La fuga di Papa Pio IX a Gaeta/Capitolo XI

Capitolo XI

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XI.


Frattanto io era già con mio figlio e col suo precettore, il prete Sebastiano Liebl, sino dalle nove del mattino in Albano. Il tempo ci trascorse in modo assai triste, poichè non mi era mai immaginata avvenimenti così serii, e giammai era stata angustiata da fantasie così terribili. Il mio povero fanciullo, che mi vedeva tanto commossa, non cessava di chiedermi cosa mi rattristava, cosa aveva che tanto mi pesava sul cuore. Accresceva il mio dolore il dover in questo modo dapprima a mio padre, indi al figlio nascondere il segreto di cui io mi era proposto di essere fedele custode. Ma quando ritornò dalla Chiesa della Madonna della Stella, ove, come mi disse quando vi entrò, volle pregare, per sè e per suo padre, e mi chiese colle lagrime agli occhi di scoprirgli quale pericolo sovrasti a quest’ultimo, gli risposi: Il conte ha intrapreso di condurre fuori da Roma un alto personaggio. Se non riusciva sarebbe stato un [p. 19 modifica]gran danno per entrambi, e perciò io non aveva nò quiete nè riposo sino a tanto che non vedessi entrambi sani e salvi. Nello stesso tempo lo esortai, come anche il precettore, che dalle mie parole supponevano potesse essere il cardinale segretario di Stato quello che si aspettava, di non esprimere alcuna meraviglia chiunque fosse, se anche lo riconoscessero, e nessuna curiosità se fosse una persona ignota. Inoltre incaricai il mio Massimo di togliere le lanterne della nostra carrozza senza farsi accorgere; il che egli fece con molta destrezza. La mancanza dei fanali fu più lardi messa a carico del povero cacciatore, sebbene come si vedrà in seguito da questa narrazione, ci abbia non poco giovato questa precauzione.