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IX XI

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X. — In questa parte dice lo conto che la damigella avrebe preso T. molto volentieri, se non fosse ch’ella avea paura del re. E allora disse lo re: «Prendi tosto, figliuola». E allora Belicies si prese suo cuscino. E lo re prese T. e mise mano alla spada e trassela fuori del fodero e disse: «Figliuola, tu hai tuo cugino in parte e io voglio tagliare la testa a T.». E alza la spada per fedire e Belicies disse: «Re, non fedire, ch’io mi pento, ch’io non presi quello ch’io volea». E allora disse lo re: «Quello che tu prendesti, quello avrai». Allora disse la damigella: «Come, re, no lo mi vuogli tu dare?». Ed egli disse che non. Ed allora disse la damigella: «Ora mi donate uno dono, lo quale io vi domanderoe». E lo re disse: «Domanda ciò che tu vuogli, a furi che T.». E ella disse: «Or mi donate la spada con che voi volete uccidere T.». E Io re glile diede. Ed ella prese la spada e puose lo pome in terra e la punta di sopra e puoselasi ritto per me’ il cuore e disse alo re Ferramonte: «O volete voi ch’io m’uccida o voletemi voi rendere T.? ché imprima mi voglio uccidere io medesima, che vedere tagliare la testa a T.». Allora disse lo re: «Com’è questo? E ami tue T. tanto quanto tu dici?». Ed ella disse: «Io l’amo piú che io non foe me né altrui». E allora lo re si glile donoe T. e comandoe che alo cugino dela damigella fosse levata la testa, e fue fatto tutto e ciò che lo re comandoe. E dappoi che T. venne nela sala delo palazzo lá ov’erano li cavalieri, ed allora tutti si rallegrarono di T. ch’iera diliberato. E Governale chiama T. nela camera e disse: «Tu sai lo convenentre ch’è stato intra la figliuola del re Ferramonte e te, e sai ch’ella t’ama di tutto suo cuore, e se tu vuogli istare nela corte del re, si sarae bisogno che tu faccie la volontade dela damigella, se non per altre fiate n’avrai disinore. E imperciò si mi parebe che noi ci partissimo di questo reame, dappoi che Dio t’hae campato sanza [p. 19 modifica]disinore, e andiamone in Cornovaglia alo re Marco ch’è tuo zio, e quivi potrai imprendere tutto ciò ch’apartiene al’ordine dela cavalleria. E non ti dare a conoscere che tu sii suo parente». E T. disse: «Maestro, io sono per fare quello che voi volete». Allora si ne viene Governale e T. davanti alo re e disse: «Istato sono in vostra corte, si come voi sapete, e ora mi conviene tornare in mia terra. E imperciò i’ ti priego che ti piaccia di darmi commiato». E lo re disse: «Di queste parole sono io troppo dolente, né non vorrei che tu ti partisse in neuna maniera. Ma dappoi ch’io veggio lo tuo volere, io si ti doe commiato; ma tu mi dirai cu’ figliuolo tu fosti». E T. disse: «Non mi darete voi commiato s’io non vi dico mio convenentre?». E lo re disse di no. Ed egli disse: «I’ho nome T., e lo re Meliadus si fue mio padre». E lo re Ferramonte disse: «Come? e fostú figliuolo delo re Meliadus de Leonis? Certo, T., bene il mi dovei piú tosto dire tuo convenentre. E imperciò non voglio che tu ti parti di mia corte, ma io ti voglio donare uno dono e voglio che tu si sie segnore delo mio reame a tutto tuo senno e a tua volontade». Molto è dolente lo re F’erramonte perché non hae conosciuto T. per lo tempo passato. Ma T. disse che non rimarebbe per nesuna maniera, e allora lo re con grande dolore si gli diede commiato.