La Scimitarra di Budda/24. Il tempio di Fo
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24.
IL TEMPIO DI FO
Il Capitano e il piccolo cinese, che da quattro ore erano tornati, stavano per abbandonare l'albergo e mettersi in cerca dei loro compagni, quando questi arrivarono.
Non è a dire come rimasero sorpresi nel vederli così malconci, colle vesti lacere, senza cappelli e senza coda, armati di due gambe di tavolino, trafelati e coi volti coperti da echimosi.
– Gran Dio! – esclamò il Capitano. – Da dove venite?
– Dalla strada – rispose l'americano tranquillamente.
– In quello stato?
– In questo stato.
– Ma voi, disgraziati, vi siete abbaruffati.
– Noi! Sono stati i cinesi a inseguirci e bastonarci.
– Ma dove siete stati?
– In una taverna, prima. Volevamo ubriacare un cinese, ma quell'uomo era una vera spugna e ci ubriacammo prima di lui.
– E avete saputo nulla?
– Se eravamo tutti e due ubriachi era impossibile capire qualche cosa. Forse avrà parlato, avrà confessato tutto, ma io non ricordo nulla e nemmeno Casimiro.
– Dopo avete dato battaglia?
– Noi no, furono i cinesi che ci assalirono per istrada, probabilmente per derubarci. Vi giuro però che ne ho storpiato almeno venti e Casimiro altrettanti.
– Ho avuto torto a lasciarvi partire soli. Sospettavo che avreste commesso qualche birbanteria.
– Ma vi giuro che sono stati i cinesi.
– Voi o i cinesi, poco importa. Parliamo della Scimitarra di Budda.
– Oh! – esclamò l'americano. – L'avete di già trovata?
– Trovata no, ma so dove si trova.
– Dite su.
– Uditemi James.
– Sono tutto orecchi.
– Stamane, in una tavernaccia dei sobborghi, abbiamo interrogato tre uomini: un borghese, un soldato e un capitano di giunca.
– Ubriacandoli?
– Questo s'intende.
– E che cosa vi hanno detto?
– Il borghese ci disse che la Scimitarra di Budda era stata rubata nel 1790 da una banda di ladri e dipoi venduta all'imperatore di Birmania.
– All'imperatore di Birmania?
– Sì, James.
– E dove la fece nascondere?
– Ad Amarapura, la capitale dell'impero. Il soldato ci disse invece che era stata acquistata da un principe peguano, il quale l'ha fatta nascondere nella grande piramide dello Scioè-Madù.
– Diamine! Un po' più lontano e noi andremo nell'India.
– Il barcaiolo invece disse che fu acquistata dai bonzi di Yuen-Kiang, i quali l'hanno nascosta in uno dei loro templi.
– E sapete in quale?
– Sì, e l'abbiamo anche visitato. La Scimitarra sarebbe nascosta nel ventre di un idolo d'argento dorato.
– E l'avete visto questo idolo?
– Sì, James.
– È abitato il tempio?
– Ci sono dei bonzi.
– Li strangoleremo tutti. Me ne incarico io.
– Per farci accoppare tutti e quattro?
– Ma allora come entreremo?
– Forando il tetto. Dopo, con delle funi, ci caleremo giù.
– E i bonzi?
– Di notte non vegliano.
– E quando tenteremo il colpo?
– Questa notte. Tutto è già preparato.
– Camminate con molta furia, Giorgio.
– Bisogna agire così. Temo che si sappia qualcosa circa la nostra venuta e i nostri scopi. Abbiamo acquistato i quattro nuovi cavalli che ci aspettano nel cortile carichi di viveri e munizioni per un lungo viaggio; abbiamo poi comperato funi, lanterne, martelli e scalpelli. Non ci manca che di pagare lo scotto e partire.
– E se la Scimitarra non si trovasse? – chiese il polacco.
– Continueremo il viaggio fino ad Amarapura.
– E se non si trovasse nemmeno ad Amarapura?... – domandò l'americano.
– Andremo alla piramide dello Scioè-Madù.
– Io sono sempre pronto a seguirvi, Giorgio.
– Lo so, James, e vi ringrazio. Andiamo, amici, e che Dio ci aiuti.
Chiamarono il trattore, pagarono da veri principi e scesero nel cortile. Quattro cavalli vigorosi, carichi di viveri, munizioni, armi, funi e vesti, erano pronti a partire. I viaggiatori salirono in arcione e lasciarono l'albergo prendendo una larga via che tagliava per metà, da una porta all'altra, la cittadella.
La notte era assai oscura, essendo il cielo coperto da grandi masse di vapori. Non si udiva rumore alcuno, eccettuato il lugubre cigolìo delle mille banderuole agitate dal vento e il cupo gorgoglìo del fiume.
Alla mezzanotte, dopo aver percorso sei o sette stradicciole perfettamente deserte, i cavalieri entravano in una vasta piazza, in mezzo alla quale, isolato, giganteggiava un gran tempio rettangolare, cinto da tozze colonne, da poggioli e da gradinate e ornato, sulla cima, di piccoli idoli di porcellana gialla, di banderuole di ferro, di serpenti di porcellana azzurra e di guglie esilissime e assai alte.
– Ci siamo – disse il Capitano, mettendo piede a terra.
– È quello lì il tempio? – domandò l'americano, guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno li spiava.
– Sì, James.
– Chi salirà?
– Io, voi e Min-Sì. E tu, Casimiro, conduci i cavalli dietro a quel gruppo d'alberi e aspettaci.
Non vi era tempo da perdere. Il polacco prese i cavalli per le briglie e si allontanò. Subito il piccolo cinese, aiutandosi con le mani e coi piedi, si inerpicò sul tetto del tempio. Colà giunto, sciolse la fune che portava attorno al corpo, ne fissò un capo ad una guglia e gettò l'altro ai compagni.
L'americano e il Capitano in due minuti compirono l'ascensione. Raggiunto il compagno, si levarono le scarpe e si misero febbrilmente all'opera, aprendosi il passo fra le tegole che ammonticchiavano a destra e a sinistra, colle più grandi precauzioni.
– Alt! – disse il cinese, dopo alcuni passi.
– Cosa vedi? – chiese l'americano.
– Un piccolo foro.
– È quello che manda la luce nel tempio – disse il Capitano. – È aperto proprio sopra la testa del grande idolo.
– Ne siete certo? – chiese James.
– L'ho osservato stamane.
– Ci si passa?
– Non passerebbe un gatto – disse il cinese.
Il Capitano levò le tegole tutt'intorno, poi si curvò e cacciò la mano nel foro onde tastare lo spessore del tetto.
– C'è un piede appena da forare – disse. – Non sarà affar lungo.
– Vi sembra poco resistente il tetto? – chiese Min-Sì.
– Assai poco. Lo sento gemere sotto i piedi.
– Lasciate a me la cura di allargare il buco. Voi siete troppo pesante.
– Hai ragione, Min-Sì. Tiriamoci indietro, James.
Il cinese si trascinò fino al buco, afferro il suo bowie-knife e levò lentamente l'argilla mettendo allo scoperto un graticcio di bambù che con poche coltellate tagliò, praticando un largo foro.
Levati i rottami, guardò nel tempio.
– Vedi nulla? – chiese il Capitano, strisciando fino a lui.
– Una lampada che arde dinanzi all'altare – rispose il cinese.
– E l'idolo dov'è? – chiese l'americano.
– Sotto di noi.
– Vedi nessun bonzo?
– Il tempio è assolutamente vuoto.
– Coraggio dunque e scendiamo – disse Giorgio.
Min-Sì assicurò una fune attorno ad una grossa antenna di ferro sostenente un drago e gettò l'altro capo nel tempio. Tese l'orecchio, guardò ancora, poi si mise a scendere col coltello fra i denti. Giorgio e l'americano imitarono la silenziosa manovra mettendo piede a terra.
Il tempio era vasto assai, fiocamente illuminato da una lampada di talco, sospesa al soffitto. Nel mezzo c'era una piramide di mattoni cementati, sulla cui cima sedeva, su di un cuscino di seta rossa, un idolo di argento dorato.
Tutt'intorno, entro nicchie, v'erano altri idoli minori, alcuni di porcellana gialla, altri di metallo e altri di legno, adorni di fiori e di erbe.
– Dove sono i bonzi? – chiese l'americano un po' inquieto.
– Guardate là quelle otto o dieci porte – disse il cinese. – Mettono nei loro appartamenti.
– Potrebbe uscirne qualcuno?
– È probabile.
– Fuori i coltelli – disse Giorgio – e silenzio assoluto.
Andò ad ascoltare ad ogni porta, poi salì i gradini della piramide sulla cui cima stavasene l'idolo. Nel salire, il cuore battevagli forte forte e grosse gocce di sudore cadevangli dalla fronte.
Ad un tratto si arrestò indeciso, spaventato, col coltello in pugno. I suoi compagni avevano fatto un rapido salto nascondendosi dietro la piramide. Un leggero rumore erasi udito all'estremità del tempio.
Si sarebbe detto che una chiave avesse girato nella toppa.
Passò un minuto lungo quanto un secolo.
I tre avventurieri guardavano con ansietà le porte, temendo di vederne qualcuna aprirsi e comparire i bonzi.
– Ci siamo ingannati – mormorò il piccolo cinese, dopo un altro minuto d'angosciosa aspettativa. – Coraggio, Capitano!
– Coraggio, Giorgio! – disse l'americano. – Il primo uomo che appare lo prendo pel collo.
Il Capitano non aveva bisogno di essere incoraggiato; aveva il fuoco nelle vene. Salì la piramide, raggiunse l'idolo e gli puntò sul petto il bowie-knife.
La lama si sprofondò con uno stridore secco secco, arrestandosi contro un ostacolo. Una esclamazione, a mala pena soffocata, sfuggì dalle labbra del marinaio.
– Che c'è? – domandò l'americano con viva emozione. – Parlate, Giorgio, parlate!
– Silenzio! – disse il Capitano, che per la prima volta in vita sua tremava come una foglia. – C'è un ostacolo...
– La Scimitarra forse?
– Zitto, James, zitto.
Riafferrò il coltello che non poteva più andare innanzi e, dopo aver esitato, squarciò il petto all'idolo.
Ad un tratto fu visto vacillare, poi indietreggiare pallido, coi capelli irti, gli occhi strabuzzati.
– Gran Dio! – lo si udì esclamare con voce strozzata.
– La Scimitarra? La Scimitarra? – chiese l'americano, cercando di salire fino a lui.
Il Capitano fece un gesto di disperazione.
– Giorgio!... – mormorò l'americano.
– Capitano!... – mormorò Min-Sì.
– James!... Non c'è nulla!... Nulla!... – disse Giorgio.
L'americano emise un vero ruggito.
– Nulla!... La Scimitarra non c'è?... – esclamò.
– No, James, no! – disse Giorgio.
– Zitti! – disse in quell'istante il cinese. – Scendete, Capitano, scendete!
Una porta si era aperta con un prolungato cigolìo e sulla soglia era apparso un bonzo coperto d'una lunga tonaca gialla e con un lumicino in mano. Giorgio, lo yankee e il cinese, spaventati da quell'improvvisa apparizione, si affrettarono a nascondersi dietro l'altare.
Era tempo. Il bonzo, dopo aver ascoltato attentamente e di aver ben guardato all'intorno, si era avanzato con passo silenzioso verso la piramide. Depose il lumicino sul primo gradino, sciolse la corona che cingevagli i fianchi e sedette per terra borbottando una preghiera.
Min-Sì lo additò al Capitano con un gesto risoluto.
– Ti comprendo – mormorò Giorgio. – Sii prudente.
Il cinese si allontanò in punta di piedi, girando attorno all'altare, in maniera da non essere scorto.
Il Capitano e l'americano, immobili come statue, col cuore sospeso, seguivano l'audace manovra del compagno, pronti ad accorrere in suo aiuto.
D'improvviso il cinese si slanciò. Il bonzo, preso per la coda, fu bruscamente atterrato e imbavagliato prima che potesse emettere il più piccolo grido. Il Capitano e l'americano, muniti di solide corde, in pochi istanti lo legarono strettamente, impedendogli di fare il menomo movimento.
– Cosa ne facciamo? – chiese l'americano.
– Lo porteremo fuori di qui e lo faremo cantare – rispose il Capitano. – Ci dirà dov'è la Scimitarra di Budda.
– Ma cosa c'era nel ventre dell'idolo?
– Una sbarra di ferro invece della Scimitarra. Affrettiamoci, amici, prima che vengano altri bonzi.
Min-Sì, vedendo che non era cosa troppo facile risalire sul tetto col prigioniero, aprì la porta del tempio. L'americano si gettò in ispalla il povero bonzo che era mezzo morto dallo spavento e lo trasportò sulla riva del Kou-Kiang, deponendolo ai piedi di un albero. I suoi compagni, chiusa la porta, si affrettarono a raggiungerlo.
– Amico mio, – disse Giorgio al prigioniero, levandogli il bavaglio e mettendogli sotto il naso una pistola – ti avverto innanzi tutto che metterò in opera quest'arma se ti ostinassi a tacere o se tu raccontassi cose non vere. Tu sai che con una palla si va a trovare Budda.
Il bonzo, atterrito, tremante, gettò un gemito.
– Grazia! – balbettò. – Grazia! Io sono un povero uomo.
– Non ti torcerò un solo capello se tu risponderai a quanto ti chiederò. Odimi bene e non perdere una sillaba. Nel 1790, dal Palazzo d'Estate dell'imperatore Khieng-Lung, scompariva la Scimitarra di Budda. Sai tu chi la rubò e dove la nascose? Pensaci bene, prima di parlare, e non dimenticare che vi sono tenaglie roventi che strappano la carne a brani a brani, coltelli che mettono a nudo le ossa e bracieri che arrostiscono le piante dei piedi.
– Non so nulla! – balbettò il povero bonzo, che non aveva più sangue nelle vene.
Il Capitano fe' atto di scaricare la pistola.
– Non uccidetemi – gemette il bonzo cadendo all'indietro.
– Parla, dunque. Dov'è la Scimitarra di Budda?
– Non lo so... a Yuen-Kiang non si trova più.
– Ascoltami, bonzo: noi siamo stati mandati qui dall'imperatore tuo signore per ritrovare l'arma di Budda. Ingannando noi, inganni l'imperatore. Parla, parla, io lo voglio, e l'imperatore pure lo vuole.
Il bonzo batté la testa contro la terra più volte, ma senza dire verbo. Sembrava che fosse lì lì per morire dalla paura.
– Bonzo! bonzo! – ripeté il Capitano con accento minaccioso. – Parla o ti faccio arrostire a lento fuoco.
– Non vi dissi che la Scimitarra non si trova più a Yuen-Kiang? – gemette il povero diavolo.
– Ma tu devi sapere dove si trova. Lo leggo ne' tuoi occhi.
– Ve lo dirò, ma non uccidetemi.
– Ti prometto di lasciarti andare libero.
– Ascoltatemi adunque.
Il Capitano, James e Min-Sì s'avvicinarono al bonzo.
– Nel 1790 – diss'egli, dopo aver meditato per alcuni istanti – un fervido credente di Budda, il principe Yung-se, rubava la Scimitarra dal Palazzo d'Estate di Pechino e la donava al nostro tempio. Per quattordici o quindici anni rimase in nostra mano, ma nel 1804, il principe, rovinatosi completamente, ce la toglieva per venderla. Dapprima si recò nel Tonchino, poi nel Siam e infine in Birmania.
– In Birmania! – esclamò il Capitano.
– Sì, in Birmania.
– E la vendette?...
– All'imperatore per un prezzo favoloso.
– E ora trovasi?...
– In Birmania.
– Dove?... In quale città?
– Non lo so. Alcuni dicono che sia stata nascosta in un tempio di Amarapura e altri nella piramide dello Scioè-Madù.
– È tutto quello che sai?
– Tutto – rispose il bonzo.
– E tu mi assicuri che a Yuen-Kiang non esiste?
– Ve lo assicuro; non esiste.
– Giuralo sul tuo Budda.
– Lo giuro – disse il bonzo senza esitare.
Il Capitano tornò a imbavagliarlo, lo legò strettamente all'albero, poi si alzò. La sua mano si tese verso l'occidente, in direzione della Birmania.
– Amici, – diss'egli con voce vibrante – andiamo ad Amarapura, e che Dio ci aiuti!