La fuga di Papa Pio IX a Gaeta/Capitolo XXIV

Capitolo XXIV

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XXIV.


Era in domenica il 26 novembre. Alzatici di buon’ora eravamo andati a sentire la santa messa alle ore sei nella chiesa della SS. Annunziata. Soltanto il Papa era rimasto all’albergo col padre Liebl, poiché non credevamo conveniente che egli si facesse vedere in pubblico. Mentre eravamo ancora in chiesa, venne da noi il capitano Rodriguez, quell’istesso che era venuto farci visita nel giorno antecedente col giudice, per annunciare al cav. d’Arnao, che passava ancora per l’inviato bavarese, che l’ambasciatore francese era venuto nella notte da Civitavecchia sopra un vapore, e che desiderava parlargli. Questi si recò coll’ufficiale nel battello: era il Ténare che aveva a bordo il seguito e gli effetti del Papa. Appena erano arrivati che l’ambasciatore, ignorando lo scambio dei passaporti e il viaggio del conte a Napoli, in presenza del generale Cross, pure accorso, nominò il cav. d’Arnao per il proprio nome. Vedendo questi lo stupore e l’improvviso turbamento del comandante gli si avvicinò, e gli chiese scusa se erasi presentato a lui col passaporto dell’inviato bavarese, avendo questi dovuto continuare il suo viaggio con una missione pontificia a Napoli, ed essendo stato necessario il cambiamento del passaporto onde ottenere l’ammessione in Gaeta per la sua famiglia, rimasta indietro. Il generale domandò allora se la donna fosse realmente la contessa Spaur, e avendo ottenuto una risposta affermativa, vennero entrambi all’albergo, ove io era nel frattempo ritornata col cardinale e con mio figlio. Noi [p. 33 modifica]accettammo allora l’invito cortese di prendere il cioccolatte nella sua abitazione, e tutti ci recammo alla medesima, che era situala in uno dei piani inferiori del palazzo reale. Si diede ad un servo l’incarico di recare tutto quello che occorreva per la colazione, che il generale voleva preparare egli stesso, e frattanto egli approfittò dell’intervallo per fare molle domande sulle cose di Roma, e sull’incarico di mio marito. Avendo potuto in qualche modo arguire dalle nostre risposte che il Papa sarebbe venuto egli medesimo nella fortezza, si affrettò di condurci dappertutto intorno nella casa per far vedere che S. Santità non vi sarebbe stata tanto male alloggiata. Ritornammo poi nel suo appartamento ed egli incominciò a servire il cioccolatte, quando arrivarono uno subito dopo l’altro tre messi. L’uno annunciava che si vedevano in mare bastimenti colla bandiera reale; l’altro che vi erano truppe a bordo; il terzo finalmente che vi doveva essere un membro della famiglia reale. Bisognava vedere lo stupore del buon generale, cui dalla sera precedente in poi erano sopravvenute tante cose inaspettate, e che nella confusione domandava ora di qua, ora di là: Cosa significa questo? Perchè questa truppa che io non ho domandato? Chi può essere il personaggio della famiglia reale? Era ancora occupato di queste ed altre domande, quando un uffiziale venne ad avvisarlo che arrivava il re medesimo. A questo annunzio il generale lasciò il cioccolatte a chi ne aveva voglia, e se ne andò in fretta per essere presente allo sbarco del suo sovrano. Tutto ciò succedeva con maggior rapidità di quello che io posso narrarlo.