presentato Memorie intorno agli Stabilimenti di beneficenza di Napoli, e ai modi di renderli utili alle classi bisognose. Ed i lavori del Turiello, del Dominicucci e del Petroni giudicaronsi eccellenti, e furono nominate Commissioni di inchiesta, e le proposte del Pezzullo veramente pratiche ed effettuabili; e l’opuscolo dello Spinelli rivelava molti abusi, e fra le altre cose il fatto che 54 tra Conservatorii e Ritiri, con un’annua rendita di 716,688 lire, non contenevano che 2669 persone, incluse 487 pigionanti, che il 22 0/0 fu speso in amministrazione e culto, senza le somme legate per messe. Egli ci riveld abusi e disordini di ogni sorta dappertutto, e fece eccellenti proposte; e dopo lui Achille Lazzaro in un grosso libro: Riforma delle Opere Pie, epilogando il detto dai suoi predecessori, mostro l’urgenza di provvedere alla riforma, e il Prefetto ne era convinto, ma interrogatone il Ministero d’allora, questo consigliava lo statu quo, temendo offendere le suore e i preti. E intanto l’Oblatismo, una delle maggiori piaghe, fiorisce invece di spegnersi.

Nel 1865 le oblate erano 1446, e all’ultimo censimento sommavano a 1688. Meno male se rinchiuse in una diecina di ritiri: invece, a dieci, a dodici, a venti, a cento, elleno occuparono i migliori luoghi di Napoli.

Rimasi attonita udendo dall’egregio Delegato, addetto all’Uffizio di sanità, che per le donne determinate di ritirarsi dalla mala vita non vi ha penitenziarii: luoghi in cui la società, che rifiuta di riammetterle [p. 118 modifica]nel suo seno, le provveda almeno di mezzi per procacciarsi onestamente la vita, senza l’obbligo di farsi oblate, o sottoporsi a stenti e disagi, che fan troppo distacco dalla vita fin allora menata. Guardai il libro delle Opere pie della Provincia, e ne trovai undici destinate a questo scopo dai fondatori.

Visitai uno Stabilimento, e vi trovai 120 oblate, suore, monache e pigionanti, con sole 20 orfane, e una scuola esterna; e avendo uno dei Governatori disapprovata una tale visita, mi valsi dell’ordine del cortese comm. Movizzo, che allora faceva le veci del Prefetto dimissionario, e accompagnata da un amico medico napoletano mi presentai alla porta di Sant’Antonio alla Vicaria, detto Sant’Antoniello, o Santa Maria succurre miseris.

Lo scopo antico e odierno di tale istituto è di ricoverare, mantenere ed educare donne pericolanti, donne traviate e pentite della mala vita. Stando fuori della porta, si sente un assordante schiamazzo. Aperta la porta, qualche dozzina di oblate si presentano curiose e pettegole. Domandai della Direttrice. Una rispose: «Malata;» un’altra: «Andata a spasso; una terza: «Col confessore.»

— Si può vedere lo Stabilimento?

— Bisogna chiederne al prete.

— Dove è il prete?

— Assente.

Vidi una tavola coperta di monete di rame, come nella strada della Sezione Mercato, ove i camorristi cambiano in moneta i biglietti del popolino, ritenendosi l’un per cento. Domandai che cosa ciò [p. 119 modifica]significasse. Mi dissero che le povere ragazze tenevano per turno il banco di cambio.

Le donne affermarono che c’erano 137 oblate e qualche pentita. M’importava vedere lo Stabilimento, perchè il Direttore della SS. Annunziata mi aveva detto che vi stavano rinchiuse undici delle sue pecorelle smarrite, e lasciando i nostri biglietti di visita, avvertimmo che si sarebbe ritornati fra poco. Ed infatti tornammo fra un’ora, e ci apri il prete, e ci condusse in una stanza di fuori, ove c’intrattenne a discorrere di antichità e di storia, è malgrado della nostra impazienza ci disse che era affatto senza importanza il visitare lo Stabilimento, che una volta s’era presentato alla porta il Prefetto, e che le oblate avevano rifiutato di lasciarlo entrare, e che questi aveva lodato il rigore della consegna. Si capiva facilmente che egli guadagnava tempo per lasciar preparare per la visita. Finalmente ci accompagno nel cortile, con queste parole: «Ecco, ora avete visto!»

«No, — dicemmo, — vogliamo vedere le inquiline.»

Batti, ribatti, chiamò un’oblata, a cui diè ordine sotto voce. Essa ci accompagno in un’ala dello Stabilimento, e malgrado dei tentativi di mettere un po’ d’ordine, tanto l’amico medico quanto io ci siamo confessati di non aver mai veduto o immaginato un simile luogo. Qua e là c’erano donzelle, che interrogate dissero di essere uscite dall’Annunziata; e queste per lo più facevano guanti. Le stanze per isporcizia, luridezza e fetore vincevano i tugurii dei Cattolici irlandesi, nei quali maiali, asini ed uomini vivono insieme. [p. 120 modifica]

Nessun refettorio; ognuna provvede da sè cogli scarsi centesimi che dà il luogo, e fa cucina da sè in camera da letto.

Nessuna istruzione, nessuna disciplina; c’era una ragazza alienala, c’erano delle malate; impossibile parlare con una delle ragazze, senza che rispondesse un’oblata. In un’ala esalava tale fetore, che l’amico, benchè medico, ed io, abbastanza abituata alla miseria ed alle cose che ne derivano, scappammo a tempo per non isvenire.

Discesi, ritrovammo il prete, che presiedeva alla tavola coperta di rame.

«Avete visto?» ci domandava beffardamente.

«Abbiamo visto,» risposi. Il medico spese qualche parola sullo stato nefando, sulla probabilità che morissero tutte, se ci entrasse il colèra o il tifo, ed il prete sogghignando rispose, che non avevano quattrini nè gente di servizio per la mondizia.

Noi risapemmo poi che quel prete era uno dei fidi dell’Arcivescovo di Napoli.

Tralasciamo di descrivere lo stato degli Stabilimenti diretti «da un ecclesiastico nominato dall’Arcivescovo, dal parroco o dal sacerdote.» Ricordiamo sempre che ove c’è Oblatismo, non c’è nemmeno il voto di castità, che tutte le oblate vanno e vengono e ricevono chi vogliono di fuori, che il grado di libertà di ciascheduna dipende dal più o meno grande favore del prete dominante, e che anche in quegli Istituti, ne’ quali il prete non governi apparentemente, ei vi regna e vi comanda.

E ciò in diretta opposizione delle leggi 61, 62, 64! [p. 121 modifica]

Pensare poi che colla miseria esistente in Napoli, colle difficoltà finanziarie, ond’ha da lottare il presente Municipio di Napoli, ci sono Istituti come:

Santa Maria Antesæcula, che ha la rendita annua di 31,000 lire per mantenere 39 persone, fra cui 28 oblate;

Spirito Santo, con 80,000 lire, per 100 oblate con alunne affidate ad esse;

Santa Maria del Rifugio, con 31,000 lire annue, per 38 oblate e qualche alunna;

Suor Orsola Benincasa, con 100,000 lire, per 30 oblate, 7 educande e 6 converse;

Rosario a Portamedina, con 28,000 lire, per una famiglia di 23 persone, di cui 21 oblate;

Rosario al Largo delle Pigne, con lire 43,000, per una famiglia di 38 persone, fra cui 32 oblate.

Per non tediare il lettore con una lista di cifre, concludiamo col Collegio della SS. Concezione di Monte Calvario, il quale con una rendita di 115,000 lire man tiene solamente 35 oblate. E mentre scriviamo, ci cade sott’occhi la sdegnosa protesta di Tommaso Carlyle, quando un falso sentimentalismo riempiva di vagabondi e di oziosi le Case dette dei Poveri.

Fingendo di essere il capo del Governo, così il Carlyle finisce un discorso: «Agli indigenti e incompetenti schiavi della birra e del diavolo.

» Santo cielo! Ho da spendere otto o nove milioni di lire sterline e da rovinare la moralità della mia popolazione laboriosa, ciò che importa più del danaro, per impedire che la vita si spenga in voi, in voi? Un cattivo servizio vi rendo davvero, come vado [p. 122 modifica]ripetendomi amaramente. Pur troppo davanti all’alto cielo devo registrare questa mia convinzione.

» Io penso che i vecchi Spartani, i quali vi avrebbero ucciso, mostrerebbero più umanità che non faccio io. Più umanità, più virilità, più senso di ciò che la dignità domanda imperiosamente da voi, da me, da tutti. Noi chiamiamo carità, beneficenza e con altri termini questo brutale sistema, e non è che pigrizia, mancanza di cuore, ipocrisia, codardia, bassezza d’animo.

» Venite d’ora innanzi a domandarmi la polenta. La guadagnerete, se vi piace, e sappiate che sotto nessun altro patto ne avrete. Davanti alla terra, al cielo e a Dio creatore, io dichiaro che è uno scandalo di vedere tale vita mantenuta in voi col sudore e col sangue dei vostri fratelli, e se non puossi cangiar registro, la morte è da preferire. Se volete mangiare, lavorate; se devo pescare 10 milioni, voglio essere corrisposto. Lavorate, avrete il salario; rifiutate, evitate la fatica, disubbidite, io vi ammonirò e cercherò: di eccitarvi al ben fare. Se tutto è inutile, vi bastonerò, e se anche così non riescirò, vi fucilerò, e libererò la terra di Dio da esseri simili.

» Dunque, al lavoro tutti, ogni mano al lavoro|»

M’immagino il santo orrore che tale linguaggio desterà in Italia, in cui oggi sembra che la pietà e la commiserazione sia tenuta in serbo per gli oziosi, per i viziosi e per i rei. Quando fu udito in Inghilterra, essa rinnegava il suo più grande scrittore, il suo più originale pensatore. Ma poi s’avvide che egli aveva ragione, e le nuove leggi dei poveri ne sono il benefico risultato.