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Un infinito stuolo,
D’immonde strigi, e di notturni augelli
Ivi ha sicura stanza,
L’aer fetido e grave
Fende con moto turbinoso, quasi
Cacciar s’attenti fuore
L’audace esploratore.
Per breve tratto angusti
Sono talor gli spechi,
Talor s’ergono arditi
In cavernose volte, e d’improvviso
S’allargan quali grandïose sale;
Tal ch’opra d’uomo e non della natura
Appare sì mirabile fattura.
Ma la via faticosa, ed il terrore
Che l’uom sempre comprende
Allor che giù discende
In quei recessi tenebrosi, arcani,
Ci consigliaro a ricalcar nostr’orme,
Ché ci tardava rivedere il Sole:
Così ne fu rivolto il nostro passo,
Chè ognuno era già lasso.
«Salve si disse al monte e a quelle valli»
Alma mia Terra, che dall’Alpi al Jonio
Il piè distendi, e cui benigno il Sole
Con eterno sorriso allieta e avviva,
Apri il tuo sen, discopri
Dalla vetusta polve ond’è sepolta
Ogni memoria delle prische genti;
Nella profonda notte
De’ secoli remoti,
Sii tu Faro novello,
E pagìna immortal scriva l’Istoria:
Stupiti gli stranieri,
A Te diranno allora;
La nuova scienza dell’Italia e gloria.