La leggenda di Tristano/L
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L. — Ora dice lo conto che T. rendeo cotale ragione a Governale e dissegli: «Maestro, io ho inteso che l’usanza deli cavalieri erranti è cotale, che ciascheduno cavaliere si gli puote appellare di battaglia. E dappoi che noi saremo fuori deio castello e io appelleroe lo cavaliere ala battaglia». E Governale disse: «Di queste cose mi chiamo io bene contento». E allora cavalca T. inverso lo castello e venne ad albergare con una dama, la quale dama non avea marito, ma avea uno suo figliuolo ch’iera molto pro damigello. E T. quando fue disarmato, e lo damigello lo volle conosciere e disse: «Cavaliere, foste voi anche in Irlanda?». E T. disse di no. E lo damigello gli disse: «Per mia fé, voi v’assomigliate pur ad uno cavaliere, lo quale vinse lo torneamento in Irlanda e sconfisse Pallamides lo buono cavaliere, e fece lo giorno tanto d’arme, che bene si dee ricordare per ogne valentre cavaliere. Lo quale cavaliere tornava nela corte delo re Languis». E T. rispuose e disse: «Io non sono desso, quello cavaliere che tu dii, ma bene vorrei essere rinominato di tanta prodezza quanto egli». E lo damigello gli disse: «Voi vi somigliate a quello cavaliere ch’io dico». E tanto si finano loro parlamento, e lo damigello fae servire T. di tutto ciò ch’egli ha bisogno. E alo matino sí si leva T. e prende sue arme e vassine a una cappella a udire la messa, e dappoi ch’ebe udita la messa, si montoe a cavallo e uscio fuori delo castello e incominciò a cavalcare molto fortemente. E cavalcando in tale maniera, giunse lo cavaliere in uno molto bello prato, e la notte iera nevicato. E T. gridoe lo cavaliere e dissegli: «Cavaliere, guardati da me, ch’io ti disfido». E lo cavaliere, quando intese ch’iera appellato di battaglia, volsesi inverso T., e ciascheduno incomincia a dare del campo l’uno all’altro e ambodue abassano le lancie e vegnonsi a fedire l’uno l’altro, sí che ciascheduno ruppe la sua lancia, perché lo colpo fue grande sí che ambo [due li cavalli] deli cavalieri caddero in terra, sí che ambodue li cavalieri rimasero ritti in piede sanza cadere in terra. E incontanente ambidue sí misero mano ale spade e viene l’uno inverso l’altro e cominciasi a ferire e a dare di grandi colpi sopra gli scudi, sí che ciascheduno si maraviglia dela forza del suo compagnone. Sí che tanto combattono insieme ch’ebero bisogno di riposarsi, e dappoi che fuerono riposati, si ricominciarono insieme lo secondo assalto. Ma sí come li colpi e l’aventure vanno, bisogno è che lo piú forte vinca e lo meno possente si perda, cosí addiviene a Blanore, lo quale non è né dela forza né della vista di T.; e dice infra se istesso: «I’ hoe combattuto con Lancialotto del Lago, mio frate, e con altri cavalieri, ma io unqua sí grandi colpi non soffersi, sí com’io ora soffero, e veggio bene che alo diretano dela battaglia non potrò sofferire con lui». E allora sí si trasse indietro Blanore e disse: «Cavaliere, tanto mi sono combattuto con voi, ch’io veggio bene che voi siete lo migliore cavaliere ched io unquanche trovasse. E imperciò vorrei sapere lo vostro nome ed io vi diroe imprimeramente lo mio nome; imperciò che s’io vinco la battaglia, si saproe cu’ io vinco, e se voi vincete me, si saprete cu’ voi avrete vinto». E allora disse T.: «Ditemi lo vostro nome». Ed egli disse: «I’ ho nome Blanore». E egli disse: «I’ ho nome T., per cui mano tu dei [morire». E Blanore disse: «Questa battaglia è] rimasa intra voi e me, imperciò ch’io non conibatteroe piú con voi, ch’io abo tanto udito nominare voi di prodezza [e] di cortesia, ch’io vi lascieroe questa battaglia». — «E dunque» disse T. «mi renderete voi la damigella dell’Agua dela Spina? E se voi no la mi volete rendere, io v’apello ala battaglia.» Allora disse Blanore: «T., io ti faroe tanto per onore di cavalleria, che la damigella vegna intra noi due, e quello che a lei piacerae piú, quello possa prendere». Allora disse T.: «Questo mi piace assai». Allora venne la damigella intra ambodue li cavalieri e disse: «T., assai t’amai di buono cuore, piú ched io non feci neuno cavalieri. Ma considerando che tu mi lasciasti menare ad uno cavaliere e non mi socoresti, e imperciò è questa la cagione ch’io n’anderoe con questo cavaliere, e con voi giamai non debo venire». Quando T. intese queste parole, sí si partío dalo cavaliere con grande dolore.