La capanna dello zio Tom/Capo X

X. La mercanzia è spedita

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
X. La mercanzia è spedita
Capo IX Capo XI
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CAPO X.

La mercanzia è spedita.


L’albore mattinale di un giorno di febbraio penetrando debolmente per la finestra nella capanna dello zio Tom, non rischiarava che volti pallidi, imagine di cuori contristati. Si vedeva dinanzi il fuoco una piccola tavola, e spiegate sul dosso d’una seggiola due o tre camicie grossolane, ma lavate di recente. Poco discosto zia Cloe ne ripassava un’altra, acconciando ogni piega colla più scrupolosa esattezza, e tratto tratto sollevava la mano agli occhi per asciugare le lacrime che le piovean sulle guancie.

Tom siedeva vicino, colla Bibbia aperta sulle ginocchia, e colla testa appoggiata sulla palma della mano; ma nessun parlava. Era molto per tempo, e i fanciulli dormiano ancora nel loro rozzo letticciuolo.

Tom, che aveva cuore sommamente tenero, pieno di quelli affetti domestici che sono, per colmo di sventura, uno dei tratti caratteristici della sua infelice razza, si levò in piedi e cominciò a passeggiare tacitamente osservando i suoi figliuoletti.

— «È l’ultima volta» diceva sommessamente.

Zia Cloe non rispose, e solo ripassava con maggior forza, su e giù la rozza camicia, già diventata liscia quanto era possibile, finalmente, doposto all’improvviso il ferro con atto disperato, siedette — levò la voce e pianse.

— «E pur forza di rassegnarmi! ma, o Signore, come si può mai? [p. 96 modifica]sapessi almeno dove vai e come sarai trattato! La signora mi assicura che tra uno o due anni verrà a riscattarti; ma, Dio mio! nessuno ritorna di la giù! Li ammazzano! Intesi a raccontare che li uccidono a forza di stenti in quelle piantagioni!»

— «Il Dio stesso che è qui, o Cloe, è pur la!»

— «Sì — rispose zia Cloe — lo so anch’io; ma Dio permette talvolta che succedano tremende cose; non trovo modo di consolarmene.»

— «Sono nelle mani di Dio — riprese Tom; — nulla può avvenirmi che egli non voglia; e v’è una cosa di cui debbo ringraziarlo; perchè se io sono venduto e se debbo partire, tu ed i figli rimarrete in questa casa. Qui siete a bell’agio; per me avvenga ciò che vuole; il signore mi aiuterà, ne son certo.»

Cuor virile e generoso, che ti soffochi contro il dolore per consolare i tuoi cari! Tom parlava con accento concitato e quasi che una mano lo stringesse alla gola; ma la sua parola era franca ed animosa.

— «Pensiamo ai benefizi che ne abbiam ricevuti,» soggiunse con voce tremola, e quasi comprendesse quanto in quel momento importasse pensarvi.

— «Benefizii! — esclamò zia Cloe — davvero, non so quali! Ah, non è giusto, non è giusto! Il padrone non avrebbe dovuto acconsentir mai che tu fossi venduto per pagare i suoi debiti; tu gli hai già fruttato il doppio di quanto ha speso per comperarti. Avrebbe dovuto da molti anni metterti in libertà. Forse ora è indebitato, ma ha torto; nessuno potrà persuadermi il contrario. Trattare per tal modo un uomo fedele, che gli ha aggiustati tanti affari, e che gli era affezionato più che nol siano i suoi figli e la sua moglie! Oh, il signore chiederà conto a coloro che vendono l’amore del cuore, il sangue del cuore altrui per trarsi d’impaccio!»

— «Cloe, se mi ami, non parlare in questo modo, ora specialmente, che forse è l’ultima volta che ci vediamo! Te lo ripeto, Cloe, non pronunciare una parola contro il padrone. Non me l’han messo pargoletto tra le mie braccia? Non è naturale che io l’ami? poteva egli aspettarsi di meno dal povero Tom? I padroni sogliono, senza avvedersene, affezionarsi a noi; fa il confronto del nostro con altri; quale schiavo fu trattato meglio di me? Sono certo che se avesse potuto scegliere altro espediente, non mi avrebbe venduto; oh, sì, ne son certo.»

— «Benissimo, ma in qualche cosa ha torto; — disse zia Cloe, che avea pronunciatissimo il sentimento innato della giustizia. — Non so spiegarmi chiaramente; ma sento che in qualche cosa ha torto.»

— «Solleviamo i nostri occhi a Dio; egli solo è onnipotente; non cade foglia che egli nol voglia.»

— «È vero; ma ciò non basta a consolarmi! — disse zia Cloe; — è [p. 97 modifica]inutile ragionare. È meglio che io prepari una focaccia, che ti imbandisca una buona colazione; chi sa quando potrai averne un’altra.»

Per apprezzare al vero i patimenti dei negri che sono venduti nel Sud, Il chiarore d’un buon fuoco riverberava sugli arredi. Capo IX.


dobbiamo ricordarci che gli affetti istintivi della loro razza sono potentissimi. Prendono un amore fortissimo ai luoghi; non hanno indole audace, intraprendente, ma appassionata, tenerissima, della famiglia. Arrogi le paure di cui sogliono, nella loro ignoranza, vestir l’ignoto, la [p. 98 modifica]credenza che il negro nutre fin dall’infanzia, la credenza non esservi peggior castigo dell’essere venduto nel Sud. La minaccia che li atterrisce più d’ogni battitura, più d’ogni tortura, è quella d’essere mandati all’ingiù del fiume. Noi stessi più volte udimmo come esprimevano queste loro paure, vedemmo lo spavento ben sentito con cui ne parlano nelle ore di riposo, udimmo le storie spaventevoli di ciò che avviene all’ingiù del fiume, in quel paese che è per essi,

«L’ignota terra donde mai non torna.

«Pellegrino vivente.»


Un missionario, il quale ebbe a trattare con molti schiavi fuggitivi nel Canadà, ci raccontava che molti di essi confessano essere fuggiti da padroni non inumani, aver affrontati i mille pericoli della fuga, indottivi dalla minaccia, dall’idea disperante di andar venduti nel Sud — pericolo che sovrasta continuamente ad essi, alle loro mogli, ai loro figliuoli. Ciò inspira nell’Africano, naturalmente timido, paziente, irresoluto, un coraggio eroico, lo muove a sfidar la fame, il freddo, lo strapazzo, i pericoli della solitudine e le pene ancor più terribili se fosse ripreso.

Una semplicissima refezione fumava sulla tavola, perchè la signora Shelby avea dispensata zia Cloe dallo sbrigare, per quel mattino, le consuete faccende di casa. Quella povera creatura avea esaurita tutta la poca forza, che ancora le rimaneva in quell’ultima colazione di addio — avea ammazzato, allestito il suo miglior pollo, preparata la sua focaccia colla più scrupolosa esattezza, secondo il gusto di suo marito; e deposto sull’asse della cappa del camino un piatto di misteriosi orciuoletti inzuccherati che non soleano comparire se non in solenni circostanze.

— «Guarda, Pietro, — esclamò Mosè con aria trionfante — che stupenda colazione!» e intanto dava di piglio ad un pezzo di pollastro.

Zia Cloe gli menò pronta uno scappellotto sopra un orecchio.

— «E avresti cuore di toccare l’ultima colazione che questo povero uomo fa a casa sua?»

— «Oh Cloe!» disse Tom con voce amorevole.

— «Ah, non posso più reggere — disse Zia Cloe, nascondendo la faccia nel grembiale; — il male mi fa stizzosa.»

I fanciulli si tenner quieti, guardando prima il loro padre, quindi la madre, mentre la loro sorellina, aggrappatasi alla veste di lei, cominciava a strillare imperiosamente.

[p. 99 modifica]— «Zitto! — disse zia Cloe, asciugandosi gli occhi e togliendosi la bambina in braccio; — ciò che è fatto è fatto; spero che ora mangerai qualche cosa; è questo il miglior pollastro che teneva in serbo. Qua, ragazzi, ne avrete un boccone anche voi: vostra mamma vi si è dimostrata un po’ troppo acerbetta!»

I fanciulli non aspettarono un secondo invito; si gettarono frettolosi sulle vivande, e ciò ben a proposito, poichè altrimenti la colazione sarebbe stata intatta.

— «Ora — disse zia Cloe, dopo che ebbero finito di mangiare — bisogna dar assetto alla tua roba. Forse è inutile, perchè, il tuo padrone ti prenderà tutto; conosco bene cotal gente, vile come fango! In quest’angolo ripongo i tuoi corpetti di flanella per ripararti da reuma; conservali bene, perchè nessuno te ne farà più, qui sono le tue vecchie camicie, e là ve ne troverai alcune nuove. Jer sera finii queste calze, e, per meglio racconciarle, le rinforzai con pelo di lana. Ma, Dio mio! chi potrà poi raccomodartele?» E già Cloe, sentendosi nuovamente sopraffar dal dolore, appoggiò la testa sopra la cassa, e prese a singhiozzare.

— «Oh è pur duro a pensarvi! Nessuno prenderà cura di lui, sia pur sano od ammalato! Oh mi sarà ben difficile l’esser buona d’ora in poi!»

I fanciulli, dopo che ebber divorato ciò che ancor rimaneva sulla tavola, cominciarono a formarsi un’dea vaga di quanto accadeva; e udendo le grida della madre, vedendo la fisonomia accorata del padre, presero a singhiozzare ed a fregarsi gli occhi. Zio Tom teneva la fanciullina sulle ginocchia, e lasciava che ella si sbizzarrisse a tirargli ora il naso, ora i capelli e rompesse talvolta in uno scoppio di riso, come la ispirava qualche recondito suo pensiero.

— «Sì, ridi pure, povera creaturina! — disse zia Cloe; — passerò presto il buon tempo! vivrai per veder venduto tuo marito o per esser venduta tu stessa; e questi ragazzi saranno, ben preveggo, venduti anch’essi non sì tosto saranno atti a qualche cosa; i negri non debbono posseder cosa al mondo!»

E qui uno dei ragazzi gridò d’improvviso:

— «Ecco la signora che viene.»

— «Non può fare alcun bene; a che viene ella?» disse zia Cloe.

La signora Shelby entrò nella camera. Zia Cloe le presentò una sedia, con modi poco garbati; ma quella fece sembiante di non avvedersene. Era pallida e commossa.

— «Tom — diss’ella — vengo a....» arrestandosi improvvisamente e riguardando il taciturno gruppo che avea dinanzi, si gettò sopra una sedia, si coprì il volto col fazzoletto e cominciò a singhiozzare.

[p. 100 modifica]— «No, signora, non piangete così» disse zia Cloe, rompendo anch’essa in lacrime; e piansero amendue insieme per qualche momento. Tra queste lacrime si confusero, il padrone e lo schiavo, si addolcirono i cuori oppressi, esulcerati. O voi, che visitate gli afflitti, sapete voi che il vostro danaro largito con volto indifferente, disdegnoso, non vale la pia lacrima che è versata con profonda simpatia?

— «Mio buon amico — disse la signora Shelby — non posso, ora, far niente per voi. Se vi dessi danaro, altri ve lo toglierebbe. Ma vi prometto solennemente, dinanzi a Dio, che prenderò informazioni di voi, e avrò cura di riscattarvi non sì tosto ne avrò il denaro occorrente: sino a quel giorno confidate in Dio.»

Qui i fanciulli annunziarono, gridando, che veniva il signor Haley; e un calcio, senza cerimonia, cacciò innanzi la porta. Haley comparve sopra la soglia con volto brusco, perchè avea passata una cattiva notte, nè si era ancor rabbonito per essergli sfuggita di mano la preda.

— «Su, negro, — diss’egli — sei pronto? Vostro servo, signora» soggiunse egli, togliendosi il cappello appena vide la signora Shelby.

Zia Cloe chiuse, legò la cassa, e rialzandosi, guardò bieca il mercante; avresti detto che le sue lacrime le si fossero di subito convertite in scintille di fuoco.

Tom si levò in piedi tranquillamente per tener dietro al suo nuovo padrone, e si tolse la pesante cassa sopra le spalle. La moglie prese in braccio la bambina per accompagnarlo alla vettura; e i fanciulli, piangendo, la seguitarono.

La signora Shelby, dirigendosi verso il mercante, lo trattenne alcuni momenti, parlandogli con molto calore, mentre tutta la famiglia si incamminava verso la vettura che stava pronta vicino alla porta. Una turba di schiavi, vecchi e giovani di tutto il vicinato, si assiepava intorno al carro per salutare il loro antico compagno. Tom era sempre stato riguardato come il primo tra i servi e una guida sicura in fatto di religione; perciò destava una profonda simpatia, un sincero dolore in tutti, specialmente tra le donne.

— «Oh Cloe, hai cuor più forte del mio!» disse una delle donne che piangeva dirottamente, nel vedere la sinistra quiete con cui Cloe si tenea presso il carro.

— «Non ho più lacrime! — rispose ella, guardando torva il mercante che si avvicinava; — non voglio ad ogni modo che quel vecchio miserabile mi vegga piangere.»

— «Sali su» gridò Haley a Tom, traversata che ebbe la folla degli schiavi, i quali lo guardavano di sott’occhio.

Tom salì sul carro: ed Haley, tratte fuori da un cassettone sotto il sedile due pesanti catene, gli legò amendue i piedi.

[p. 101 modifica]Un sordo mormorio d’indignazione si levò dalla folla, e la signora Shelby si mise a gridare dalla verenda:

— «Vi assicuro, signor Haley, che una tale precauzione è affatto inutile.»

— «Lo so ben io, signora; qui appunto mi fuggì uno schiavo, che avea, pagato cinquecento dollari; non voglio mettermi allo stesso rischio.»

— «Che altro si poteva aspettar da lui?» esclamò sdegnosamente zia Cloe, mentre i due fanciulli che parea avessero compreso, a un tratto, il destino del loro padre, si aggrappavano alle vesti della madre, gridando e piangendo dirottamente.

— «Mi rincresce — disse Tom — che il padroncino Giorgio sia assente.»

Giorgio era andato a passare due o tre giorni con un amico ad una fattoria vicina; ed essendosi allontanato di buon mattino, prima che la disgrazia di Tom fosse nota, era partito senza averne sentore.

— «Fate gli affettuosi miei saluti al padroncino Giorgio» soggiunse egli con tenerezza.

Haley menò una frustata al cavallo; e Tom, gettando per l’ultima volta uno sguardo cupo ed accorato sull’antica sua abitazione, fu condotto lungi da essa.

Il signor Shelby, in quel momento, non era a casa. Egli avea venduto Tom sotto l’impero d’una stringente necessità per salvarsi da un uomo che temeva; e il primo sentimento che avea provato, appena chiuso il contratto, era quello di chi si leva un gran peso dal cuore. Ma le rimostranze della moglie, e più ancora il disinteresse di Tom, aveano risvegliato in lui una specie di rimorso. Invano andava dicendo a se stesso, che ciò era nel suo diritto; che chiunque altro l’avrebbe fatto egualmente anche senza la scusa della necessità; non poteva far tacere la propria coscienza; e per non assistere alle pene spiacevoli che importava la consumazione della vendita, si era recato, per qualche affare poco importante, nei dintorni del paese, sperando che al suo ritorno tutto sarebbe finito.

Tom, in compagnia di Haley, percorreva una via polverosa, e si vedeva fuggir dietro, uno ad uno, tanti oggetti di sua antica conoscenza, finchè, oltrepassati i confini della fattoria, si trovarono amendue sulla strada postale. Dopo aver camminato ancora un miglio all’incirca, Haley si fermò improvvisamente dinanzi alla bottega di un fabbroferraio, e, toltesi di scarsella un paio di manette, entrò dentro per farle riattare.

— «Sono un po’ troppo piccole per questo omaccione» disse Haley, mostrando ora le manette ed ora Tom.

[p. 102 modifica]        — «Come! quegli è Tom, lo schiavo di Shelby. Lo ha forse venduto?» domandò il fabbro.

— «Lo ha venduto» rispose Haley.

— «Davvero? — riprese il fabbro. — Chi l’avrebbe creduto! Non fa bisogno incatenarlo per tal modo; e l’uomo il più onesto, il più fedele.»

— «Sì, sì — disse Haley; — ma sono appunto i vostri bravi uomini di cui bisogna assicurarsi. Li stupidi, li infingardi, i bevoni si lasciano condurre ovunque sia, anzi ne provan gusto; ma questi, di prima qualità, abborrono, come il peccato, mutar padrone. Per assicurarsene, non vi è altro modo che di legarli: se lasciate ad essi le gambe libere, se ne approffitteran senza dubbio.»

— «Ma — soggiunse il fabbro, rovistando fra’ suoi strumenti — le vostre piantagioni del Sud non sono quelle dove gli schiavi del Kentucky abbian voglia di andare; vi muoiono in poco tempo, non è vero?»

— «Ne muoiono discretamente — rispose Haley; — sarà il clima od altra circostanza, ne muoiono quanto basta per tener vivo il commercio.»

— «Tuttavia è cosa compassionevole vedere un servo buono, fedele, tranquillo come Tom, andar laggiù a lasciar l’ossa tra quelle piantagioni di zucchero.»

— «La cosa può andar meglio per lui. Ho promesso di trattarlo bene. Lo porrò a servire con qualche onesta famiglia; e, se resiste alla febbre e al clima, avrà fatto quel bene che un negro può augurarsi.»

— «Lascia moglie e figliuoli, suppongo io.»

— «Sì; ma ne prenderà un’altra colà: Dio buono! vi è abbondanza di donne dappertutto!» disse Haley.

Mentre avea luogo questo colloquio, Tom stava seduto, triste, pensieroso, all’un dei lati della bottega. All’improvviso fu scosso dal calpestio concitato d’un cavallo che gli sopraggiungeva alle spalle; e prima che potesse riaversi dalla sorpresa, il padroncino Giorgio balzò di sella, gli cacciò, con grande affetto, le braccia al collo, si mise a piangere, e a fremere minacciosamente.

— «Oh giuro che questa è un’infamia! ah, lo ripeto a viso aperto; è una abbominevole vergogna! Se fossi un uomo fatto, non userebbero così certamente!» esclamò Giorgio con un fremito quasi ferino.

— «O padroncino Giorgio! ciò mi fa bene! — disse Tom. — Mi dolea troppo il partire senza vedervi! Ah, questo mi fa veramente bene, ve ne assicuro!»

[p. 103 modifica]Tom, così dicendo, mosse alquanto i piedi, talchè lo sguardo di Giorgio cadde sulle catene.

— «Che vergogna! — esclamò il giovine, sollevando le mani: — voglio accoppare quel vecchio imbecille, voglio assolutamente ammazzarlo.»

— «No, nol farete, padron Giorgio: non parlate così ad alta voce: sarà peggio per me, se lo irritate.»

— «Mi frenerò, sempre per riguardo di voi; ma non è una vergogna? E nessuno chiese mai di me: nessuno me ne fece mai parola! Se non era Tom Lincoln, nol saprei nemmeno ora. Ah, vi assicuro, ne feci a casa mia le lagnanze!»

— «Padron Giorgio, temo che abbiate torto!»

— «Come rattenermi dal dire che è una vergogna? Guardate, zio Tom, — disse il giovine, volgendo le spalle alla bottega e parlando in tono misterioso — vi ho portato il mio dollaro!»

— «Oh, padron Giorgio, non l’accetterò mai per nessuna ragione al mondo!» disse Tom tutto commosso.

— «Lo accetterete; riprese Giorgio — guardate; confidai a Cloe il mio divisamento, ed ella mi ha consigliato a farvi un buco ed infilarvi una fettuccia, sicchè possiate attaccarvelo al collo e tenerlo nascosto: altrimenti quel vigliacco ve lo prenderebbe. Ah, vi assicuro, o Tom, che sento il bisogno di accopparlo; mi farebbe del bene.»

— «E non recherebbe alcun vantaggio a me, padrone Giorgio.»

— «Ebbene me ne astengo per vostro riguardo — rispose Giorgio, attaccandogli premurosamente il dollaro al collo; — ma ora abbottonatevi sopra il vostro corpetto, nascondetelo; e ogniqualvolta vi accada di vederlo, ricordatevi che io verrò a riscattarvi, a ricondurvi a casa. Lo abbiamo concertato con zia Cloe; le dissi di non temere, tormenterò mio padre, fin che venga a ricomprarvi.»

— «Oh padron Giorgio, non parlate così di vostro padre!»

— «Non credo aver detto cosa riprovevole.»

— «Giorgio, padroncino mio — disse Tom — bisogna che siate un buon giovane: pensate quanti cuori posano sopra di voi. Non scostatevi mai da vostra madre: non seguite l’esempio di que’ giovinastri che fanno il sordo alla loro madre. Ricordatevi, padron Giorgio, che Dio può darci due volte molte buone cose, ma una madre non ci dà che una volta. Non ne trovereste un’altra come la vostra, padron Giorgio, quando anche viveste cento anni. Epperciò state sempre al suo fianco; crescete felicemente, e siate la sua consolazione, sempre buono, non è vero?»

— «Sì, zio Tom» rispose Giorgio seriamente.

— «E siate cauto nel parlare, padron Giorgio. I giovani, giunti alla [p. 104 modifica]vostra età, sono, il più delle volte, intrattabili; istinto di natura. Ma un vero onest’uomo, come spero sarete voi, non si lascia mai sfuggir parola che non sia rispettosa al cospetto de’ genitori. Vi ho forse offeso, padron Giorgio?»

— «No, certo, zio Tom; mi avete sempre dato buoni consigli.»

— «Sono più attempato — soggiunse Tom, accarezzando i bei capelli riciutti del giovinetto colla robusta e grossa sua mano, ma parlando con voce soave come quella di donna: — io preveggo il vostro avvenire. O padroncino Giorgio, voi avete tutto, educazione, privilegi, sapete leggere e scrivere, e diverrete un personaggio dotto, distinto, buono; i vostri compaesani, vostro padre, vostra moglie andranno superbi di voi! Siate un buon padrone come è vostro padre, un buon cristiano come è vostra madre. «Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua gioventù,» padron Giorgio!»

— «Sarò buono davvero, zio Tom — disse Giorgio; — ve lo prometto; sarò un uomo di riguardo; e voi rinfrancatevi. Vi ricondurrò a casa, come dissi stamane a zia Cloe; vi rifabbricherò per intero la vostra casetta; avrete un salottino con un tappeto, quando io sarò uomo fatto. Oh allora avrete buon tempo!»

In quel momento Haley comparve sopra la soglia, colle manete tra le mani.

— «Badate, signore — disse Giorgio, con tutta l’aria di maggior importanza che potea darsi; — mio padre e mia madre sapranno come trattate zio Tom.»

— «Vi riverisco» disse il mercante.

— «Dovreste arrossire di consumare tutta la vita a comperare uomini e donne, e incatenandoli come bestie; non vi credea tanto vile» disse Giorgio.

— «Finchè le signorie vostre compreranno uomini e donne, non mi terrò più colpevole di loro — disse Haley; — corre poca differenza tra il comprare e il vendere.»

— «Io non farò mai nè l’una nè l’altra cosa — disse Giorgio; — io che m’inorgogliva di essere Kentuckiese, ora ne arrossisco.»

E Giorgio si drizzò sulla sella, e guardò all’intorno quasi che tutto il paese dovesse commuoversi ad una tale dichiarazione.

— «Addio, zio Tom; state di buon animo» disse Giorgio.

— «Addio, padron Giorgio — disse Tom, accompagnandolo con uno sguardo di tenerezza e di ammirazione. — Dio vi benedica! Possa il Kentucky avere molti uomini che vi somiglino!» soggiunse nella pienezza del suo cuore, mentre la bella figura del giovanetto gli fuggia dalla vista.

E Tom continuò a guardar dietro finchè udì il calpestio del cavallo; [p. 105 modifica]ultimo suono, ultima vista de’ suoi. Ma parea che il cuore gli battesse più forte laddove le mani del giovanetto gli aveano appeso il prezioso dollaro. Tom vi pose sopra la mano, e se lo strinse al petto.

— «Ascolta, Tom — disse Haley mentre salìa in vettura e vi gettava le manette; — intendo di esser buono con te, come soglio essere co’ miei negri; se ti comporterai bene, ti tratterò bene; perchè non fui mai crudele co’ miei negri; procuro di far per essi quanto posso. Or dunque, acconciati di buon garbo alla tua fortuna, e non tentare di farmi qualche tiro, perchè conosco e non soglio tollerare le gherminelle dei negri. Se stanno quieti, se non tentan fuggire, hanno buon tempo con me; altrimenti, peggio per essi; è colpa loro.»

Tom assicurò Haley che non aveva la minima intenzione di fuggire. Difatti una tale raccomandazione parea inutile ad un uomo che avea i piedi legati da catene di ferro. Ma il signor Haley avea usanza di cominciare i suoi rapporti coi negri da qualche breve esortazione di cotal fatta, collo scopo, come egli credeva, di ispirare buon umore e confidenza, e rimuovere la necessità di qualche scena spiacevole.

E qui ci divideremo da Tom, per seguire altrove, nelle loro avventure, i personaggi del nostro racconto.