Prologo

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Atto primo
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PROLOGO.


Questa Commedia, ch’oggi1 recitatavi
Sarà, se nol sapete, è la Cassaria,
Ch’un’altra, già vent’anni passano,
Veder si fece sopra questi pulpiti:2
Ed allora assai piacque a tutto il popolo,
Ma non ne riportò già degno premio;
Chè data in preda a gl’importuni ed avidi
Stampator fu, li quali laceraronla,
E di lei fêr ciò che lor diede l’animo;
E poi per le botteghe e per li pubblici
Mercati a chi ne volse la venderono
Per poco prezzo; e in modo la trattarono,
Che più non paréa quella che a principio
Esser soléa. Se ne dolse ella, e fecene

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Con l’autor suo più volte querimonia;
Il qual mosso a pietà delle miserie
Di lei, non volle alfin patir che andassino
Più troppo in lunga. A sè chiamòlla, e fecela
Più bella che mai fosse, e rinnovatala
Ha sì, che forse alcuno che già in pratica
L’ha avuta, non la saprebbe, incontrandosi
In lei, così di botto riconoscere.
Oh se potesse a voi questo medesimo
Far, donne, ch’egli ha fatto alla sua favola;
Farvi più che mai belle, e rinnovandovi
Tutte nel fior di vostra età rimettervi!
Non dico a voi che sete belle e giovani,
E non avete bisogno di accrescere
Vostre bellezze, nè che gli anni tornino
Addietro, ch’or nel più bel fior si trovano,
Che sian per esser mai: così conoscerli
Sappiate, e ben goder prima che passino!
Ma mi rivolgo e dico a quelle ch’essere
Vorrían più belle ancor, nè si contentano
Delle bellezze lor: che pagherebbono,
S’augumentarle e migliorar potessino?
Che pagherían molt’altre ch’io non nomino?
Le quai non però dico che non sieno
Belle; ben dico che potrebbon essere
Più belle assai: e s’elle hanno giudizio
E specchio in casa, dovrían pur conoscere
Ch’io dico il vero: chè se ne ritrovano
Infinite di lor più belle; e i bossoli,
E pezze di Levante, chè continua-
mente portano seco, poco giovano:
Chè se la bocca, o il naso, grande o picciolo
Hanno più del dovere, o i denti lividi,
O torti o rari o lunghi fuora d’ordine,
O gli occhi mal composti, o l’altre simili
Parti in che la bellezza suol consistere,
Mutar non li potrà mai lor industria.
Che pagheríano quelle? A quelle volgomi
Che soleano esser sì belle, quando erano
In fiore i lor begli anni; quelli sedici
O quelli venti. O dolce età, o memoria
Crudel, come quest’anni se ne volano!

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Di quelle io parlo che nello increscevole
Quaranta sono entrate,3 o pur camminano
Tuttavia innanzi. O vita nostra labile!
Oh come passa, oh come in precipizio
Veggiamo la bellezza ire e la grazia!
Nè modo ritroviam che la ricuperi;
Nè per mettersi bianco, nè per mettersi
Rosso, si farà mai che gli anni tornino;
Nè per lavorar acque, che distendano
Le pelli; nè, se le tirassin gli argani,
Si potrà giammai far che si nascondano
Le maladette crespe, che sì affaldano
Il viso e il petto, e credo peggio facciano
Nelle parti anche che fuor non si mostrano.
     Ma, per non toccar sempre, per non essere
Addosso a queste donne di continuo
(Benchè toccar si lasciano, e si lasciano
Esser addosso, nè se ne corrucciano;
Sì di natura son dolci e piacevoli!).
Voglio dir due parole ancor ai giovani;
E dir le voglio a quei di corte massima-
mente, li quali han così desiderio
D’esser belli e galanti, come l’abbiano
Le donne; e con ragion, chè ben conoscono
Che in corte senza la beltà e la grazia,
Nè mai favor nè mai ricchezze acquistano.
Altri per altri effetti esser vorrebbono
Belli: l’intenzïon perchè lo bramino
Così, non vô cercar. Ma tollerabili
Simili volontà sono ne’ giovani
Più che ne’ vecchi: e pur non meno studiano
Alcuni vecchi, più che ponno, d’essere
Belli e puliti; e quanto si fa debole
Più loro il corpo (chè saran decrepiti
Se pochi giorni ancora al mondo vivono),
Tanto più fresco e più ardito si sentono
E più arrogante il libidinoso animo.
Hanno i discorsi, i pensieri medesimi,

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Le medesime voglie e i desiderii
Medesimi che ancor fanciulli avevano;
Così parlan d’amor, così si vantano
Di far gran fatti; non men si profumano,
Che si facesson mai, non meno sfoggiano
Con frappe e con ricami; e per nascondere
L’età, dal mento e dal capo si svellono
Li peli bianchi: alcuni se li tingono;
Chi li fa neri e chi biondi, ma varii
E divisati in due o tre dì ritornano:
Altri i capei canuti, altri il calvizio
Sotto il cuffiotto appiatta; altri con zazzere
Posticcie studia di mostrarsi giovane;
Altri il giorno due volte si fa radere.
Ma poco giova che l’etade neghino,
Quando il viso gli accusa e mostra il numero
Degli anni, a quelle pieghe che s’aggirano
Intorno a gli occhi; a gli occhi che le fodere
Riversan di scarlatto, e sempre piangono;
O a li denti che crollano o che mancano
Loro in gran parte, e forse mancherebbono
Tutti, se con legami e con molt’opera
Per forza in bocca non li ritenessino.
Che pagheríano questi se ’l medesimo
Forse lor fatto, che alla sua Commedia
Ha l’autor fatto? parrebbe lor picciola
Mercede ogni tesoro, ogni gran premio.
Ma s’avesse l’autor della Commedia
Poter di fare alle donne ed a gli uomini
Questo servizio, il quale alla sua favola
V’ho detto ch’egli ha fatto (chè accresciutole
Ha le bellezze, e tutta rinnovatala),
Senz’altro pagamento o altro premio
Lo farebbe a voi, donne; chè desidera
Non men farvi piacer, che a sè medesimo.
Ma molte cose si trovano facili
A far per uno, che sono impossibili
A far per alcun altro. Se in suo arbitrio
Fosse di fare più belli e più giovani
Uomini e donne, come le sue favole,
Avría sè stesso già fatto sì giovane,
Sì bello e grazïoso, che piaciutovi

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Forse saría non men ch’egli desideri
Che v’abbia da piacer la sua Cassaria.
Ma se questo non può far a suo utile,
Che non lo possa fare avete a credere
A vostro ancora: se potesse, dicovi
Da parte sua, che vel faría di grazia.4




Note

  1. Ignorasi la stagione od il giorno, ma nel 1517. Vedi la nota prima alla Commedia di egual titolo in prosa; e il Baruffaldi, Vita ec., pag. 180.
  2. Qui per palco scenico, alla maniera dei Latini. Orazio nell’Arte poetica: Traxitque vagus per pulpita vestem. — (Pezzana.)
  3. Una copia veduta dal Barotti leggeva: «nello increscevole Anta già sono entrate;» cioè, come spiega esso editore: «sono entrate in quel numero d’anni che finisce in anta, dove l’età già piega alla vecchiaja, massimamente per le donne.»
  4. Di grazia qui vale Gratuitamente, Gratis; e corrisponde al detto di sopra: «Senz’altro pagamento o altro premio.»