La frusta teatrale/I. Ipotesi e confini di un'apologia

I. Ipotesi e confini di un'apologia

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I. Ipotesi e confini di un'apologia
La frusta teatrale II. Lettura e contraffazione
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Ipotesi e confini di un’apologia


Ho inteso scrivere la conclusione di un’esperienza, con maturità almeno approssimativa, ossia, se l’esperienza sta nel superare certi ostacoli e nel raggiungere la meta attraverso sentieri che potrebbero anche confondersi nel più fitto del bosco, la cronaca di una salvazione.

Il mestiere si confonde per alcuno coi suoi pericoli. La critica drammatica esercitata attraverso le gazzette si consola nella consuetudine di un rito di parassiti. Nè basta l’ironia per esentarti: ti toccherebbe talvolta far prova di virtù magiche da giocoliere.

Prender figura di critico e di ragionatore ti giova se la intendi come una beffa e ti riesce, per una demiurgica riserva, di sorridere quando hai suscitata la commozione: Insomma parlando di attori non bisognerebbe essere alieni dal ricorrere alle loro contraffazioni. Nè so come potrebbe altrimenti riuscire tollerabile la figura del filosofo o dello storico d’idee che dà maliziosi consigli all’attrice: curioso contrasto di forti elementi comici nel quale chi scrive si mostrò per qualche tempo, quasi compiacendosi dell’equivoco e dello scherzo. [p. 10 modifica] Solo l’acuta vigilanza può consentire, attraverso il gioco, di evitare i pericoli della curiosa inversione che sembra punire il pacifico spettatore: questi infatti mentre pensa di svagarsi non s’accorge d’esser diventato un elemento del calcolo e del piacere altrui.

Ragionando pacatamente, senza preconcetti, si deve consentire che anche la scena non possa troppo arricchirsi di significati e di insegnamenti. Ripetuta, l’esperienza può nascondere imprevisti piaceri, ma resta arida, senza sorprese metafisiche. E’ un piccolo campo chiuso. Un mondo che alimenta chi se ne lasci corrompere. Studiato obbiettivamente da un osservatore abbastanza scaltro per non soffrire di compromesso si potrebbe dire che le difficoltà e i misteri vi si trovino numerati, predisposti in un facile calcolo.

Ho voluto che i risultati per me raggiunti si esponessero con aderente agilità in una forma intimamente organica, ma non sistematica. Dove il racconto suggeriva naturalmente considerazioni non risapute di estetica o di storia dei costumi ho lasciato lo spunto incompiuto, non sembrandomi delicato cedere alla tentazione di un discorso da riformatore. Sempre il parlare del teatro mi ricordava per naturale confidenza un interrotto conversare ironico. Nè potrò sembrare freddo, o io m’inganno, ma solo disinteressato — beninteso a chi non abbia dimenticato nell’enfasi di una goffa dedizione al mestiere il limite fondamentale dell’attenzione che per ogni ordine di studi vien suggerito dalla coscienza degli altri ordini che si tralasciano. Penso che il mio disinteresse si spiegherà nella cura assidua che anche qui traspare verso altre esigenze spirituali, non per invito di eclettismo, ma per consaputa ricerca di [p. 11 modifica] contemplazioni integrali e di orizzonti di serenità che si vorrebbero definire metafisici, se la parola non si fosse arricchita di troppo moderni e professionali significati. Studiare convenientemente il teatro vuol dire dunque prima di tutto rendersi conto che il teatro è un episodio della propria attitudine alle ricerche: arriveremo paghi alla meta se il nostro spirito si sarà fortificato nel cammino di una nuova disillusione.

Che se si dovesse venire a più drammatiche confessioni concluderò col porre in bando anche le pretese più anguste ed elementari e con l’offrire queste pagine come il documento di uno spirito spregiudicato che cerca, senza alcuna pietà per se stesso, esperienze diverse e vie molteplici perchè la sintesi ricreata, se verrà, sia più faticosa e oggettivamente serena.