La fuga di Papa Pio IX a Gaeta/Capitolo XII
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XII.
Io aveva dato l’incarico di preparare il pranzo alle ore tre pomeridiane, per me e per il conte, che dissi attendere da Frascati Ma già erano le tre, e poi le quattro, e siccome il conte, non compariva, l’oste venne ad avvisarci che il pranzo ci attendeva da lungo tempo. Fingemmo di credere a qualche ritardo impensato e ci sedemmo a tavola, ma io non fui in grado di prendere alcun cibo. Dopo alzati aspettai con grande ansietà l’ora nella quale, giusta l’intelligenza doveva venire un messo del conte oppure il cacciatore per annunciarmi o che tutto era riuscito e allora io doveva abbandonare Albano e raggiungere mio marito; oppure che dovessi ritornare a Roma nel caso che un accidente sinistro vesse impedito l’esecuzione del proponimento. Ma siccome il tempo passava senza che alcuno si facesse vedere, io sentiva sempre più svanire le mie forze. In questo istante sentii aprirsi l’uscio e il mio cuore batteva con violenza, ma non era ancora il cacciatore che io aspettava nè il messo che temeva, ma un signore di Roma, che avendo avuto sentore del mio arrivo, era venuto a far meco conversazione. Come mi sentissi non lo posso esprimere in parole, e neppure potrei dire con quali sentimenti ascoltassi ciò che mi narrava, cioè come egli avesse messo in salvo sè e la sua dignità di gentiluomo di camera ad Albano, per attendere l’esito degli affari cosi complicati, e come fosse sua intenzione di ritornare subito alla corte di S. S. se la causa del papa avesse a trionfare, e simili altre cose. In altri tempi e in altre circostanze la visita di quel stata assai valentuomo mi sarebbe gradita; ma nelle angoscie del momento i suoi timori non potevano modo più scoraggiante. agire sopra di me che nel Appena mi lasciò, andai con mio figlio e col prete ad inginocchiarmi per orare, ma non fui più in grado di contenermi e scoppiai in un dirotto pianto.