Giuseppe Gioachino Belli

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Er caffettiere fisolofo Er foconcino
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

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L’OCCHIATICCIO.[1]

     “Cuanto sta bbene er Papa! cuant’è bbello!...
“Che appitito che ttiè nner rifettorio!...
“Ma cche ssalute ha sto Papa Grigorio!...
“Cuesto campa una bbotte e un sgummarello!„[2]

     Piano, piano: e cch’edè?![3] Spara Castello?![4]
C’è er funtanon de San Pietro Montorio?![5]
Voréssivo[6] godé st’antro[7] mortorio?
Voréssivo vedé sto mortiscello?

     Basta, Lesandro mio: bbasta, Mazzocchio:
Nun ne dite de ppiù, fijji mii cari,
Perché ccór tanto dì, ppoi viè lo scrocchio.[8]

     Ggià, sti Papi de Ddio, sti su’ vicari
Dovrebbeno portà ccontro er mal occhio
Er pel der tasso, come li somari.[9]

Roma, 22 gennaio 1833.

Note

  1. Il mal occhio: il fascino; il mal augurio. Si sa che senza dubbio accade disgrazia a quelle persone o cose che sieno roppo lodate!
  2. Campa molto e un altro po’ più. Lo sgommarello [da sgommerà, sgomberare: “ramaiolo„] è un utensile di ferro o di rame, con lungo manico per attingere liquidi da un vaso che ne contenga.
  3. Che è [tutto questo chiasso?]
  4. [Spara forse il cannone di Castel Sant’Angelo?]
  5. Celebre fontana sul Gianicolo, la cui acqua cadendo nel bacino fa molto fracasso.
  6. Vorreste.
  7. Altro.
  8. Lo scoppio di qualche disastro.
  9. Ai cavalli, per lo più da carretti, ed agli asini favoriti, si adorna il capo di pelo di tasso onde preservarli dal mal occhio de’ malevoli.