La Lègge der 10 novembre
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LA LÈGGE DER 10 NOVEMBRE.1
E hanno ardire de dì ccerti bbuffoni
Che ss’appólleno2 a Rroma a ffà la cova,
Che in ne le case nostre cce se3 prova
Un freddo da cannìsse4 li c......!,
Mentre ch’er Papa a ttutti li cantoni,
Pe’ cquanti ggiorni l’anno s’aritrova,
Je fa appricà ’na camisciòla5 nova
D’editti, moti-propi e ccedoloni!
Lo vedete quell’omo co’ la pila?6
Èccheve7 un antro editto che ddà ffora,
E vve l’incolla a ddiesci fojji in fila.
Bbenedetta la mano che ll’ha scritto,
E ppòzzi scrive8 pe’ ttant’anni ancora
Pe’ cquanti antr’anni9 camperà st’editto.
23 dicembre 1834.
Note
- ↑ Pubblicatosi questo motu-proprio legislativo di Gregorio XVI, si trovarono sulla porta del compilatore di esso, avvocato Luigi Bartoli, le seguenti parole: Lunario nuovo per l’anno 1835. Il satirista ingiuriò le stabilissime leggi della Santa Sede, che non sono effemeridi, ma bolle di sapone.
- ↑ Fanno nido. [S’appollaiano.]
- ↑ Ci si.
- ↑ Da candirsi.
- ↑ [Una giacchetta. V. la nota 5 del sonetto: La milordarìa, 27 nov. 32.]
- ↑ [La pentola, della colla.]
- ↑ Eccovi.
- ↑ Possa scrivere.
- ↑ Altri anni.