La grotta del monte Ginguno detta di Frasassi - Canto
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LA GROTTA
DEL MONTE GINGUNO
DETTA DI FRASASSI
CANTO
AL CONTE
Dott. CESARE BRUSCHETTI
CAMERTE
PER ALTE DOTI DI MENTE E DI CUORE
DA TUTTI PREGIATO
QUESTO CANTO
SUL MONTE GINGUNO
A RICORDO DI SALDA AMICIZIA
OFFRE
VINCENZO ROTONDO
DA FABRIANO
Ancona 1873 Tip. del Commercio.
Una Gita al Monte Ginguno
CANTO
M’è dolce rimembrare il dì sereno,
Quando tocche dal Sole
Nell’annual suo giro
Del celeste Lïon le case ardenti, 1
N’andai fra stuol d’amici
Verso il Ginguno, dove
Per valli e per pendici
Nobil disio ne muove
Romper de’ prischi tempi l’alta notte,
E lampi trarre di saper novello
Da inesplorate grotte.
Sorta non era ancor nell’Oriente
La foriera del Sol ultima stella,
Allor che vôlto il tergo al fabbril Giano 2
A nostra meta il piè lieti movemmo:
Dopo brev’ora l’appennine vette,
Che scolte immote guardano la valle,
Apparian coronate
D’aureola luminosa
Leggera e vaporosa,
E suffuse di tinte bianco-aurate:
Era l’Astro sovran della natura,
Dator di luce e vita,
Che dall’altro emisfero
Sollevava la fronte igneocrinita.
Si scorse allor la bipartita cima
Del roccioso Ginguno,
E udissi il sordo fremito
Del rapido Sentin, che il piè ne lambe,
E per l’aperto fianco oltre trascorre.
Sorretti ad uno ad un da strenua guida
Varcammo il guado, e per l’erta montana
Salimmo alla caverna,
Che di Frasassi il nostro volgo appella.
Un manipol d’arditi Bersaglieri,
Che sull’ali del vento
Sembran volar leggieri,
Eraci scorta su quell’erto calle:
Là giunti, a ristorar la stanca lena
Sostammo alquanto: quindi ognun si volse
Dell’ermo loco a contemplar la scena.
Oh natura, natura!
Meravigliose ognor son l’opre tue:
Con mano onnipossente
Scuoti talor la terra, e gli elementi
Scompagini e confondi, e poi ne traggi
Nuova e più bella forma,
Che nell’orrido ancor sublime e sempre.
E qui di tua possanza
Più vasta orma segnavi, allor che il monte
Dall’ime fondamenta in due partito,
Giù del Sentino all’onda,
In vasto Lago accolta,
Un varco aprivi vér l’adriaca sponda. 3
Come Giganti minacciosi e pronti
A tremenda battaglia,
Stansi di fronte le squarciate moli;
Nel sottoposto abisso
Guizza il torrente e rugge, e i sassi fiede
Qual volubil colubro,
Che morde irato de’ Giganti il piede.
In un de’ lati maestoso incavo
Asilo porge al viatore; e copre
Sotto la volta di sporgenti massi
Un bel delubro in bianca pietra eretto
Alla Diva di Nazzaret: 4 un fonte
Di fresca e limpid’acqua,
D’edera sempre verde intorno cinta,
Sorge là presso silenzioso: in fondo
Della grande caverna,
Di retro al Tempio ascoso,
Si scorge l’antro cupo e misterioso.
Oh tranquilli recessi, ove non giunge
Di cittadine gare eco funesta!....
E ignota è l’empia guerra,
In cui prepuote ognora
L’astuto e il forte, ed il pusillo atterra!....
Cari e beati luoghi! io là vivrei,
Lunge dalle malnate ire caine,
Ond‘ è cosperso di mortal veleno
Il social convito: aura più pura
A larghi sorsi ivi berrei; felice
Nell’esser mondo da civil sozzura.
Ma che.... l’alma delira!
Invan m’assali tu malinconia!
Perdona, o Musa, e fa che la tua lira
A miei pensier risponda, e di te sempre
Degne parole tempre:
In quest’ardua battaglia,
Che vita, o mondo social si noma,
O prosperosa sia la sorte o avversa,
Serena o fossa l’etra,
Alla grand’opra ognun ponga sua pietra.
Ben ti ricorda o Vate che il Cenobio
Fu per Color, che l’ozio fecer santo!....
Bandito fia da te cotal pensiero,
Né un solo istante nel tuo petto alberghi,
E torna al tuo sentiero.
Parmi veder come ciascuno all’opra
Intento fusse, e chi da Pilla 5 apprese
Amor per l’alta scienza, e chi di Flora
I misteri penètra e li disvela; 6
Ed un Levita, 7 ch’agli studi intende
Onde salì la fama di Buchero, 8
Rara e laudabil cosa,
Mentre la irride e la condanna il Clero.
Allor quel suolo che all’età primiera
Il pensier ne riporta,
A scavar cominciossi,
Nel limitar dell’antro:
Quando dal dotto stuol sorge una voce 9
Ch’a mirar ne chiamava
Le sollevate zolle: a quell’invito
Ratti movemmo ove s‘apria lo scavo,
E d’alta meraviglia
Ognun compreso, inarca allor le ciglia:
Quante vedemmo inver cose stupende!
E piromaca silice ed avanzi
Dell’arte prisca figulina, ed ossa
E d’uomini e di belve
Insiem tutto frammisto entro la fossa.
Quanta di lunghi secoli catena
Si svolse mai, da che quelle reliquie
Giaccion quivi sepolte?
Ci rivolgemmo allor con questi accenti
A color, che per scienza eran veggenti;
Ed essi tosto: in quelle
Noi venerar dobbiam di prische genti
Prezïose memorie,
Vetuste sì, che d’esse
Traccia non avvi nell’antiche istorie.
Paghi di tanto, ognun vaghezza colse
D’esplorar la caverna, e di tentarne
L’inaccesse latèbre, e là movemmo.
Immensa volta, e d’ogni luce muta
S’erge sul capo, né lassù penètra
Chiaror d’ardenti faci;
Perdonsi i sguardi audaci
Nel misterioso spazio, e sol vi scorgi
Il luccicar di vaghe stalattiti,
Che in mille forme e mille,
Allo splendor de’ lumi
Rassembrano mandar lampi e faville.
Varcato il primo speco, un pauroso
Laberinto di grotte
S’apre dinanzi: il calle ora s’adima
Vêr la base del monte,
Ed ora invêr la cima
Ripido sale; giù dall’alto stillano
L’acque sottili, e rendono
Malagevole e lubrica la via:
Un infinito stuolo,
D’immonde strigi, e di notturni augelli
Ivi ha sicura stanza,
L’aer fetido e grave
Fende con moto turbinoso, quasi
Cacciar s’attenti fuore
L’audace esploratore.
Per breve tratto angusti
Sono talor gli spechi,
Talor s’ergono arditi
In cavernose volte, e d’improvviso
S’allargan quali grandïose sale;
Tal ch’opra d’uomo e non della natura
Appare sì mirabile fattura.
Ma la via faticosa, ed il terrore
Che l’uom sempre comprende
Allor che giù discende
In quei recessi tenebrosi, arcani,
Ci consigliaro a ricalcar nostr’orme,
Ché ci tardava rivedere il Sole:
Così ne fu rivolto il nostro passo,
Chè ognuno era già lasso.
«Salve si disse al monte e a quelle valli»
Alma mia Terra, che dall’Alpi al Jonio
Il piè distendi, e cui benigno il Sole
Con eterno sorriso allieta e avviva,
Apri il tuo sen, discopri
Dalla vetusta polve ond’è sepolta
Ogni memoria delle prische genti;
Nella profonda notte
De’ secoli remoti,
Sii tu Faro novello,
E pagìna immortal scriva l’Istoria:
Stupiti gli stranieri,
A Te diranno allora;
La nuova scienza dell’Italia e gloria.
Note
- ↑ La esplorazione alle grotte del Ginguno ebbe luogo nel giorno 22 Luglio 1872
- ↑ La città di Fabriano attraversata dal fiume Giano è rinomata per le sue industrie manifatturiere.
- ↑ Il distinto geologo Cav. Prof. Francesco Ing. De Bosis di Ancona, che prese parte alla gita, inseriva nella Rivista Marchigiana del 1 Agosto 1872 un dotto articolo intitolato la Caverna ossifera di Frasassi, in cui pronuncia una opinione molto scientificamente probabile sulle cause della fenditura del monte Ginguno.
- ↑ La piccola Statua della Madonna, in marmo di Carrara, collocata sull’altare del Tempio ivi eretto, è opera della Scuola di Canova.
- ↑ Fu Pilla celebre geologo e Prof. in Pisa, nacque il 20 Ottobre 1805 a Venafro, in Terra di Lavoro: rimase ucciso il 29 Maggio 1848 alla battaglia di Curtatone in Toscana; quanto egli amasse l‘Italia, ben lo provò essendo morto per essa gridando - Viva l’Italia!
- ↑ Il valente Prof. Luigi Paolucci di Ancona si riserbò di portare le sue investigazioni sulla Flora di quel monte.
- ↑ Il Dr D. Aurelio Can. Zonghi Fabrianese, distinto cultore di scienze ecclesiastiche ed archeologiche e biblotecario Comunale, è autore di una applaudita memoria sulle scoperte preistoriche del monte Ginguno.
- ↑ Boucher de Perthes, fondatore della nuova scienza paleoetnologica.
- ↑ Fra i cultori degli studi preistorici, che formavano parte di quella comitiva, primeggia il nome del Chiarissimo archeologo Prof. Cav. Luigi Pigorini, direttore del Museo d'antichità in Parma.