La leggenda di Tristano/CCXXXVII

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CCXXXVII. — Quando T. vede apertamente ch’elli è a fine venuto, elli non puote piú durare, elli riguarda tutto intorno di sé e disse: «Signori, io muoio, io non posso piú durare. La morte mi tiene giá al cuore, che non mi lassa piú vivere. A Dio siate voi tutti racomandati». Quando elli ha dette tutte queste parole, «ai, Y., ora m’abracciate, sí ch’io finisca in vostre braccia; sí finerò ad agio, ciò m’è aviso». Y. si china sopra T. e, quando ella intende queste parole, ella s’abassa sopra suo petto, e T. la prende in sue braccia; [p. 290 modifica] e quando elli la tiene in tale maniera sopra lo suo petto, elli disse sí alti che tutti quelli di lá entro lo ’ntesero bene, e disse: «Oramai non mi caglia quandunque io morrò, da poi che io abbo mia dolce dama meco». E allora si stende la reina supra lo suo petto, e elli sí strinse di tanta forza com’elli avea, sí ch’elli le fece lo cuore partire. Ed elli medesimo moríe a quello punto; sí che a braccia a braccia e a bocca a bocca morirono li due pazienti amanti. E dimorarono in tale maniera abracciati, tanto che tutti quelli di lá entro credeano che fussero tramortiti ambendue per amore. Altro riconforto non v’hae.