L'avventuriere onorato/Lettera di dedica

Lettera di dedica

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L'avventuriere onorato L'autore a chi legge
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A SUA ECCELLENZA

LA SIGNORA MARCHESA

LUCREZIA BENTIVOGLIO

RONDINELLI.


A
LCUNI di quelli che hanno veduto il mio Avventuriere onorato sulle Scene al pubblico rappresentarsi, riconoscendo in esso varie avventure in me medesimo verificate, hanno creduto che la persona mia propria avessi io scelta per soggetto di una Commedia. Non dico sfacciatamente che ciò sia vero, ma non nego altresì, che qualche analogia non passi fra il protagonista e l’Autore. La patria, il genio, le professioni, le persecuzioni medesime del povero mio Guglielmo in me facilmente si potrebbono riscontrare. Ecco però, Eccellenza, dove io non posso essere riconosciuto: nel matrimonio. Toccò al mio Avventuriere una vedova Palermitana con dieci mila scudi d’entrata; sposata ho io una fanciulla di patria Genovese, senza le ricchezze di Donna Livia, quando a queste giustamente contrapporre non si volesse il ricchissimo patrimonio ch’ella mi ha portato in casa di una discreta economia, di una esemplare morigeratezza, di una inalterabile rassegnazione, le quali virtù mi hanno recato, se non maggiori comodi, pace almeno e tranquillità, d’ogni altra dote maggiore. Siccome però le impressioni fatte nel popolo difficilmente possono essere dileguate, e vi saranno di quelli che o per propria immaginazione, o per tradizione altrui, vorranno a me medesimo questa Commedia appropriare, trovami in necessità di procurarle una protezione che vaglia a difenderla da’ critici, da’ maligni, dagl’impostori.

In chi mai poteva io sperarla maggiore che nell’E. V., in cui si accoppiano tante belle Virtù, tralle quali trionfa mirabilmente [p. 192 modifica] la compassione? Il Marchese D’osimo, il Conte Portici, il Conte Di Brano perseguitavano il mio Avventuriere. Il Vicerè di Sicilia lo ha accolto, lo ha protetto, lo ha beneficato. Faccia di me la Sorte il peggio che possa farmi, troverò sempre in Voi il mio asilo, il mio rifugio, la mia benignissima Protettrice. Questa e per me una gloria, che supera di gran lunga qualunque mia sofferta disavventura; e tutti coloro che cercano per varie strade di screditarmi, s’arresteranno immobili al Nome grande, al pio Nome e rispettabile dell’E. V. Esso è molto ben conosciuto nella Repubblica Serenissima di Venezia, dove da lunghissimo tempo la vostra Illustre natia Famiglia de’ Bentivogli gode gli onori della Veneta Nobiltà; Famiglia antichissima nell’Italia, la quale, oltre al Dominio posseduto de’ Bolognesi, vanta una lunga serie d’Ordini insigni, di sacre Porpore, d’Uomini illustri; e nota siete egualmente per il veneratissimo nome di Sua Eccellenza il Signor Marchese Ercole Rondinelli, degnissimo vostro Sposo: il quale fra le Toghe, e gli Onori, e gli Ordini, e le Giurisdizioni, e le dignità più cospicue godute dalla nobilissima Famiglia sua in Ferrara, vanta quella di Gonfaloniere in Firenze, da dove l’antichissima origine riconosce. Ma a chi imprendo io a ragionare di ciò? A Voi, a cui indrizzo quest’umile rispettosissimo foglio? È inutile rammentare a Voi medesima le glorie vostre, ed oltre ciò se ne offenderebbe la vostra esemplare modestia. Questa però non può nascondere agli occhi del Mondo le vostre eroiche Virtù, poichè avendole Voi mirabilmente comunicate e diffuse nella nobilissima Prole vostra, in essa s’ammirano i vivi esempi della vostra bontà di cuore, e della prontezza del vostro spirito. In fatti nel nobilissimo Conservatorio detto delle Quiete, dove sotto la Protezione dell’Augustissimo Imperatore Gran Duca Di Toscana s’allevano, non lungi dalla Città di Firenze, nobili e virtuose Donzelle, le gentilissime Figlie vostre sono la delizia e l’ammirazione di chi ha l’onor di conoscerle e di trattarle; siccome lo è in Ferrara la virtuosissima Signora Contessa Avolia, una delle suddette figliuole vostre carissime. Non finirei di scrivere in più giorni, se tutte enumerare volessi quelle doti ammirabili, quelle [p. 193 modifica] dolcissime doti che vi adornano. Somma Prudenza, Gentilezza di tratto, Sincerità di cuore, Brio ammirabile di talento, Pietà per i miseri, Amor del Vero, Inclinazion per le Lettere, Protezione per chi le professa, sono qualità in Voi sì belle, sì luminose, che ognuna di esse meriterebbe un encomio a parte. Ma io non saprei farlo sì degnamente che a Voi convenga; nè Voi lo vorreste, nè da me, nè da qualunque altro soffrire. Posso ben dir senza offendervi, e lo dirò per gloria di quel mestiere che ho per forza di genio intrapreso di seguitare, che Voi della Comica foste un singolare ornamento, poichè esercitandovi in essa con estremo diletto nelle vostre magnifiche villeggiature, le recaste quel fregio, che basterebbe a renderla rispettabile.

Io che tanto amo quest’arte, e che tanto di sudore ho per essa sparso, e tanto di fatica sofferto1, sarò bastantemente ricompensato coll’onorevole titolo, con cui mi concedete che io possa umilmente sottoscrivermi e rassegnarmi


Umiliss. Devotiss. e Obbligatiss. Serv.
Carlo Goldoni.



Note

  1. Così segue nel t. III dell’ed. Paperini di Firenze, dove uscì per la prima volta, nel 1753, questa lettera di dedica: che mai a meritarmi son giunto? Insulti, ingratitudini, dispiaceri. Deh, Protettrice mia benignissima, fatemi Voi dimenticare le mie amarezze, e lo potete fare, sol tanto che del vostro compatimento vogliate degnarvi di assicurarmi. Supererò ogni contrarietà del destino, coll’onorevole titolo con cui mi concederete ch’io possa umilmente sottoscrivermi ecc.».