La Gemma del Fiume Rosso/15. La vendetta del tha-ybu
Questo testo è completo. |
◄ | 14. L’interrogatorio del tha-ybu |
La vendetta del tha-ybu
Lin-Kai, dopo essere stato condotto nella caverna marina ed aver trangugiato il filtro verde che gli aveva versato in bocca Man-Sciù, era caduto in un profondo torpore, il quale però non ebbe che la durata di qualche ora.
Quando il giovane riaprì gli occhi, fu, come si può ben immaginare, molto sorpreso nel trovarsi in quella caverna, coi piedi legati e di non provare più quell’oppressione di cervello che gl’impediva di concretare il più breve pensiero.
I funesti effetti del filtro rosso, quel terribile veleno che riduce l’uomo più vigoroso e più energico ad uno stupido, anzi ad un vero idiota, erano completamente scomparsi e la mente era libera, ma assai confusa ancora, come facilmente si comprende.
Lin-Kai a tutta prima si chiese se per caso non avesse sognato, tanto stentava a raccapezzare le idee. Si rammentava confusamente di essere stato rapito dalle Bandiere Gialle e Nere, e di essere stato imbarcato a forza su una giunca da guerra comandata da Kin-Lung, di essere stato condotto alle isole, di aver bevuto un liquore che lo aveva fatto immediatamente soffrire, poi più nulla. Solo serbava un lieve ricordo di un uomo che gli parlava dolcemente, che l’aveva un giorno portato in una tenebrosa caverna, senza però riuscire a sapere chi fosse.
E poi, che cosa era avvenuto? Perché si trovava in quel momento solo in quell’antro marino, tutto cosparso di alghe, e perché il suo cervello poteva finalmente ragionare? Che cosa era accaduto di Sun-Pao e di Kin-Lung, i suoi rapitori, e della gentile Gemma del Fiume Rosso, la fanciulla che aveva tanto amata e che doveva farlo felice?
Per più di un’ora Lin-Kai continuò a pensare, sforzandosi involontariamente di riordinare le sue idee, che, invece di rischiararsi, sempre più si confondevano.
Un rumore confuso di voci e di bestemmie venne a strapparlo bruscamente dai suoi pensieri.
Degli uomini s’avvicinavano. Si udiva distintamente parlare e rotolare sul greto dei sassi.
Lin-Kai, sciolte rapidamente le corde che gli stringevano le gambe, era balzato in piedi.
Aveva riconosciuto due di quelle voci.
– Sun-Pao... Kin-Lung! – esclamò con un intraducibile accento d’odio. – Che cosa vengono a fare qui? A uccidermi forse?
Per istinto comprese che un grave pericolo lo minacciava. D’altronde nulla poteva aspettarsi di buono da quei due banditi che lo avevano rapito dalle rive del Fiume Rosso e che gli avevano fatto ingoiare quel filtro, che era stato causa di una sofferenza tanto lunga.
Il desiderio di sottrarsi a quei due uomini, il più presto possibile, lo prese; gettò intorno uno sguardo per cercare un nascondiglio, ma vide soltanto pareti impregnate di salsedine che non potevano offrire alcun rifugio.
– Se mi trovano qui sono perduto – mormorò. – Vi è il mare a due passi e sono un buon nuotatore. Fuggirò da quella parte.
Uscì cautamente. Quantunque la notte fosse oscura, distinse vagamente delle forme umane che s’avanzavano lungo la scogliera e che stavano già per raggiungere la penisoletta sulla cui estremità era stata raccolta due ore prima la povera Man-Sciù.
– Ci siamo subito – aveva gridato Sun-Pao. – Se si trova ancora nella caverna, non ci darà più noia. Il mare è profondo e le pietre non mancano qui.
Quelle parole, che erano giunte perfettamente agli orecchi del giovane valoroso, erano più che sufficienti per spiegare le intenzioni di quei bricconi.
– Vengono per uccidermi – mormorò Lin-Kai.
Strisciò rapidamente fino sull’orlo della scogliera e si lasciò cadere in acqua, senza fare rumore alcuno.
Nondimeno Sun-Pao doveva aver notato qualche cosa, perché Lin-Kai lo udì gridare:
– Si direbbe che uno squalo rade la scogliera laggiù. Non vedi nulla tu, Kin-Lung?
– Se è uno squalo che s’appicchi – aveva risposto il capo delle Bandiere Nere. – È Lin-Kai che mi preme.
– Lo avremo in mano presto. Ecco là l’ingresso della caverna marina.
– Che dorma?
– È impossibile.
– Gli faremo fare un bel tuffo con una pietra al collo ed i pescicani s’incaricheranno di farlo scomparire.
Lin-Kai, aggrappato ad una sporgenza della scogliera, quasi tutto sommerso, aveva udito quelle parole, ma non osava muoversi per paura di attirare l’attenzione di quei bricconi.
Appena però li vide entrare nella caverna, seguìti dagli altri due pirati che portavano il tha-ybu, si mise a nuotare vigorosamente, volgendo le spalle all’isola.
Aveva osservato che qualche miglio al largo, si alzavano alcune scogliere e si dirigeva verso di esse colla speranza di trovar almeno pel momento un sicuro asilo.
– Aspetterò laggiù che se ne vadano – mormorò. – Poi vedremo che cosa dovrò fare. Per ora salviamo la pelle.
Si era allontanato dalle isole qualche centinaio di metri, quando vide delle strisce fosforiche incrociarsi sotto la superficie del mare.
– I pescicani! – mormorò il disgraziato giovane, rabbrividendo. – Io non avevo pensato a questo pericolo. Riuscirò a raggiungere la scogliera? Cerchiamo di spaventarli.
Non era già la prima volta che aveva affrontato il mare e conosceva bene i pescicani, così numerosi presso tutte le coste tonchinesi.
Si mise quindi ad agitarsi, battendo di quando in quando le mani, ed a sommergersi.
Gli squali l’avevano già circondato, ma non osavano ancora assalirlo.
Erano sette od otto, tutti di dimensioni enormi e probabilmente affamati.
Lin-Kai udiva le loro mascelle scricchiolare e di tratto in tratto sentiva sulle proprie gambe la rugosa pelle di quei mostri formidabili.
Nondimeno continuava ad avanzarsi, nuotando con vigore sovrumano, pronto a sommergersi al primo tentativo d’assalto.
La scogliera era però più lontana di quanto aveva dapprima supposto.
Era già passata mezz’ora e non riusciva ancora a scorgerla nettamente.
Per di più si sentiva sfinito; forse da molte ore nessuno gli aveva dato da mangiare.
– Se fra dieci minuti non raggiungo quegli scogli, sarà finita – mormorò.
Fece appello a tutte le forze e raddoppiò le battute delle mani e dei piedi, ma le onde che lo assalivano di traverso lo stancavano orribilmente.
Ad un tratto un movimento falso lo cacciò sotto e l’acqua gli entrò copiosa nel naso e nella bocca.
Stava per tornare a galla, quando si sentì urtare violentemente.
Un pescecane aveva cercato di afferrarlo e di tagliarlo a metà.
Si lasciò colare subito a picco per sfuggire al terribile morso dello squalo, poi, con un vigoroso colpo di tallone, rimontò nuovamente alla superficie, respirando a pieni polmoni.
Un grido d’orrore gli sfuggì.
I sette od otto squali lo avevano circondato e gli muovevano in contro colle enormi bocche spalancate.
– È finita – mormorò il disgraziato. – Addio, Sai-Sing, fanciulla amata.
Poi tornò ad immergersi, aveva veduto vagamente le prime scogliere delinearsi a breve distanza e tentava di raggiungerle nuotando sott’acqua.
Percorse così quindici o venti metri, nuotando con disperata energia, finché urtò contro un ostacolo.
Per la terza volta risalì a galla ed i suoi occhi, quantunque fossero coperti da un velo, distinsero una massa oscura che si estendeva dinanzi.
Era un banco di rocce a fior d’acqua che si protendeva di fronte alla scogliera.
Sfinito da tanti sforzi, vi si lasciò cader sopra come morto, mentre i pescicani, furiosi di essersi lasciati sfuggire quella preda che avevano creduta certa, si allontanavano mandando dei rauchi sospiri.
Un sonno di piombo assalse quasi subito il giovane valoroso.
Quando si svegliò il giorno era alto. Era ancora stanco ma soffriva soprattutto la fame.
Attorno a lui regnava un silenzio ed una calma assoluta. Il mare, calmo come se fosse diventato un olio, non avventava più nessuna ondata contro il banco.
Lin-Kai, rassicurato da quella tranquillità, allontanò i gambi pieghevoli delle alghe che coprivano le rocce e volse uno sguardo all’ingiro.
Ad un miglio l’isola si delineava nettamente colle sue coste altissime e frastagliate; dietro al banco emergeva un gruppo di scoglietti aridissimi, privi di qualsiasi traccia di vegetazione, abitati solamente da pochi uccelli marini.
– Quale rifugio ho trovato io? – si chiese. – Tanto valeva che non abbandonassi l’isola delle Bandiere Nere e Gialle. In queste aride scogliere non potrò mai trovare un sorso d’acqua e ben poco da porre sotto i denti. Sarò costretto a tornare nella caverna. Non avendomi trovato mi crederanno forse morto. Che cosa fare? Non mi resta che aspettare la notte e cercare d’impadronirmi di qualche canotto per salvarmi nel Fiume Rosso. Sai-Sing sarà ancora là colla vecchia Man-Sciù. Povera fanciulla, quanto avrà sofferto!... E chissà se mi crederà ancora vivo. Maledetti pirati! Avete voluto vendicarvi delle sanguinose sconfitte che vi ho inflitte, ma un giorno anch’io avrò la mia rivincita. Giacché, chissà per quale miracolo, io ho riacquistata la ragione che voi mi avevate tolta col vostro infernale filtro, ne farò buon uso per distruggervi tutti.
Dopo quello sfogo, il giovane tonchinese si mise a strisciare attraverso il banco. Una fame atroce gli torturava gl’intestini e gli produceva crampi allo stomaco.
Per sua fortuna, benché tutto mancasse su quelle sterili scogliere, abbondavano le conchiglie.
Ne fece un’ampia raccolta e si mise a divorare i molluschi, in esse contenuti, con un’avidità quasi bestiale.
Quand’ebbe soddisfatto l’appetito, tornò a stendersi fra le alghe, mormorando:
– Aspettiamo la notte. Saprò ben trovare sull’isola qualche canotto e chissà che domani, se i pescicani mi risparmiano ancora, io non possa rivedere le rive del Fiume Rosso e la mia adorata Sai-Sing.
Sun-Pao e Kin-Lung, seguiti dai due luogotenenti che portavano il disgraziato tha-ybu, si erano scagliati entro la caverna come due belve feroci, più che convinti di sorprendere Lin-Kai ancora addormentato.
È facile immaginare il loro stupore e soprattutto la loro rabbia quando s’avvidero che quella grotta non era abitata da alcuno. Vi era a terra una fune, ma di Lin-Kai nessuna traccia.
– Sun-Pao – gridò Kin-Lung, con voce minacciosa. – Che burla è questa? Potevi fare a meno di venirmi a disturbare per vedere una caverna marina.
– Una burla!... – gridò il capo delle Bandiere Gialle con furore. – Siamo noi che siamo stati burlati.
– O tu che hai udito male.
– No, Lami ha ascoltato al pari di me quanto quella donna narrava.
– Cerca adunque Lin-Kai.
– Sarà fuggito.
– E dove? Non hai osservato che non esiste altro passaggio oltre questa caverna e che la scogliera è tagliata a picco? Nemmeno se fosse stato una scimmia, Lin-Kai avrebbe potuto arrampicarsi su quella nuda roccia.
– Si sarà gettato in acqua.
– E i pescicani non li conti? Guarda quelle linee fosforescenti. Non vorrei trovarmi là in mezzo – disse Kin-Lung.
– Eppure sono certo che Lin-Kai è stato condotto qui.
– Ti hanno burlato.
– Ma tu, Cantubi, che cosa ci hai parlato d’un tradimento e d’una caverna marina?
Il tha-ybu, che non era meno sorpreso dei due banditi per la misteriosa scomparsa del giovane tonchinese, guardò il capo delle Bandiere Nere, sorridendo ironicamente.
– Parla, vecchio maledetto – gridò Sun-Pao che era al colmo della rabbia.
– Tu non mi hai lasciato il tempo di interrogare gli astri – rispose finalmente il tha-ybu. – D’altronde io non ti avevo detto che Lin-Kai fosse stato nascosto in questa caverna. Ce ne sono molte nell’isola, tu lo sai.
– Indicami allora in quale.
– Sì, se mi lascerai il tempo di studiare gli astri.
– Sun-Pao – disse Kin-Lung, che aveva visitato attentamente la scogliera assieme al suo luogotenente – io ritengo che noi perdiamo il nostro tempo senza nessun profitto. Ti dico che la vecchia e Sai-Sing, accortesi che tu le spiavi, si sono burlate di te e che Lin-Kai si trova da un bel pezzo nel ventre dei pescicani. Non abbiamo forse raccolto il suo cappello? Quel pazzo si è annegato, te lo dico io.
– Se ciò fosse vero, la vecchia un giorno me la pagherebbe ben cara questa burla.
– Se allora sarai ancora nel numero dei viventi – disse Kin-Lung con voce beffarda.
– Spero di esserci.
– Non mi hai ancora ucciso.
– Proverai domani sera il filo della mia scimitarra.
– Spetta al tha-ybu pronunciare la sorte della Gemma del Fiume Rosso.
– La dirà domani sera – disse Sun-Pao. – Abbiamo aspettato perfino troppo ed i miei uomini sono impazienti di avere la loro regina.
– Sì, domani sera – disse il tha-ybu. – Prima della mezzanotte io saprò se la stella di Sai-Sing declina verso le isole delle Bandiere Gialle o delle Nere.
– Tu l’hai osservata anche questa sera, è vero, Cantubi? – chiese Kin-Lung.
– Sì.
– Verso quali tendeva a declinare?
– Non lo so ancora; rimaneva immobile.
– La mia giunca da guerra sarà pronta.
– E anche la mia – disse Sun-Pao.
– Addio, vecchio stregone, ti lascio a osservare la stella. Ne ho abbastanza di questa caverna e delle frottole di Sun-Pao.
Ciò detto, il capo delle Bandiere Nere uscì seguìto dal suo luogotenente, inoltrandosi sullo stretto cornicione che fiancheggiava la scogliera.
Sun-Pao, che era ancora invaso da una rabbia furiosa, s’accostò invece al tha-ybu, dicendogli con voce minacciosa:
– Bada che se tu farai piegare la stella verso le isole delle Bandiere Nere, ti strapperò di dosso la carne pezzetto a pezzetto. Sai-Sing deve essere mia.
– Io non posso comandare agli astri – rispose l’indovino.
– Tu puoi fare questo e altre cose ancora. Se questa sera ti ho risparmiato lo feci perché mi preme che tu decida la sorte di Sai-Sing in mio favore. Poi mi dirai dove hai nascosto Lin-Kai.
– Se gli astri me lo faranno sapere.
– Gli astri! – esclamò Sun-Pao con voce beffarda. – Tu sai dove si trova senza aver bisogno d’interrogarli.
– Ti ripeto che ti hanno ingannato e che io non mi sono mai occupato di Lin-Kai.
– Me l’ha detto una donna che al pari di te sa leggere il futuro.
– A te lo ha detto?
– A me o ad altri poco importa – disse Sun-Pao. – Io ho udito la confessione.
– Quella donna ha mentito e forse cercava di compromettermi per essere sostituita a me.
– Credo che Man-Sciù non abbia alcun desiderio di diventare la tha-ybu delle nostre tribù.
– Man-Sciù! – esclamò Cantubi, rabbrividendo. – E l’ha detto a te! È impossibile. Tu hai udito male.
– Ho udito bene quanto Sai-Sing. Addio, vecchio, e ricordati che domani sera pronuncerai la sorte della fanciulla.
Ciò detto, anche Sun-Pao se ne andò, accompagnato da Lami che lo aveva aspettato fuori della caverna.
Il tha-ybu, rimasto solo, si era seduto sopra un masso, stringendosi la testa con ambe le mani, immerso in profondi pensieri.
Quando spuntò l’alba, era ancora là, senza aver nemmeno cambiato posa.
Solamente i suoi occhi si erano fissati sull’immensa distesa d’acqua, che scintillava come se dei getti d’oro fuso scorressero sotto le onde.
Ad un tratto trasalì. Una forma umana era comparsa sulla cresta di un’onda, poi era sparita per riapparire qualche istante dopo.
– Un naufrago? – si domandò l’indovino. – Eppure non ha soffiato vento questa notte? Da dove viene quell’imprudente? Ignora che le acque dell’isola sono frequentate dai pescicani?
Si era vivamente alzato e guardava attentamente il nuotatore, il quale pareva che cercasse di dirigersi proprio verso la caverna.
Ad un tratto il tha-ybu si percosse fortemente la fronte.
– Che sia Lin-Kai? – si domandò. – Man-Sciù mi aveva promesso di fargli bere il filtro verde onde poi ricuperasse la ragione. Che egli, accortosi dell’avvicinarsi dei due pirati, si sia gettato in mare per sfuggire alla morte che lo attendeva? O che Man-Sciù, invece di averlo condotto qui, dove avrei dovuto trovarlo, l’abbia sbarcato in altro luogo?
Il nuotatore era ancora troppo lontano per poterlo riconoscere e poi cercava di tenersi più sommerso che gli fosse possibile, come se cercasse di non farsi scorgere dagli abitanti dell’isola.
Doveva essere però robustissimo e molto abile perché s’avanzava con rapidità, fendendo vigorosamente le onde che lo investivano da tutte le parti.
– Ritiriamoci nella caverna – mormorò il tha-ybu. – Se è veramente il fidanzato di Sai-Sing, scorgendo qui un uomo forse non oserebbe approdare.
Si nascose dietro l’angolo della roccia in modo da poter seguire egualmente le mosse del nuotatore.
Non era trascorso un quarto d’ora, quando il supposto naufrago giunse dinanzi alla caverna. Salì a fatica le scogliere, grondante d’acqua, ed entrò, lasciandosi cadere pesantemente al suolo come se le forze lo avessero improvvisamente abbandonato.
Nel vederlo, il tha-ybu non aveva potuto trattenere un grido di gioia.
– Lin-Kai!
Il giovane, udendo quella voce, con uno sforzo supremo si era alzato mettendosi sulla difesa.
– Non temere, prode di Seul – disse l’indovino uscendo dal suo nascondiglio. – Non mi conosci?
Lin-Kai guardò con un misto di stupore e di ribrezzo quel vecchio incartapecorito e rugoso, poi disse:
– Non ricordo di averti veduto in nessun luogo, tuttavia mi sembra di aver udito ancora la tua voce.
– Io sono il tha-ybu delle Bandiere Gialle e Nere, il marito di Man-Sciù.
– Man-Sciù! L’indovina del Fiume Rosso! Allora tu devi essere Cantubi! – esclamò il giovane, al colmo della sorpresa. – In tal caso tu non puoi essere un mio nemico.
– Sono io che ti ho salvato dalle unghie di quei miserabili, i quali avevano ormai decretato la tua morte. Tu non puoi ricordarti di nulla perché non avevo allora il filtro verde che era rimasto nelle mani di Man-Sciù.
Lin-Kai rimase per parecchi minuti silenzioso, passandosi e ripassandosi una mano sulla fronte.
Regnava ancora troppa confusione nel suo cervello perché potesse da un momento all’altro raccapezzarsi.
Il tha-ybu, se ne accorse.
– Ascoltami, prode di Seul – gli disse con dolcezza.
Poi, lentamente, affinché meglio lo comprendesse, gli raccontò gli avvenimenti che erano avvenuti durante il tempo in cui il terribile filtro delle Bandiere Nere lo aveva ridotto all’ebetismo.
Quand’ebbe finito, Lin-Kai era in piedi, fremente, cogli occhi in fiamme, il viso tremendamente alterato da una collera spaventevole.
– Sai-Sing, la mia adorata fanciulla del Fiume Rosso, è qui e quei miserabili si preparano a disputarsela!... Un’arme, Cantubi, dammene una, onde io vada a trucidare quegl’infami!...
– Tu non ti muoverai di qua – disse l’indovino con voce imperiosa. – È la loro morte che tu vuoi? Questa sera i due capi delle Bandiere Gialle e Nere non saranno più vivi e anche il tha-ybu sarà vendicato. Il fratello ucciderà il fratello.
– Che cosa vuoi dire con queste parole? – chiese Lin-Kai.
– Che quando entrambi saranno moribondi io svelerò loro il segreto confidatomi da Chan-Su, il terribile corsaro di queste isole, spentosi fra le mie braccia.
– Non ti capisco. Di quale segreto parli?
– I due capi delle Bandiere Nere e Gialle sono fratelli.
– Chi te lo ha detto?
– Chan-Su. Quel corsaro, prima di morire, mi rivelò che entrambi erano suoi figli. Kin-Lung legittimo, Sun-Pao no, perché nato da una schiava birmana, che non poteva diventare sua moglie.
– Ed i due capi delle Bandiere lo hanno sempre ignorato?
– Sì, perché io non l’ho detto a nessuno. Questa sera il fratello ucciderà il fratello e noi saremo vendicati.
– Sei terribile, Cantubi.
– Hanno distrutto la mia felicità, mi hanno acciecato o meglio hanno creduto di acciecarmi, per dieci anni ho sofferto e pianto la donna che amavo senza speranza di poterla un giorno rivedere.
– Ed ora piangeremo nostro figlio! – gridò una voce rotta dai singhiozzi. – Sun-Pao ce l’ha ucciso.
Man-Sciù era comparsa sulla soglia della caverna, scarmigliata, col viso bagnato di lagrime, invecchiata di dieci anni.
– Hanno ucciso Ong! – gridò il tha-ybu con accento straziante. – È impossibile! È impossibile!...
– Te lo dice la tua donna – gemette Man-Sciù.
Un urlo di belva feroce irruppe dalle labbra del misero indovino, poi girò due volte su se stesso e cadde fra le braccia di Lin-Kai, ripetendo con voce rotta:
– Mio figlio!... Mio povero figlio!... Vendetta!... Vendetta!...
Il sole era tramontato da un’ora, in mezzo ad una nube nerissima, che annunciava un nuovo uragano, e le tenebre erano calate sul mare, diventato nero come se si fosse tramutato in inchiostro.
Qualche lampo solcava di quando in quando lo spazio, mostrando le giunche da guerra dei due capi delle Bandiere Nere e Gialle, che si erano collocate dinanzi al villaggio, l’una di fronte all’altra.
Tutti i marinai erano sulle tolde, colle armi in pugno e colle micce dei cannoni accese, perché sapevano che i due capi si sarebbero disputata ferocemente la futura regina delle isole, dovesse pure il pronostico essere favorevole piuttosto all’uno che all’altro.
Sulla rupe che cadeva a piombo sul mare e che si drizzava all’estremità del villaggio, la Gemma del Fiume Rosso, calma, impassibile, ma cogli occhi ardenti, attendeva l’arrivo del tha-ybu.
Accoccolata ai suoi fianchi, colle braccia fasciate, con un satanico sorriso sulle labbra, stava la vecchia Man-Sciù e dinanzi a lei, ritti e colle scimitarre in pugno, sfidandosi già cogli sguardi pieni d’odio, i due capi delle Bandiere Nere e Gialle.
Entrambi avevano indossato le loro maglie d’acciaio e si erano riempite le cinture di pugnali, di coltellacci e di pistoloni.
Durante la giornata più volte, ora l’uno ed ora l’altro, si erano recati nella caverna delle rondini salangane ad interrogare il tha-ybu.
L’indovino invece si era rinchiuso in un ostinato silenzio.
Dopo il tramonto, quattro uomini, seguiti da un quinto che portava uno stendardo di seta nera, si erano recati alla caverna con un palanchino.
Il tha-ybu vi era salito senza pronunciare una parola.
Al suo giungere aveva scambiato un rapido sguardo colla vecchia Man-Sciù, come per rassicurarla, poi si era fatto porre dinanzi alla Gemma del Fiume Rosso.
Kin-Lung e Sun-Pao si erano accostati all’indovino.
– Hai interrogato gli astri? – chiesero ad una voce.
– Sì – rispose il tha-ybu.
– Pronuncia la mia sorte – disse la Gemma del Fiume Rosso. – Io apparterrò all’uomo che Gautama mi ha destinato, giacché stimo entrambi i due capi delle Bandiere Nere e Gialle e obbedirò ai decreti dello Spirito Marino.
Il tha-ybu s’avanzò brancolando, quantunque ci vedesse perfettamente, fino sull’orlo della rupe, poi, alzando le mani verso il cielo, gridò con voce poderosa, tanto che lo potessero udire anche gli equipaggi delle due giunche:
– Gautama ha parlato. Egli desidera che la Regina delle isole sposi il più prode dei due capi delle Bandiere Nere e Gialle. Attraverso le mie palpebre, vedo due navi armate, pronte alla battaglia, che Kin-Lung e Sun-Pao si misurino in un duello mortale e la Gemma del Fiume Rosso apparterrà al vincitore. Ho detto.
Un profondo silenzio aveva accolto quella profezia. Solo la vecchia Man-Sciù aveva fatto udire il suo riso stridulo.
– Sun-Pao! – gridò ad un tratto Kin-Lung, impugnando la scimitarra. – Vieni a disputarmi, se hai coraggio, la Gemma del Fiume Rosso.
– Kin-Lung – gridò a sua volta Sun-Pao. – I miei uomini hanno le armi pronte e le micce dei cannoni accese. Io ti ucciderò e diverrò lo sposo della Regina delle isole.
– Alle armi!
– Alle armi!
I due capi si erano slanciati giù dalla scala che conduceva sulla spiaggia, mentre grida orribili s’alzavano fra gli equipaggi delle due giunche, i quali si sfidavano a vicenda colla voce, prima di venire alle mani.
Il tha-ybu si era accostato alla Gemma del Fiume Rosso.
– Un uomo fidato, antico prigioniero di guerra, te lo condurrà qui – disse. – Io vedo già la sua scialuppa radere la spiaggia.
– Chi? – chiese Sai-Sing.
– Lin-Kai. Egli assisterà alla mia e alla sua vendetta.
Poi si curvò su Man-Sciù, dicendole con voce singhiozzante:
– E noi vendicheremo nostro figlio.
– Sì – gemette la vecchia.
Urla spaventevoli copersero le sue parole. Le due giunche da guerra avevano imbarcato i loro capi e si preparavano al terribile cimento.
Entrambe si erano scostate dalla spiaggia per manovrare più liberamente ed i loro equipaggi avevano acceso tutte le monumentali lanterne.
Un colpo di cannone rimbombò, poi un secondo, un terzo. La battaglia era cominciata fra i campioni delle due tribù, una battaglia senza quartiere.
Tuonavano orrendamente i cannoni e scrosciavano i moschetti, fra un urlìo incessante che aumentava sempre.
Le due navi cercavano di affondarsi a vicenda. Quella di Kin-Lung, meglio manovrata, tentava d’investire quella di Sun-Pao sotto la poppa e la cannoneggiava così violentemente, da farle subire perdite tremende.
Anche l’equipaggio di Sun-Pao non rimaneva però inoperoso e rispondeva gagliardamente, cercando di respingere gli avversari o di decimarli, prima di venire alle armi bianche.
Un fumo denso s’alzava sopra le due navi, avvolgendo talvolta perfino il gruppo formato dalla Gemma del Fiume Rosso, da Man-Sciù e dal tha-ybu.
Gli alberi oscillavano, poi cadevano schiantati assieme ai pennoni, alle vele e agli stendardi neri che erano stati spiegati sugli alberetti, eppure non cessava la rabbia dei combattenti.
In mezzo a quei clamori, a quelle detonazioni e allo spezzarsi dei legni, di quando in quando si udiva la voce cavernosa di Kin-Lung e quella strillante e acuta di Sun-Pao.
– Vile! Hai paura! – gridava l’uno.
– Cane! Mi sfuggi! – rispondeva l’altro.
Ad un tratto le due giunche s’investirono con un rimbombo assordante.
Quella di Kin-Lung aveva piantato la prora nella poppa dell’altra, aprendole uno squarcio immenso.
In mezzo al fumo e fra i lampi delle artiglierie, il tha-ybu scorse vagamente gli uomini di Kin-Lung rovesciarsi sulla tolda della nave nemica. Un sorriso crudele si delineò sulle sue labbra.
– È finita – disse.
Le Bandiere Nere e Gialle, dopo essersi decimate da lontano, ora si sterminavano da vicino a colpi di scimitarra, di picca, di pugnale e di coltellaccio.
Per parecchi minuti si udirono urla di morte e urla di dolore, uno scrosciar d’armi, un frastuono infernale, poi successe un silenzio di tomba.
La giunca di Sun-Pao affondava lentamente, mentre quella di Kin-Lung, abbandonata a se stessa, veniva respinta dalle onde verso la spiaggia.
– Sono morti tutti? – chiese la Gemma del Fiume Rosso, che aveva assistito, impassibile, a quella terribile pugna.
– No – disse il tha-ybu, che si era curvato sull’orlo della rupe. – Vedo una scialuppa che si dirige verso la spiaggia.
Infatti un canotto si era staccato dalla giunca di Sun-Pao che stava per scomparire e s’accostava alla riva faticosamente. Vi erano alcuni uomini dentro.
– Ecco il vincitore che giunge – disse il tha-ybu afferrando una scimitarra che Man-Sciù gli porgeva.
Nella scialuppa non vi erano che tre uomini e uno di questi giaceva coricato su di un banco.
Toccata la riva, i due rematori avevano sollevato il terzo, salendo lentamente la gradinata. Al pari del loro compagno parevano gravemente feriti e si lasciavano dietro delle larghe chiazze di sangue.
Si avviarono barcollando verso la rupe e deposero il compagno dinanzi alla Gemma del Fiume Rosso, dicendo con voce semispenta:
– Ecco il vincitore.
Quindi caddero l’uno addosso all’altro, come se la morte li avesse sorpresi d’improvviso.
Il vincitore era Sun-Pao, ma aveva pagata ben cara la vittoria.
Aveva la maglia squarciata e sanguinante e una spaventevole ferita attraverso il viso.
Il bandito si levò pesantemente, appoggiandosi sulle mani e guardò la Gemma del Fiume Rosso, dicendole:
– Ho vinto... sei mia...
Ad un tratto un urlo feroce gli uscì dalle labbra. Aveva veduto comparire a fianco di Sai-Sing il prode Lin-Kai.
Con uno sforzo supremo si rizzò sulle ginocchia, cercando di levarsi dalla cintura il pugnale malese, ma si trovò dinanzi al tha-ybu.
– Sun-Pao! – gridò l’indovino con voce sibilante. – Tu hai ucciso mio figlio, ma hai ucciso anche tuo fratello e hai perduto la Gemma del Fiume Rosso. Muori maledetto!
Poi con un colpo di scimitarra lo rovesciò al suolo, col cranio spaccato.
– Siamo vendicati tutti – gridò. – E le Bandiere Nere e Gialle si sono sterminate fra di loro.
La stessa notte, Sai-Sing, Lin-Kai, la vecchia e l’indovino lasciavano l’isola, su una scialuppa guidata da due isolani fedeli al tha-ybu e l’indomani giungevano alla foce del fiume.
Un mese più tardi Lin-Kai, perfettamente rimessosi, grazie al miracoloso filtro verde che gli era stato nuovamente somministrato dal tha-ybu e da Man-Sciù, impalmava la Gemma del Fiume Rosso.
Cantubi ora è l’indovino di Seul e trascorre placidamente la sua vecchiaia a fianco di Man-Sciù, in una comoda casetta regalatagli da Lin-Kai e dalla sua sposa.
E le Bandiere Nere e Gialle, dopo la morte dei loro capi, non hanno più osato mostrarsi sulle coste del Tonchino, troppo temendo la terribile scimitarra del valoroso Lin-Kai.