La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Considerazione seconda - Talete e Sulpicio

Considerazione seconda - Talete e Sulpicio

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CONSIDERAZIONE SECONDA

talete e sulpicio.

Tutte le storie dopo Erodoto (lib. i, sez. 74) danno a Talete, uno de’ sette saggi e principe della scuola ionica, la preeminenza della predizione di un’eclissi fra’ greci. Ma il Gentil (Mémoires de l’Acadèmie des Sciences, 1756, pp. 78 ed 81) lo niega, fondando le sue opposizioni su calcoli astronomici, a cui non potrò mai arrendermi, se non mi sará prima provato che all’etá di Talete non sia avvenuta un’eclissi, o che non sia passata vicino alla terra una cometa, che, coprendo il disco solare, avrebbe fatto a quelle genti, ignare delle scienze astronomiche, prendere il fenomeno per un’eclissi. Or, poiché Erodoto dice che «il giorno divenne di repente notte» appunto nell’etá di Talete; poiché questo racconto è bensí modificato ma non affatto negato dagli astronomi (Bailly, Hist. de l’astr. ancienne, lib. vi), non so come si possa tôrre a Talete la gloria di avere predetto uno di questi fenomeni. I racconti inesatti degli storici possono condurre la critica a rettificare i fatti e le epoche, ma rare volte o non mai a negarli del tutto. Per tôrre la gloria a Talete, conviene prima negare ch’egli fosse astronomo (lo che è provato da Diogene Laerzio, in Talete, sez. 34), o che gli astronomi, che lo seguirono, non sapessero predire sí fatti fenomeni. E queste cose non denno essere provate con autoritá storiche, poiché, se le memorie antiche sono false per noi, non hanno ad essere vere per gli oppositori.

Fra’ romani fu primo ad attendere all’astronomia Sulpicio Gallo, di cui il Bailly (Histoire de l’astronomie moderne) parla solo per incidenza. Sulpicio fu studioso delle greche lettere (Cicerone, De Claris orat., cap. 20), che giá incominciavano a germogliare in Roma; anzi nell’anno della pretura di Sulpicio morí Ennio. Maggiore fama a se stesso ed utilitá alla repubblica ricavò dall’astronomia, ch’ei trattò indefessamente (Cic., De senect., cap. 14). La predizione dell’eclissi lunare, citata da noi in nota a vv. 1-4, è distesamente raccontata da Livio (lib. xliv, 37), da Plinio (lib. ii, cap. 12), e, con alcuna diversitá, da Valerio Massimo (lib. viii, [p. 278 modifica] cap. xi, 8). Sulpicio, forse unico astronomo in Roma sino a’ tempi di Cesare (Cic., Tuscul., lib. i, cap. 3), scrisse un libro intorno alle eclissi. Fra’ greci fu Ipparco che piú esattamente ne ragionò. Fortunati que’ mortali, che con le scienze hanno potuto sgombrare dalla mente degli uomini il terrore de’ fulmini e delle eclissi improvvise! perocché prima di essi ad ogni fenomeno «aeternam timuerunt saecula noctem». I re ed i sacerdoti se ne valeano. * Solo Tiberio Claudio ammoní Roma di un’eclissi solare. Da letterato com’era, corredò l’editto d’insegnamenti astronomici, infruttuosi alla plebe, che non gli intendeva, ed a’ grandi, che in quella dottissima etá li sapevano. Né per favore alle scienze: ma l’eclissi cadeva nel giorno natale dell’«infausto» principe *.