La colonia italiana in Abissinia/Sopra una colonia italiana stabilita in Sciotel

Orazio Antinori

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La colonia italiana in Abissinia I
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SOPRA UNA COLONIA ITALIANA STABILITA IN SCIOTEL

NEL PAESE DEI BOGOS IN ABISSINIA.




«Da tre anni a questa parte ci erano pervenute alcune scarse e confuse notizie intorno a ciò che tentavasi in Alessandria d’Egitto da tre Italiani, il padre Stella, Bartolomeo Zucchi ed Alessandro Bonichi, per la fondazione d’una colonia agricola nel paese dei Bogos in Abissinia.

«Ci si parlò di un contratto di cessione del territorio di Sciotel, retto da uno sceh tributario del re d’Abissinia e del vicerè d’Egitto, fatta da questo capo al padre Stella e suoi compagni; così pure della partenza di questi Italiani per l’Abissinia insieme ad alcuni agricoltori e a qualche operaio. Circa un anno dopo ci giunse la notizia della morte di Pompeo Zucchi, e con nostra sorpresa, qualche mese appresso, vedemmo la vedova sua consorte giungere a Firenze per dimandare consigli ed aiuti dal nostro governo. [p. 6 modifica]

«Essa proveniva direttamente dall’Abissinia, e da un colloquio che avemmo con questa intrepida ed avventurosa giovane ci fu dato conoscere lo stato della colonia nei primi tempi che colà si era stabilita. Essa ci descrisse con vivi colori le lotte che aveva dovuto sostenere contro la natura e gli uomini, e più con quella che con questi. La conoscenza che lo Stella aveva del paese, delle lingue di quei popoli e delle loro usanze, la sua influenza ed il coraggio dei suoi compagni, valsero grandemente, se non ad impedire del tutto le istintive scorrerie dei vicini, almeno a renderle rare e di poco conto; ma non così avvenne di quelle degli elefanti, dei rinoceronti e degli animali feroci, contro i quali dovettero contrastare lungamente prima di riportarne vittoria.

«Le prime loro capanne vennero scoperchiate, e talune atterrate dalle proposcidi degli elefanti allettati dal fieno che le cuopriva; le prime loro seminagioni di riso e di durba, sorte rigogliose dal suolo, furon poste a soqquadro e ricacciate sotterra dalle peste di quelli enormi quadrupedi; un fontanile scavato poco lungi dall’abitato, quantunque munito di mura, venne dai rinoceronti atterrato e convertito in un pantano d’acque melmose. I cani di guardia, i somieri, i bovi e gli armenti venivano loro decimati dalle bestie feroci, leoni, leopardi e pantere, le cui frequenti scorrerie erano sempre seguite da qualche vittima.

«Più d’una volta le iene, a notte avanzata, riescirono a penetrare entro la capanna destinata a cucina, attiratevi dall’odor delle ossa, o da qualche rimasuglio di carne della sera. I serpi erano così famigliari, che una notte la giovine, nell’atto di coricarsi, ne trovò uno di enorme grandezza avvoltolato fra le coltrici.

«Queste ed altre dannose e pericolose peripezie, di [p. 7 modifica]cui essa ci fu freddissima narratrice, cominciarono a dileguarsi in seguito al servizio di vigilanza organizzato fra loro, durante la notte, ai molti fuochi tenuti vivi, ai frequenti colpi di schioppo tirati al menomo indizio di un pericolo qualunque, e cessarono poi quasi interamente dopo l’ostinato lavoro da essi fatto di atterramento d’alberi e di piante spinose, per farne palizzate e siepi da recingere le abitazioni ed i campi.

«Le cose dell’incipiente colonia erano avviate a buon fine, quando l’apparizione di alcuni stranieri, condottisi probabilmente colà coll’intenzione di surrogarsi ai pochi Italiani proprietari del luogo, suggerì allo Stella d’inviare la signora Zucchi in Italia. Quando ci avvenimmo in essa a Firenze, il giorno appresso il suo arrivo, pareva decisa a correre tutte le sale dei Ministeri ed a giungere fino al gabinetto privato di S. M. il Re. Ma quale esito avessero queste sue pratiche non ci fu dato conoscere, anzi rimanemmo, da quel colloquio in poi, tanto all’oscuro di tutto, che se una lettera da Suez del signor console Lambertenghi al presidente della Società Geografica non ci fosse venuta in mano, nulla più avremmo saputo di questi nostri concittadini.

«La lettera porta la data del 18 aprile p. p. ed è del tenore seguente:

«Da tre anni a questa parte un nucleo d’Italiani, alla cui testa trovasi il padre Stella, notissimo viaggiatore delle regioni abissiniche, un certo signor Pompeo Zucchi, e un tal signor Ferdinando Bonichi, formarono il disegno di fondare una colonia nel paese dei Bogos.

«All’oggetto indicato, il padre Stella ottenne dall’estinto re Teodoro d’Abissinia la concessione del territorio di Sciotel che fa parte del paese dei Bogos.

«Questo paese confina al N. col deserto di Nubia, [p. 8 modifica]all’O. con Barka, al S. colla provincia abissinica di Hanasen, all’E. colla spiaggia deserta del mare. — Estensione 25 miglia tedesche1 Elevazione da 3 a 5500 p. sul livello del mare. — Terreno fertilissimo, ma non coltivato che nella valle del Bogos verso il Barka dove sono dei campi di grano. Sono di danno ai campi i torrenti montani e le marcie degli elefanti. — Popolazione 10,000 abitanti circa, distinta in gente libera e soggetta con leggi tradizionali2. Le questioni generali sono discusse in pubblico dai capi di famiglia. Paga un tributo annuo di 1000 talleri al governatore abissinese di Hanasen, il quale manda a levarlo da un suo rappresentante, che vi prende degli ostaggi fino al pagamento.

«La capitale Keren è ai 4,469 sul livello del mare a gradi 15° 46/1“ lat. N. e 38° 20‘‚ longit. Grenwich. Conta 350 capanne di paglia, e, una chiesa di pietra costruita dal padre Stella, ed ora servita da missionari francesi.

«Da Massauah vi si può andare per due vie: l’una per Saati, Ajlat, Gamhad, Azus, Beja, Brestian, Murrar, Nuret, Amba-Saul, Quobet-Anseba e giunge a Keren. Dura 5 a 6 giorni sempre per monti e valli viaggiando da 4 a 6 ore per giorno con camelli; l’altra per la spiaggia del mare si distacca dalla prima ad Azus e valicando i torrenti Sciob e Sebka si eleva a Mascíalib, d’onde [p. 9 modifica]discendendo verso S.-O. nella valle di Anseba raggiunge. Keren 3.

«Allo sbocco del Sebka lo Stella pretende trovarsi un porto, non apparente dalle carte di Morersby e dell’Heuglin, rimpetto all’isola Harat 4.

«La stagione secca dura dal marzo al maggio, [p. 10 modifica]quella della pioggia dal maggio al settembre; e la più bella dal settembre al maggio.

«In questa stessa lettera il console Lambertenghi trascrive quanto gli venne comunicato dal Bonichi in una missiva direttagli a Suez.... «Io rimango a Sciotel 5, dice il Bonichi, nella veduta e nella speranza di riuscire col signor Stella a quivi fondare uno stabilimento agricolo-commerciale italiano, giacchè mi addolora il pensiero, che una località come quella che noi possediamo debba da noi essere abbandonata e quindi usufruita da Europei di altre nazioni, e che già vi agognano, e si sforzano a farvi sparire l’elemento italiano. Chè anzi ella in proposito può renderci qualche utile servigio, facendoci avere qualche notizia sulle vere intenzioni del nostro governo, di cui dall’agosto in poi non ho saputo altro, e procurandoci coi mezzi e colle relazioni che avrà, sia in Egitto come in Italia, Francia o Inghilterra, la pubblicazione nei giornali di un avviso esprimente: — Che Ferdinando Bonichi e G. Stella, italiani dimoranti a Sciotel, fra i confini dell’Egitto e dell’Abissinia, accettano ed eseguiscono commissioni per provvista di bestie feroci ed animali selvaggi viventi, da inviarsi in Europa per conto dei committenti, a patti e condizioni da stabilirsi in ogni relativa commissione; dirigendosi ai medesimi Bonichi e Stella per la via e posta di Massauah. — Gli animali che possiamo provvedere, oltre [p. 11 modifica]una variata quantità di uccelli, non escluso lo struzzo, sono le diverse specie di gazzelle ed antilopi, la giraffa, i leopardi, i leoni, gli elefanti ed i rinoceronti ed ogni altra specie di prodotti animali e vegetali del paese».

— «Questo grido di dolore che ci perviene dal confine del deserto, dalle frontiere dell’Africa cristiana, ci stringe il cuore. Il governo non ha risposto, il governo non risponde; l’Italia non ci pensa, l’Italia non si ricorda di noi! Ecco la querela che ci giunge dai quattro venti, da tutte le parti della terra, ove v’ha Italiani che s’industriano di cominciare, e che si sforzano di far davvero.

«Ora continuiamo a riferire quello che intorno ai prodotti abissinici scriveva al governo uno dei nostri più diligenti consoli.

«La cera, le pelli e le penne di struzzo che spedisconsi in Europa provengono in parte dall’Abissinia per la via di Massauah, ma la quantità maggiore di questi prodotti scende il Nilo e si confonde colle merci più comuni che giungono al Cairo dal Sudan e dalla Nubia.

«Non v’ha viaggiatore che abbia percorsa l’Abissinia e non sia rimasto sorpreso della fertilità non meno che della bellezza di quel paese e bontà del suo clima. Fra gli Inglesi, che nella loro marcia sopra Magdala seguirono, come è noto, la parte più elevata e meno abitata di esso, vi fu chi scrisse: — Se noi c’impadroniremo del paese lo beneficheremo immensamente: non vi è commercio che non possa prosperare; quali terreni per l’agricoltore! quante greggi potrebbero nudrirsi sui verdeggianti suoi declivi! Sopra ogni tre miglia quadrate si potrebbero raccogliere tante pelli da somministrare i guanti a tutta Parigi durante una stagione di [p. 12 modifica]carnevale. L’Abissinia può ora dirsi scoperta, non mancheranno coloro che preferiranno di andare a cercar ivi la fortuna, anzichè nelle lontane regioni dell’Australia e della Nuova Zelanda!

«Gl’Inglesi non s’impossessarono di questo paese, ma uno dei loro più risoluti e intelligenti ufficiali, il colonnello Kirkam, divenne, poco appresso la loro partenza, l’aiutante e il consigliere del già loro alleato, il principe Kassa del Tigre. Onnipotente presso il principe, egli organizzò un corpo di truppe disciplinate e atte a mantener la pace in quella provincia, a difendere la strada costruita dagl’Inglesi tra Senafe e la baia d’Anesley, e a proteggere i negozianti stranieri che visitano il paese.

«Il principe stabilì poi un servizio di posta settimanale tra Massauah ed Adouah sua capitale, abolì tutti i dazi sul commercio, fondò una fiera o mercato generale in quest’ultima città, e si dichiarò inoltre disposto a concedere gratuitamente le terre incolte del suo dominio a quelle estere compagnie che si proponessero di impiegarle alla coltivazione del cotone, dell’indaco, del caffè e dello zucchero.

«Aperto il canale, l’Abissinia sarà il paese delle ricche produzioni tropicali, più facilmente e prontamente accessibile dal Mediterraneo e direi da tutta Europa. Chi non vede l’avvenire che le aspetta? Chi non sarà tentato di tirar partito dalle saggie disposizioni del principe Kassa?

«Adesso queste cose le sappiamo: il governo ha le relazioni, i giornali hanno le notizie. Vedremo se sapere è potere».


Note

  1. Territorio più vasto, che una delle nostre piccole provincie; più vasto cioè della prov. di Napoli (ch. q. 1,111) e di quella di Porto Maurizio (1,210 ch. q.)
  2. Sui costumi e sui diritti generalmente in uso presso le popolazioni che vanno sotto il nome di Bogos, alterazione dell’antico nome di guerra „Boasgor“, o figli di Boas loro capo, veggasi ciò che ne dice il signor Antonio d’Abbadie, in una sua dotta critica al prezioso lavoro di Münzinger, „Ueber die Sitten und das Becht der Bogos“; l’illustre autore francese li chiama in essa i „Bogos Bilen“ traendo il nome da quello che viene loro dato dagli indigeni, e riconosce in essi gli antichi Blemmi dei Romani. Aggiunge in una nota che Quatremère ha collocato la patria dei Blemmi nella regione occupata presentemente dai Bilen. Vedi „Bulletin de la Société de Géographie“, avril-juin 1866. Antoine d’Abbadie, „Sur le droit bilen à propos du livre de M. Werner Münzinger“, ecc. ecc., pag. 242 e 470.
  3. Le indicazioni date dal Lambertenghi sulle due strade che da Massauah conducono a Keren sono della più grande esattezza: esse concordano con quanto è indicato dalla „Special Karte von Nord-Abessinien“, del dottor A. Petermann. Evvi anche una terza via più corta, ma più alpestre, che conduce a Keren ed è quella notata dall’Halévy nel suo itinerario. „Bulletin de la Société de Géographie“, mars-avril 1869, pag. 270.
  4. Pochi mesi addietro nell’epoca che alcuni legni italiani da guerra trovavansi nelle acque di Alessandria d’Egitto, due ufficiali distaccati dalla squadra ebbero ordine di condursi nel mar Rosso per riconoscere questo porto. Gli ufficiali partirono effettivamente; ma non sappiamo per quale fatalità la ricognizione non raggiungesse lo scopo prefissole. L’isola Starat, di cui sembra voler parlare il padre Stella, è segnata sulla carta del Moresby, edizione italiana, oltre il grado 16° e si stende per circa 7 miglia geogr. ital. dal 16° 1’ al 16° 2’, distando dalla sponda abissinica non più di 5 miglia, e formando così uno stretto coperto dai venti d’Oriente, che forse al padre Stella parve un porto. Di fronte all’isola la carta inglese non indica alcuna foce di fiume, ma segna una pianura salina. Dobbiamo anche notare che il vocabolo Sebka indica in arabo un lago salato.
  5. Il viaggiatore Halévy nella sua „Excursion chez les Falacha en Abyssinie“ accenna alla fondazione di una Colonia italiana a piè dello Teada-Amba, il più bello dei monti che contornano la valle irrigata dal tortuoso torrente „Cheytel o Sciotel“, che secondo esso dà il nome alla contrada. Vedi „Bulletin de la Société de Geographie“, mars-avril 1869, pag. 270 e seguenti.