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CLXXXIX CXCI

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CXC. — Ora dice lo conto, che quando T. intese queste parole fue molto allegro, quand’egli avea uduto dire, per quella cosa ch’egli piú amava, che dovesse dire lo suo nome. Ed allora incontanente T. sí disse loro lo suo nome per quella parola. E istando per uno poco, disse: «Cavalieri, dappoi che voi siete disiderosi di sapere lo mio nome, ora sappiate che io abo nome T. di Cornovaglia». E quando li due cavalieri ebero intese queste parole, fuerono tanto allegri, che neuno altro fue piú di loro, e incontanente risposero e dissero: «Cavaliere, noi siemo molto allegri, quando noi v’abbiamo trovato in queste parte. Onde noi vi preghiamo che voi piaccia di lasciarci venire con voi in questa aventura». E Gariet sí disse: «Cavaliere, io vi dico che per mia fé a me rimembrava bene che io v’avesse veduto per piú fiate, ma [p. 245 modifica] me non sovenia di vostro nome; perché alcuno tempo è ch’io vi vidi in Irlanda ala corte delo re Languis, e questo fue al tempo che voi vinceste lo torneamento del re di Scozia e di Pallamides. E imperciò sí vi preghiamo che voi sí ne dobiate perdonare le parole, che noi dicemmo di voi ala magione delo forestiero». E dicendo queste parole, ed eglino smontarono da cavallo e incominciarono a pregare monsignor T., che per su’ onore egli sí dovesse loro perdonare. E quando T. intese queste parole, ebe molto grande dolore, e disse: «Per mia fé, cavalieri, voi fate a me troppo grande onta, quando voi ismontate da cavallo. E imperciò vi priego che voi sí dobbiate perdonare a me, imperciò ch’io v’hoe piú offeso a voi che voi non avete a me. E a tanto v’acomando a Dio, imperciò ch’io non voglio piú compagnia a questa fiata». E incominciò a cavalcare molto tostamente e andò a sua via.