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la capanna dello zio tom




CAPO XLIV.


Il liberatore.


Giorgio Shelby non aveva scritto a sua madre più che una parola, indicandole il dì in cui ella poteva attenderlo a casa. Della morte del suo vecchio amico non aveva osato farle alcun cenno. Vi si era accinto più volte; ma ad onta di tutta la violenza che faceva a se stesso, dopo alcune linee gli era forza arrestarsi; e finiva sempre col lacerare la lettera cominciata, asciugarsi gli occhi, e uscir fuori per calmare alquanto la sua agitazione.

Si notava un lieto affacendarsi in casa Shelby il dì che si attendeva il ritorno del giovane padrone. La madre di Giorgio stava nella sala a pian terreno presso al camino, ove un motto ben nudrito di tronchi di quercia le difendeva l’aria pungente d’un’ultima sera d’autunno. La mensa splendeva di ricco vasellame e di fini cristalli, preparata sotto la direzione della nostra amica la Cloe. Costei, vestita d’una gonna nuova di tela di bambagia, ornata il capo d’un turbante enorme, rigido per la salda che gli si era data senza risparmio, cinta dinanzi d’un grembiale candidissimo, avea disposto il servizio con minutissima cura. Il suo nero e lucido viso brillava di gioia; ella indugiava intorno agli apparecchi della tavola con accuratezza soverchia per avere così un pretesto d’intertenersi con la padrona.

— «Oh! che ne dite? non ci starà egli a maraviglia? Io gli scelgo il posto che gli è più a grado, qui presso al fuoco. Il signor Giorgio è sempre stato un po’ freddoloso. — Che mi recate voi? Non aveva io raccomandato a Sally di trar fuori pel thè il vaso più bello, quello che il signor Giorgio diede per strenna a madama lo scorso Natale?... Ha notizie di Giorgio, madama?»

— «Sì, Cloe; ma non mi scrisse che una linea, significandomi ch’egli giungerà questa sera.»

— «Ma non fa egli alcun cenno di mio marito?» chese la Cloe, che non ismetteva di affaccendarsi intorno alle tazze del thè.