La leggenda di Tristano/CXCVI
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CXCVI. — A tanto dice lo conto, che quando T. intese queste parole fue molto allegro, e disse: «Questo farò io volentieri». E a tanto T. si tornò inverso lo re Artú e guarda, e vide sí come lo re avea morta la damiscella. Ed allora sí ne fue molto doloroso, e maravigliavasi molto sí come lo re avea morta la damiscella, imperciò che a lui sí era aviso che non si convenia a lui né a neuno re, che dovesse tagliare testa a una damiscella. Ma tutta fiata non disse neente a quello punto. E istando in questa maniera, e lo re Artue disse: «Cavaliere, io vi priego che voi dobiate cavalcare per la foresta per lo mio cavallo, imperciò ch’io sí mi vorrei partire di quie, imperciò ch’a me tarda troppo ch’io sia nelo reame di Longres, ch’io possa vedere la reina Ginevra e tutti li compagnoni dela Tavola». Ma quando T. intese queste parole, disse: «Certo questo farò io volontieri». E incontanente incominciò a cavalcare per lo diserto, e tanto andoe cercando in qua e in lae ch’egli trovoe lo cavallo delo re Artú in una grande foresta, molto profonda. E quando T. lo vide, preselo e menollo davanti alo ree. Ma quando lo re vide lo suo cavallo, fue molto allegro, e incontanente montò a cavallo e sí incominciò a cavalcare molto tostamente, e sí prese lo camino per andare alla magione delo forestiero, ch’egli lo conoscea bene. Imperciò voglio che voi sappiate, che lo re Arturi credea che T. sí fosse alcuno cavaliere, lo quale fosse deli compagnoni dela Tavola, per la grande prodezza la quale egli avea fatta deli iiij cavalieri. E imperciò voglio che voi sappiate, che que’ cavalieri erano cuscini dela damiscella, ed egli erano molto pro cavalieri d’arme e molte aventure aviano menate a fine per la loro prodezza. A tanto lascio ora lo conto di parlare di questa aventura, e diviseremo d’un’altra madera.