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CXCIV CXCVI

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CXCV. — A tanto dice lo conto, che quando T. ebe veduti li cavalieri, che detti sono, incontanente broccia lo cavallo e imbraccioe lo scudo e prese la lancia e andò inverso lo cavaliere, lo quale iera a cavallo, e ferilo sopra lo scudo e diedegli sí grande colpo che lo mise a terra del cavallo morto. E appresso sí mise mano ala spada e smontoe da cavallo e imbraccioe lo scudo, e ferio uno degli altri cavalieri, li quali teniano lo re Artu, e diedegli sopra la spalla sinestra sí grande colpo, che tutto lo braccio gli taglioe, e cadde a terra. Ed appresso sí ferío al’altro sopra l’elmo e la cuffia del ferro, e misegli la spada nel capo e abattelo morto incontanente. E quand’egli ebe fatti questi tre colpi, ed egli sí ferío all’altro cavaliere, ch’iera campato e volea fuggire; e T. sí gli si paroe dinanzi e ferilo dela spada sopra lo scudo e diedegli sí grande colpo che gli passoe lo scudo e l’asbergo e misegli la spada nel capo; e lo cavaliere sentendo lo grande colpo e lo grande dolore, cade morto incontanente. E quando T. ebe morti li iiij cavalieri, sí come detto è, e la damiscella la quale avea tenuto lo re Artú in terra, vedendo ella sí come lo re Artu iera diliverato e come li iiij cavalieri ierano morti, incontanente fuggío per tornare alo palagio. Ma la damiscella