La leggenda di Tristano/LVIII
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LVIII. — A tanto si vennero XII cavalieri al porto e dicono: «Venite in terra, che voi siete tutti pregioni». Ed allora incominciano tutti a piangere, e madonna Isotta piange e dice: «Oi lassa me, T., hami tue menata di mia terra a dovere essere pregionessa?». A tanto dice T.: «Madonna Isotta, io non vi verroe meno e sí vi dico ch’io combatterò dinfino a tanto ch’io avroe dela vita in su questa nave, e dappoi ch’io non potroe piú, Dio vi consiglierae». Ancora dice madonna Isotta a T.: «Or morremo noi in cotale maniera?». E T. dice: «Madonna, io non soe ch’io altro vi ne possa dire, se non infino ched io potroe tenere la spada in pugno non vi verroe meno». A tanto si prendono consiglio che in pregione avranno alcuno rimedio, meglio che lasciarsi tutti uccidere in tale modo. A tanto sí s’arrendono tutti a pregioni e sono messi presso al porto nel castello di Proro. E madonna Isaotta si appiattoe la spada di T. sottosi e tutte l’altre cose fuorono loro tolte. E sono intrati dentro al’antiporto dele mura delo castello e fuerono tutti messi dentro, e tegnono mente per la pregione, ch’iera in mezzo del castello, e veracemente pare loro pessima e ria, sí come pregione che chi vi sarae messo non n’uscirae mai né vivo né morto. La notte istando lá entro e l’altro giorno, passano quella notte con grande doglia, tale come avere potiano. Al matino si vennero due cavalieri a sapere come istessero li pregioni. A tanto si mette innanzi T. e dice ali due cavalieri: «Dovemo noi istare qua dentro sempremai? Potremone noi a termine alcuno uscire o per alcuna aventura?». E li cavalieri dissero: «Sie, in tale maniera, che qui tra voi avesse uno tale cavaliere — lo quale non mi pare vedere quie — ch’egli fosse sí forte che per sua prodezza vincesse lo nostro segnore; e poi fosse la sua donna piú bella che la nostra donna». Allora T. disse: «Qua entro ha uno che arrischierebbe bene la sua persona con quella del vostro segnore, e sí dice che ci hae donna che è piú bella che la vostra donna». E li cavalieri dissero: «E come di tue, cavaliere? e’ non è uomo al mondo che col nostro segnore egli potesse combattere, altri che Lancialotto». E attanto lasciano lo conto e dicono a T. come è quella aventura, in quale modo e perché quello castello iera appellato castello di Proro. Allora cominciano li cavalieri a dire lo fatto a T., e diceano sí come quello signore che mise quello uso in quella isola sí fue giogante ed ebe nome Dialicies, e mise questa usanza perché al tempo che Giuseppe di Brarimattia andava predicando la fede del nostro segnore Gieso Cristo, si venne in questa isola ed aveva la maggiore parte di quella isola tornata ala sua fede. Ed anche di quella andando Gioseppo predicando, con grande populo dirieto, si trovoe in uno diserto una croce iscritta, che dicea sí come Gioseppo dovea venire infino a quello luogo, predicando la fede di Cristo. Allora Dialicies vede che tutta sua gente egli avea perduta in tale maniera, ed egli sí pensoe in che modo egli la potesse ricoverare. Ebe lo soprascritto Dialicies XII figliuoli tutti gioganti e molto begli di loro persone.