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I III


Tale fu Beatrice Portinari, tali le sue qualità, tale la sua brevissima vita.
Storicamente essa è figura incompleta; ma ciò che le manca nella realtà storica essa lo acquista nella realtà dell’arte, nella quale si afferma in guisa nuova, originale, incancellabile.
La qualità della sua bellezza si prestava mirabilmente ai voli del sentimento, e al lavorio del pensiero, che vedeva in lei qualcosa di soprannaturale e d’arcano:

Venuto in terra a miracol mostrare. (Vita Nuova, XXVI)

Se ella poteva operar questo nell’animo di molti, immaginiamo quale e quanta dovea essere la sua potenza sull’animo del nostro Poeta.
Il quale, dotato com’era di uno di quei caratteri potenti ed armoniosi che risultano da un gagliardo equilibrio tra le facoltà dell’intelletto e del cuore, dovea necessariamente sentire per lei un amore di «[...] sì nobilissima virtù, che nulla volta sofferse di reggersi senza il fedele consiglio della ragione in quelle cose la ove tal consiglio fosse utile a udire ».

Codesto amore perciò vediamo essere sin da principio qualcosa di più di una semplice passione: un affetto che si avvalora del consiglio della ragione; che deriva ugualmente dal cervello e dal cuore; dalla quale duplicità risulta appunto il dramma intimo e continuo che si svolge nella Vita Nuova, nella giovinezza del poeta; e che egli ci descrive con una fedeltà e un’ingenuità senza pari.
Aggiungasi a questo quella tal retorica dell’amore tanto in voga a quei tempi, quell’atmosfera scolastica dentro alla quale doveano respirare gl’ingegni, e che s’insinuava ed influi va tanto anche negl’intelletti più forti ed indipendenti; quella corrente cavalleresca che modificava idealmente le condizioni e trasformava la natura della donna, di cui s’era fatto un tipo, un idolo, un’idea, che faceva mirabile contrasto con la vita brutale della forza, e si avrà tutta la ragione e la fisionomia dell’amore di Dante.

Non è però da meravigliare, che questo amore, che assume qua e la tutto il carattere di una forte passione, si spieghi talvolta e si riveli in forme affatto artificiali e scolastiche; assuma attitudini del tutto intellettuali. Un amore per quella tale Bea trice, in quei tali tempi e nella tale anima di Dante non poteva manifestarsi e svolgersi diversamente.

Io vedo in codesto amore come due ruscelli che corrono per lo stesso verso, infrenati ugualmente dagli argini, tranquilli per lo più, puri sempre e limpidi come cristalli che specchiano l’azzurro del cielo; che talora per un maggiore pendio, per un vario serpeggiamento, per un istinto secreto pare si vogliano con fondere, ingrossare insieme le acque, e prorompere, ma pur sempre tenuti in freno da una forza superiore e misteriosa.
Questa forza superiore è la volontà ferma, ferrea, invincibile dell’Alighieri, che può ciò che vuole, che sovrasta a tutto: ai suoi tem pi, ai suoi destini, a se stesso.
L’amore di lui perciò non è sola mente sentito, come avviene per i più; è un amore ragionato e voluto, un amore che sente, che vuole, che può: è tutta la personalità del poeta, che si afferma e si esplica in quel modo, per quel mezzo e per quella via.
Non intende però questo amore chi si adombra delle dissertazioni, delle analisi, delle chiose e delle note, che il poeta frammette alla narrazione de’ suoi sen timenti, ai suoi versi più affettuosi, alle scene commoventi che ci descrive.
 
Beatrice, la figlia di Folco, non è che la trama sotti le sulla quale l’anima tutta di Dante, riconcentrata in una sola grande potenza, dipinge tutta l’iliade dell’amore.
L’anima del poeta è un potente laboratorio, in cui la figura di Beatrice, se guitando l’assottigliamento delle sue membra mortali, si tra sforma a poco per voltà, diventa più trasparente ed eterea, perde di mano in mano la forma sensibile, tutto ciò che l’incatena alla terra; assume le qualità di pura sostanza, per poi perdere anche queste, assorbirsi nell’intellegibile, e diventare un sim bolo e un’allegoria.

Dante è poeta, filosofo, credente; l’amor suo perciò è di triplice natura: è sentimento, ragione, fede; abbraccia l’arte, la scienza, la religione.

Stupido per questo è il rimprovero che fa Leonardo Aretino al Boccaccio, d’avere, cioè, dato troppo peso all’amore nella vita dell’Alighieri.
Senza l’amore di Beatrice la vita di Dante non si spiegherebbe: l’anima, l’intelletto, il carattere di lui sarebbe una sigla indecifrabile.
Si noti però, che attraverso la lotta più o meno palese fra il sentimento, la ragione e la fede, in mezzo al dramma intimo o patente che si svolge di continuo nell’anima di Dante, non manca e non si nasconde mai quel non so che di armonico e d’equilibre tra le facoltà, che unisce e fonde dirò così, il carattere dell’uomo, del cittadino e del poeta; il quale ci si presenta sempre come un insieme stupendo, fermo, intero, deciso come una statua di bronzo.

Da questo equilibrio appunto e da questa armonia, da cui nasce la completa ed intensa unità fra le opinioni e gli affetti, sorge la potenza e la perfezione del gran poema, dove questa mirabile armonia è rappresentata nelle molteplici forme dell’arte.
Nelle altre opere possiamo osservare il predominio di questa o di quella facoltà: nella Vita Nuova predomina il sentimento, nel Convito la ragione; nella Monarchia il preconcetto politico; nella Divina Commedia, ch’è l’opera finale, tutto è contemperato ed armonico; l’uomo ha raggiunto la per fetta padronanza di sè; il poeta, il perfetto magistero dell’arte; tutto ciò che poteva essere discorde nel sentimento, nella ragione, nella fede del poeta si fonde insieme e forma la statua colossale.