La cieca di Sorrento/Parte terza/X
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X.
il nuovo fidanzato.
Beatrice restò sola... meditando sul novello avvenire che le si apriva dinanzi più tenebroso... più spaventevole, perciocchè non era in esso altra cosa di certo, se non il passare da quello stato di malinconica ma dolce apatia, nel quale finora era vivuta, ad uno stato di passioni, di sacrificii, di forti sensazioni...
Ella aveva acconsentito alla volontà di suo padre; ma tal subitanea risoluzione le avea lasciato un’indicibile agitazione nervosa, per la quale sentiasi tremar le membra quasi per eccesso di febbre.
Oliviero Blackman, questo personaggio che era tenuto repentinamente ad interrompere la monotona e placida vita che da molti anni godessi in quei casino; questo personaggio che sembrava caduto in mezzo a quella famiglia come un essere fatale la cui missione è tuttavia un mistero; Oliviero Blackman che un momento prima era per Beatrice una di quelle centomila esistenze che incontriamo nel breve passaggio di questa valle, e che un istante di poi sono poste nell’obblio più profondo; questo personaggio si presentava ora all’immaginazione della fanciulla come uno di que’ fantasmi che si affacciano ne’ sogni febbrili, che ti stringono nelle loro braccia di ferro, senza che tu possa arrivare a scovrire il loro volto e la loro entità; e ti senti oppresso, strascinato, avvinto ad essi senza poterti sprigionare un tantino per prender fiato.
E la povera cieca cercava ora richiamarsi a mente ad una ad una le parole dell’inglese, ma indarno, poichè queste tutte in una volta le si affollavano al cervello come una massa di fuoco e sottraevansi però all’analisi che ella volea farne. Soltanto l’accento di lui erale rimasto impresso e chiaro... e l’accento è pe’ ciechi ciò che la luce artifiziale è per gli altri uomini; basta a staccare in certo modo le ombre e i rilievi dell’anima di un individuo.
Le donne in generale, ed in ispezialità quelle che sono poste nella funesta condizione di Beatrice, hanno un tatto finissimo per indovinare i sentimenti di simpatia e di amore che hanno fatto nascere. Per quanto semplice esser possa la donna che amate, e per quanto studio metter possiate a simulare l’indifferenza, siate certi che colei leggerà nel vostro cuore al primo sguardo, alla prima parola che le rivolgiate. Inutilmente vi sforzerete d’infinger calma nei vostri discorsi, inutilmente farete di dare al vostro accento il tuono che più vi è naturale, dappoichè lo stesso studio che porrete nell’infingervi darà in lei certezza di essere amata. Vi è nella voce di un uomo innamorato un’inflessione tutta propria che non isfugge alla donna che ne è l’oggetto; ella sa di essere amata anche prima che il suo amante lo sappia, vale a dire anche prima che questi abbia letto nel proprio cuore. Se le donne apprendessero i segreti della scienza con facilità pari a quella onde indovinano i segreti del cuore, il bel sesso diventerebbe ancora il più dotto e intelligente!
Beatrice adunque, nel colloquio che ebbe con Blackman nella villetta, avea letto in parte nel cuor di lui, e la sua bell’anima se n’era commossa e contristata, chè fino a quei giorno avea creduto essere ella capace d’ispirare soltanto sentimenti di tenera pietà, e non mai avrebbe potuto credere di potere ispirare un amor passionato e profondo. Nelle parole del cavalier Amedeo null’altro si scorgea che affettazione, studio e ipocrisia. L’asprezza dell’accento di Blackman aveva invece una soavità misteriosa alle orecchie di lei, per modo che, ascoltandolo, Beatrice non sapea spiegarsi perchè dicevano esser brutto quell’uomo. La bruttezza fisica, scongiunta dalla malvagità e accoppiata a nobili sentimenti, non avea posto assegnato nel mondo ideale di Beatrice.
La fanciulla si sentiva nel capo un’insolita confusione, un disquilibrio, e nei cuore un’agitazione indicibile...
Si alzò, trasse accanto al letto, tirò la corda del campanello.
— Dov’è Geltrude? dimandò al domestico che si era presentato.
— È andata a distribuire la solita elemosina.
— Va bene; non sì tosto di ritorno, fatela venir da me.
Dopo un quarto d’ora, Geltrude era nella stanza di Beatrice.
La fanciulla comunicò alla sua amica lo strano e repentino cambiamento del suo futuro stato, e palesò il nome del nuovo fidanzato.
Geltrude dette un’esclamazione di sorpresa e di orrore, che non potè sfuggire alla cieca.
— So quanto vuoi dirmi, Geltrude; ma... senti... Questa unione non è poi sicura... anzi per me la credo impossibile.
— Come! Non avete data la vostra parola a vostro padre?
— Sì, ma ci è una condizione a questo matrimonio.
— E quale?
— Il medico non mi sposerà se pria non mi ridona la vista.
— Ora comprendo.
— Vedi adunque, Geltrude, che la cosa non è mica fattevole.
— Ma sento dire che l’Inglese abbia fatto portenti su i ciechi...
— L’avvenire è nelle mani di Dio, Geltrude; ora più che mai sento il bisogno della preghiera e della meditazione... Prendi, prendi i biblici salmi... troverò in essi il coraggio che mi manca e la forza di ogni sacrificio... Apri a caso e leggi.
Geltrude obbedì, e lesse:
«Ho meditato di notte tempo nel silenzio del mio cuore, ed ho scoverto l’intimo del mio pensiero.
«I miei occhi han vegliato innanzi tempo; mi sono turbato e taciuto.
«Dischiusi gli occhi miei, e contemplai le meraviglie della tua legge.»
Non avea finito Geltrude di leggere questo versetto, il quale parea scelto a bella posta per la situazione di Beatrice, che un domestico venne a significarle da parte del marchese il desiderio che si fosse recata nel salotto.
Beatrice, raffermata nelle sue disposizioni da quel versetto della Bibbia, che la Provvidenza sembrava aver fatto appositamente cadere sotto gli occhi di Geltrude, si accinse a fare il piacimento di suo padre, e, fattasi accompagnare dalla sua amica, trasse al salotto di compagnia.
Stavano ad aspettarla il Marchese, e Oliviero.
Questi, non appena comparir vide alla soglia la cieca fanciulla, non potè frenare un trasporto di gioia che divampò sul suo volto quasi avesse voluto incendiarlo, ma si contenne.
Beatrice procedè in mezzo alla stanza arrossendo in volto, salutò prima il padre e poscia Oliviero, che Geltrude le avea detto trovarsi colà.
— Figlia mia, il sig. Blackman vuole ossequiarti.
— Non ossequiarvi, ma adorarvi, Beatrice, esclamò Gaetano cadendo alle ginocchia di lei... Grazie, Beatrice, voi mi salvate dalla disperazione e dalla morte. Io sono felice... pienamente felice.
A queste parole, che una strana combinazione ponea sulle labbra di Gaetano, il marchese Rionero impallidì. Erano le precise identiche parole che egli profferiva a Parigi ai piedi di Albina di Saintanges.
Nè Gaetano nè Beatrice accorger si poteano del turbamento del marchese.
La fanciulla avea fatto alzare il medico e si era seduta sovra un sofà.
— La mia vita d’ora in, poi è consacrata alla vostra felicità, Beatrice... Voi mi avete attaccato ad una esistenza che io abborriva, e che mi era di un peso importabile. Tenuissimo pegno di mia gratitudine vi sarà la luce che io restituirò agli occhi vostri, siccome ne fo ora solenne giuramento innanzi a Dio e a vostro padre.
Il marchese e sua figlia rimasero stupefatti della estrema audacia che la scienza dava a quest’uomo, il quale pronunziava un solenne giuramento, il cui adempimento sembrava impossibile senza una special grazia di Dio.
— Voi non sarete mia, continuò Gaetano, se se prima le tenebre non si saranno diradate dagli occhi vostri... Ricordatevi delle mie parole nella villetta. Io ti renderò la vista, o sarò cieco come te, vi ho detto...
— Signor Blackman, disse la cieca con voce fioca e tremante, ogni donna, che posta non fosse nella misera mia condizione, si stimerebbe avventurata di essere prescelta a compagna di un uomo così illustre come voi siete.
Che dirò io se accoppiar dovrò la gratitudine al rispetto del vostro ingegno?
— La gratitudine! che parlate, Beatrice. Oh... d’ora in poi, ecco quale sarà per me la vita, l’avvenire, l’universo: voi e vostro padre!
— E il vostro genitore, Oliviero, più non esiste? dimandò il marchese.
Una nube passò sulla fronte di Gaetano; le sue sopracciglia s’inarcarono, ed involontariamente abbassò gli occhi, compreso da lacerante vergogna.
— No, marchese; mio padre più non esiste, rispose quindi con voce alterata e rauca.
Il marchese notò il turbamento del medico, e lo attribuì al dolore di un figliuolo che ricorda la morte del padre.
— E vostra madre? chiese Beatrice.
— Tutti... tutti morti... non ho famiglia, soggiunse Gaetano con voce soffocata e rabbiosa, la mia famiglia, se Dio mi accorderà tanta suprema felicità, siete voi... voi, mio padre... Oh io ricomincerò la mia esistenza.... mi permetterete, n’è vero, sig. marchese, che mi permetterete di darvi il dolce nome di padre?
Gaetano stampò un bacio sulla mano del marchese, il quale a quel bacio sentì un brivido scorrergli per le ossa, e macchinalmente strinse la mano del giovine medico.
Intanto di quasi tutta questa scena era stato testimonio un uomo che era entrato nel salotto, mentre il marchese e Oliviero, seduti di rimpetto a Beatrice, davano le spalle alla porta d’ingresso.
Quell’uomo era il Cav. Amedeo!