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118 la cassaria.

Con l’autor suo più volte querimonia;
Il qual mosso a pietà delle miserie
Di lei, non volle alfin patir che andassino
Più troppo in lunga. A sè chiamòlla, e fecela
Più bella che mai fosse, e rinnovatala
Ha sì, che forse alcuno che già in pratica
L’ha avuta, non la saprebbe, incontrandosi
In lei, così di botto riconoscere.
Oh se potesse a voi questo medesimo
Far, donne, ch’egli ha fatto alla sua favola;
Farvi più che mai belle, e rinnovandovi
Tutte nel fior di vostra età rimettervi!
Non dico a voi che sete belle e giovani,
E non avete bisogno di accrescere
Vostre bellezze, nè che gli anni tornino
Addietro, ch’or nel più bel fior si trovano,
Che sian per esser mai: così conoscerli
Sappiate, e ben goder prima che passino!
Ma mi rivolgo e dico a quelle ch’essere
Vorrían più belle ancor, nè si contentano
Delle bellezze lor: che pagherebbono,
S’augumentarle e migliorar potessino?
Che pagherían molt’altre ch’io non nomino?
Le quai non però dico che non sieno
Belle; ben dico che potrebbon essere
Più belle assai: e s’elle hanno giudizio
E specchio in casa, dovrían pur conoscere
Ch’io dico il vero: chè se ne ritrovano
Infinite di lor più belle; e i bossoli,
E pezze di Levante, chè continua-
mente portano seco, poco giovano:
Chè se la bocca, o il naso, grande o picciolo
Hanno più del dovere, o i denti lividi,
O torti o rari o lunghi fuora d’ordine,
O gli occhi mal composti, o l’altre simili
Parti in che la bellezza suol consistere,
Mutar non li potrà mai lor industria.
Che pagheríano quelle? A quelle volgomi
Che soleano esser sì belle, quando erano
In fiore i lor begli anni; quelli sedici
O quelli venti. O dolce età, o memoria
Crudel, come quest’anni se ne volano!