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A SUA ECCELLENZA

LA SIGNORA MARCHESA

LUCREZIA BENTIVOGLIO

RONDINELLI.


A
LCUNI di quelli che hanno veduto il mio Avventuriere onorato sulle Scene al pubblico rappresentarsi, riconoscendo in esso varie avventure in me medesimo verificate, hanno creduto che la persona mia propria avessi io scelta per soggetto di una Commedia. Non dico sfacciatamente che ciò sia vero, ma non nego altresì, che qualche analogia non passi fra il protagonista e l’Autore. La patria, il genio, le professioni, le persecuzioni medesime del povero mio Guglielmo in me facilmente si potrebbono riscontrare. Ecco però, Eccellenza, dove io non posso essere riconosciuto: nel matrimonio. Toccò al mio Avventuriere una vedova Palermitana con dieci mila scudi d’entrata; sposata ho io una fanciulla di patria Genovese, senza le ricchezze di Donna Livia, quando a queste giustamente contrapporre non si volesse il ricchissimo patrimonio ch’ella mi ha portato in casa di una discreta economia, di una esemplare morigeratezza, di una inalterabile rassegnazione, le quali virtù mi hanno recato, se non maggiori comodi, pace almeno e tranquillità, d’ogni altra dote maggiore. Siccome però le impressioni fatte nel popolo difficilmente possono essere dileguate, e vi saranno di quelli che o per propria immaginazione, o per tradizione altrui, vorranno a me medesimo questa Commedia appropriare, trovami in necessità di procurarle una protezione che vaglia a difenderla da’ critici, da’ maligni, dagl’impostori.

In chi mai poteva io sperarla maggiore che nell’E. V., in cui si accoppiano tante belle Virtù, tralle quali trionfa mirabilmente