La capanna dello zio Tom/Capo XLIV

XLIV. Il liberatore

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XLIV. Il liberatore
Capo XLIII Capo XLV

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CAPO XLIV.


Il liberatore.


Giorgio Shelby non aveva scritto a sua madre più che una parola, indicandole il dì in cui ella poteva attenderlo a casa. Della morte del suo vecchio amico non aveva osato farle alcun cenno. Vi si era accinto più volte; ma ad onta di tutta la violenza che faceva a se stesso, dopo alcune linee gli era forza arrestarsi; e finiva sempre col lacerare la lettera cominciata, asciugarsi gli occhi, e uscir fuori per calmare alquanto la sua agitazione.

Si notava un lieto affacendarsi in casa Shelby il dì che si attendeva il ritorno del giovane padrone. La madre di Giorgio stava nella sala a pian terreno presso al camino, ove un motto ben nudrito di tronchi di quercia le difendeva l’aria pungente d’un’ultima sera d’autunno. La mensa splendeva di ricco vasellame e di fini cristalli, preparata sotto la direzione della nostra amica la Cloe. Costei, vestita d’una gonna nuova di tela di bambagia, ornata il capo d’un turbante enorme, rigido per la salda che gli si era data senza risparmio, cinta dinanzi d’un grembiale candidissimo, avea disposto il servizio con minutissima cura. Il suo nero e lucido viso brillava di gioia; ella indugiava intorno agli apparecchi della tavola con accuratezza soverchia per avere così un pretesto d’intertenersi con la padrona.

— «Oh! che ne dite? non ci starà egli a maraviglia? Io gli scelgo il posto che gli è più a grado, qui presso al fuoco. Il signor Giorgio è sempre stato un po’ freddoloso. — Che mi recate voi? Non aveva io raccomandato a Sally di trar fuori pel thè il vaso più bello, quello che il signor Giorgio diede per strenna a madama lo scorso Natale?... Ha notizie di Giorgio, madama?»

— «Sì, Cloe; ma non mi scrisse che una linea, significandomi ch’egli giungerà questa sera.»

— «Ma non fa egli alcun cenno di mio marito?» chiese la Cloe, che non ismetteva di affaccendarsi intorno alle tazze del thè.

[p. 432 modifica]— «No, egli non ne fa parola: non mi parla di nulla, Cloe. Accenna soltanto, che mi racconterà tutto quanto sia giunto a casa.»

— «Me l’immaginava! Il signor Giorgio è sempre lo stesso: più disposto a parlare, che a scrivere. E veramente io non so capire, come mai i bianchi possono scrivere così a dilungo. Ci si dura tanta fatica a scrivere!»

La signora Shelby sorrise.

— «Io penso che mio marito non riconoscerà più i suoi figliuoli e la sua fanciulletta. Polly si è fatta così leggiadra! Si è sviluppata così bene! Essa è in casa, e sorveglia la cottura d’una focaccia di maiz. È apprestata secondo il gusto del mio povero marito, e sul modello di quella che gli preparai il dì ch’egli partiva. Mio Dio! quanto io era dolente quel giorno!»

A siffatta allusione la signora Shelby diè in un sospiro, e si sentì stringere il cuore. Ella era inquieta dacchè aveva ricevuto la lettera del figlio, il cui silenzio le pareva un sinistro presagio.

— «Ha ella i biglietti la signora?» chiese ansiosamente la Cloe.

— «Sì, Cloe.»

— «Ho caro di mostrare a mio marito i biglietti stessi che mi diede il signor Jones. — Cloe, mi diss’egli, vorrei che ti potessi trattener qui più a lungo. — Grazie. padrone, io risposi: ma il mio vecchio marito sarà di ritorno fra poco, e la signora non può star più oltre senza di me. — Furono queste le mie precise parole. Era veramente un’ottima persona quel signor Jones.»

Cloe avea chiesto pertinacemente che fossero conservati, per mostrarli a suo marito come testimonianza de’ suoi talenti, i biglietti di banca che le erano stati dati a saldo del suo salario. Maria Shelby avea compiaciuto di buon grado a cotesto desiderio.

— «Il mio buon vecchio non riconoscerà più Polly! Sono già cinque anni che me la tolsero! Ella era una bambina allora; faceva i primi passi appena! Vi ricordate voi con quanto timore ei vegliava ch’ella non cadesse?»

In quell’istante s’udì il fragore d’una carrozza che s’avvicinava.

— «Il signor Giorgio!» — gridò la Cloe, e trasse rapidamente alla finestra.

La signora Shelby corse all’uscio da via, e si gittò fra le braccia del figlio. La madre Cloe guardava attentamente, come colui che ricerca fra le tenebre alcuno.

Giorgio se le fece incontro, e le strinse affettuosamente la mano.

— «Oh povera Cloe! — gridò egli — io avrei dato volentieri tutta la mia fortuna a patto di potervelo ricondurre; ma egli è partito per un mondo migliore!»

[p. 433 modifica]La signora Shelby mandò un grido di dolore; ma la Cloe non fece motto. Entrarono nella sala da pranzo. I biglietti, de’ quali poco anzi la Cloe Il fantasma con voce profonda gli mormorò tre volte in suono spaventevole: Vieni! Vieni! Vieni! Capo XLII. era così altera, stavano ancora spiegati sulla tavola. La Cloe li raccolse, e porgendoli con mano tremante alla padrona:

— «Prendete — disse — io non voglio più vederli, nè udirne a far [p. 434 modifica]parola. Ciò ch’io aveva preveduto avvenne pur troppo! l’hanno venduto, l’hanno assassinato in quelle maledette piantagioni del Sud!»

Cloe si volgea per uscire. La signora Shelby la seguì, la prese affettuosamente per mano, la fece sedere, e le si pose a fianco.

— «Mia cara, mia povera Cloe!»

Cloe chinò la testa sulla spalla della sua padrona, e con voce soffocata da’ singhiozzi, disse: «O signora! scusatemi... sento che il cuore mi si spezza...»

— «Comprendo il vostro dolore, o Cloe! e non posso darvi conforto: ma volgetevi a Dio; egli consola ogni affanno più profondo!»

Per alcuni istanti tutti stettero muti, e piangevano. Quindi Giorgio Shelby prese a raccontare con eloquente semplicità il glorioso martirio di Tom, di cui ripetè commosso le ultime parole.

Un mese dipoi tutti gli schiavi che appartenevano alla casa Shelby si accoglievano in una gran sala per udire una comunicazione che avea a fare ad essi il loro giovine padrone.

Non è a dire qual fosse la sorpresa di tutti allorchè egli apparve tra loro tenendo in mano un gran fascio di carte, che contenevano un certificato di liberazione da schiavitù per ciascun d’essi; i quali certificati egli lesse successivamente, e presentò tra le lagrime e le acclamazioni di quanti erano presenti.

Molti nondimeno tra loro lo scongiurarono, stringendosigli intorno, che non li volesse licenziare; e con atti di manifesta ansietà, gli porgevano il certificato acciocchè lo si ritogliesse.

— «No, noi non abbiamo bisogno d’una libertà maggiore di quella che godiamo. Nulla ci manca di quello che desideriamo. Non vogliamo abbandonare il nostro antico soggiorno, la nostra padrona, il nostro giovine signore.»

— «Miei buoni amici — disse Giorgio, tostochè egli potè ottenere il silenzio — non è necessario che mi abbandoniate: la coltura delle mie terre richiede le stesse braccia che per lo avanti: abbiamo sempre gli stessi bisogni: ma da quest’istante voi siete liberi. Vi pagherò la dovuta mercede secondo le convenzioni che faremo tra noi. Ne avrete quest’utile, che se per isventura io m’indebitassi, o, ciò che può accadere quando meno si pensa, venissi a morte, voi non avrete a temere d’essere dispersi o venduti. Io porrò ogni mia cura ad insegnarvi in qual modo voi dovete usare de’ nuovi diritti a cui vi ho chiamati. Spero che non ricuserete d’accogliere le mie lezioni e profittarne, e che vi condurrete come s’addice ad onest’uomini. Ed ora, amici, levate lo sguardo al cielo, e benedite a Dio della libertà che vi è concessa!»

Un negro patriarcale, già molto innanzi negli anni, ch’era incanutito [p. 435 modifica]in quel soggiorno e divenuto cieco, alzò al cielo le mani tremanti, e sclamò: «Rendiamo grazie a Dio!»

Tutti piegarono a terra le ginocchia; nè giammai un Te Deum più commovente di questo s’innalzò al cielo, tuttochè non fosse accompagnato nè dal suono delle campane, nè dalle armonie dell’organo.

Un altro negro intuonò un inno metodista, il cui ritornello era il seguente:

Giunse alfin il dì bramato;
Fa ritorno — al tuo soggiorno,
Riscattato — peccator.

— «Ancora una parola — disse Giorgio alla folla che gli si stringeva intorno colmandolo di benedizioni; — vi ricordate voi del vostro buon vecchio zio Tom?»

Giorgio Shelby ne raccontò allora succintamente la morte, e riferì le ultime parole che quel martire avea pronunciate. Quindi aggiunse:

— «Sulla tomba di lui, amici miei, ho pronunciato il giuramento per cui m’obbligai davanti a Dio a porre in libertà tutti i miei schiavi, e non lasciar più alcuno nel pericolo d’esser diviso da’ suoi amici, e tratto a morire, come il povero Tom, in una piantagione lontana. Sicchè allor che voi vi terrete avventurati della conseguita libertà, pensate che voi ne avete obbligo a quell’onesto, e dategli prova di vostra riconoscenza usando alla moglie e a’ figli di lui le più amorevoli cure. Pensate alla libertà ottenuta tutte le volte che voi vedrete La capanna dello zio Tom: fate ch’essa vi richiami alla mente, che vi fu lasciato un esempio a imitare, e che dovete adoperarvi ad essere, come fu egli, fedeli, onesti e cristiani.»