La fuga di Papa Pio IX a Gaeta/Capitolo XIX
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XIX.
Non molto tempo dopo, verso le ore due dopo mezzogiorno, abbandonammo l’albergo e prendemmo posto in due di quelle miserabili incomode vetture, che vi sono sempre colà a disposizione. Nell’una entrò il Papa, il padre Liebl ed io, nell’altra il cardinale, il cav. d’Arnao, mio figlio e la mia cameriera, che ci aveva seguiti fin qui in una delle nostre carrozze. Con questo treno ci avvicinammo alla fortezza di Gaeta ove il Santo Padre aveva deciso di ritirarsi per essere meno osservato.
Giunti alla porta, avendoci gli uffiziali della guarnigione domandati i passaporti, consegnammo loro quello che ci aveva lasciato mio marito. Ma siccome ci venne ingiunto che uno di noi si recasse dal comandante, andarono il cardinale e il cav. d’Arnao, e presentaronsi allo stesso, dopochè noi eravamo discesi in un piccolo e modestissimo albergo che in causa di un piccolo giardino attiguo si chiamava il Giardinetto.
Il comandante era un vecchio uffiziale svizzero, generale Gross. Scorgendo egli dal passaporto che era giunto a Gaeta il rappresentante di uno Stato tedesco, diresse ai due che entrarono il discorso in lingua tedesca. Lo Spagnuolo e l’Italiano rimasero muti nell’udire gli insoliti accenti. Il valentuomo credendo che il conte, che supponeva essere il cavaliere d’Arnao, fosse sordo, ripetè la sua domanda ad alta voce, e allorchè quegli rispose che essendo stato allevato in Francia e avendo preso per moglie una Romana, aveva talmente dimenticato il suo idioma nativo che non ne intendeva una sola parola, il generale si rivolse al cardinale che riteneva essere il segretario di legazione. Ma essendo neppur egli in grado di rispondere, il comandante non potè a meno di esprimere il suo stupore, che due rappresentanti di uno stato estero fossero cosi interamente ignari della lingua di esso, e incominciò a prendere sospetto che entrambi fossero spie dei ribelli romani, venuti nell’intenzione proditoria di procurarsi esatte notizie intorno alla fortezza. Non meno cortese però che prudente non volle urtare colle formalità, e lasciò andare entrambi con Dio. Appena erano partiti chiamò per altro tosto un uffiziale e gli ingiunse d’invigilare sull’albergo del giardinetto, perchè poco tempo prima vi erano venuti d’alloggio dei forestieri che gli suscitavano qualche sospetto. Non contento di ciò, fece venire il giudice del distretto, e gli diede l’incarico di recarsi all’albergo, e gli ordinò che sotto il pretesto di una visita alla contessa Spaur avesse a far attenzione se io aveva l’apparenza di una persona sospetta, e se le indicazioni del passaporto si combinavano. Nello stesso tempo doveva egli investigare qual fosse lo scopo del nostro viaggio, e fargli un dettagliato rapporto intorno ad ogni cosa.