L'isola misteriosa/Parte seconda/Capitolo II

Parte seconda - Capitolo II

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO II.


Primo esperimento della piroga — Un rottame sulla costa — A rimorchio — La punta del Rottame — Inventario della cassa — Utensili, armi, strumenti, vestimenta, libri — Ciò che manca a Pencroff — L’Evangelio — Un versetto del Libro Sacro.

Il 29 ottobre, il canotto di corteccia era del tutto terminato. Pencroff aveva mantenuto la sua promessa, e una specie di piroga, il cui scafo era membrato per mezzo di bacchette flessibili di crejimba, era stata costrutta in cinque giorni. Una panca a poppa, un’altra nel mezzo per mantenere il distacco, una terza panca a prua, un discolato per sostenere le caviglie de’ due remi, un terzo remo per governare compivano questa scialuppa lunga dodici piedi e che non pesava più di dugento libbre.

Quanto all’operazione del varamento fu semplicissima. La piroga fu portata sulla sabbia, al lembo del litorale dinanzi al Palazzo di Granito, e la marea crescente la sollevò. Pencroff vi saltò subito entro, la manovrò e potè accertarsi che era adattatissima all’uso che si voleva farne.

— Evviva! esclamò il marinajo, non sdegnando di celebrare così il suo trionfo. Con questa barca si potrebbe fare il giro.... [p. 16 modifica]

— Del mondo? domandò Gedeone Spilett.

— No, dell’isola. Alcuni ciottoli per zavorra, un albero a prua e un pezzo di vela che il signor Smith ci fabbricherà un giorno, e s’andrà lontano. Ebbene, signor Cyrus, e voi, signor Spilett, e voi Harbert, e tu Nab, non volete esperimentare il nostro nuovo battello? Che diancine! bisogna pur vedere se ci può portare tutti e cinque.

Infatti era un esperimento da fare.

Pencroff con un colpo di remo trasse il battello presso il greto, per uno stretto passo che le roccie lasciavano tra di loro, e fu convenuto di fare in quel giorno stesso la prova della piroga, lungo la spiaggia fino alla prima punta in cui finivano le roccie del sud.

Nell’atto d’imbarcarsi, Nab esclamò:

— Ma entra l’acqua nel tuo bastimento, Pencroff!

— Non è nulla, rispose Pencroff, bisogna che il legno si stagni. Fra due giorni non vi sarà più acqua nella nostra piroga di quello che ve ne sia nello stomaco d’un ubbriaco. Imbarcatevi.

S’imbarcarono, e Pencroff spinse il battello al largo.

Il tempo era magnifico e il mare placido come se le sue acque fossero state contenute nelle rive strette d’un lago; la piroga poteva sfidarlo colla medesima sicurezza con cui avrebbe risalito la tranquilla corrente della Grazia.

Dei due remi, uno lo prese Nab, l’altro Harbert: Pencroff stette a poppa per dirigere.

Il marinajo attraverso dapprima il canale e andò a rasentare la punta sud dell’isoletta.

Una leggiera brezza soffiava dal sud. Non vi erano ondate nè sul canale nè in alto mare. Alcune lunghe ondulazioni, che la piroga sentiva appena, perchè questa era molto carica, gonfiavano regolarmente la superficie del mare. Si allontanarono un mezzo miglio circa dalla costa, in guisa da scorgere tutto lo svolgimento del monte Franklin. Poscia Pencroff, virando [p. 17 modifica]di bordo tornò verso la foce del fiume. La piroga seguì allora la spiaggia che s’incurvava fino alla punta estrema, nascondendo tutta la pianura aquitrinosa delle Tadorne. Questa punta, la cui distanza si trovava cresciuta dalla curvatura della foce, era circa a tre miglia dalla Grazia. I coloni risolvettero d’andare alla sua estremità e di non superarla se non di quel tanto necessario per dare un rapido sguardo dalla foce fino al capo Artiglio.

Il canotto seguì dunque il litorale, evitando gli scogli di cui erano sparse quelle coste e che la marea crescente cominciava a coprire. La muraglia andava abbassandosi dalla foce del fiume fino alla punta. Era un cumulo di macigmi capricciosamente distribuiti, differentissimi dalla cortina che formavano l’altipiano di Lunga Vista, e di aspetto estremamente selvaggio.

Si sarebbe detto che un enorme carico di macigni fosse stato vuotato colà. Non v’era ombra di vegetazione in quella sporgenza acutissima che si prolungava per due miglia innanzi nella foresta, e codesta punta aveva l’aria del braccio d’un gigante che uscisse da una manica di verzura.

Il canotto, spinto dai due remi, s’avanzava senza stento. Gedeone Spilett colla matita in una mano e il taccuino nell’altra disegnava la costa con pochi tratti. Nab, Harbert e Pencroff cianciavano esaminando quella parte del loro dominio finora inesplorata.

Man mano che avanzavano verso il sud, i due capi Mandibola sembravano restringersi e chiudere più strettamente la baja dell’Unione. Quanto a Cyrus Smith, egli non parlava, guardava, e dalla diffidenza che si scorgeva nel suo sguardo pareva sempre che osservasse qualche strana regione.

Pure, dopo tre quarti d’ora di navigazione, la piroga era giunta quasi all’estremità della punta, e Pencroff si preparava a doppiarla, quando Hurbert, levandosi, mostrò una macchia nera, dicendo: [p. 18 modifica]

— Che cosa è quello che vedo laggiù sul greto?

Tutti gli sguardi si volsero al luogo indicato.

— Infatti, disse il reporter, v’è qualche cosa che sembrerebbe un rottame mezzo sepolto nella sabbia.

— Ah! esclamò Pencroff, vedo che cosa è.

— Che è mai? domandò Nab.

— Sono barili, e possono essere pieni, rispose il marinajo.

— Approdate, Pencroff, disse Cyrus Smith.

In pochi colpi di remo la piroga approdò in fondo a un picciolo seno, ed i suoi passeggieri balzarono sul greto. Pencroff non s’era ingannato; due barili erano là, mezzo sepolti nella sabbia, ma tuttavia attaccati a una larga cassa, che sorretta da essi aveva così galleggiato, fino a tanto che s’era arenata sulla spiaggia.

— Ci fu dunque un naufragio nei paraggi dell’isola? domandò Harbert.

— Evidentemente, rispose Gedeone Spilett.

— Ma che cosa v’è in questa cassa, esclamò Pencroff con un’impazienza assai naturale, che v’è in questa cassa? Essa è chiusa e non abbiamo nulla per spezzarne il coperchio! Proviamo a colpi di sasso! E il marinajo sollevando un pesante macigno stava per sfondare il coperchio della cassa, quando l’ingegnere l’arresto, dicendo:

— Pencroff, potete frenare la vostra impazienza per un’ora sola?

— Ma, signor Cyrus, pensate un po’! Là dentro v’è forse tutto quello che ci manca.

— Lo sapremo, Pencroff, rispose l’ingegnere, ma credetemi, non spezzate questa cassa che ci può esser utile; trasportiamola al Palazzo di Granito, dove l’apriremo più facilmente e senza spezzarla. È proprio fatta per il viaggio, e posto che ha galleggiato finora, galleggerà certamente fino alla foce del fiume.

— Avete ragione, signor Cyrus, ed io aveva torto, [p. 19 modifica]rispose il marinajo; ma non s’è sempre padroni di sè medesimi.

Il consiglio dell’ingegnere era savio. Infatti la piroga non avrebbe potuto contenere gli oggetti che si sperava trovare in quella cassa, che doveva essere pesante, posto che era stato necessario alleggerirla con due barili vuoti. Dunque meglio valeva rimorchiarla così fino alla spiaggia del Palazzo di Granito. Ed ora, d’onde proveniva quel rottame? Importante quesito. Cyrus Smith ed i suoi compagni guardarono attentamente intorno e percorsero la spiaggia per molte centinaja di passi.

Non videro alcun altro rottame; guardarono anche in mare; anzi Harbert e Nab s’arrampicarono sopra una rupe alta ed elevata, ma l’orizzonte era deserto. Non si vedeva nulla, nè una nave disalberata, nè una vela; pur non v’era dubbio ch’era avvenuto un naufragio. Fors’anche quell’incidente si collegava all’altro del palazzo; o forse degli stranieri avevano approdato in un altro punto dell’isola, e chissà che non vi fossero ancora?

Ma la riflessione che fecero naturalmente i coloni fu questa, che quegli stranieri non potevano essere pirati malesi, perchè il rottame aveva evidentemente una provenienza americana o europea.

Tutti tornarono presso la cassa, ch’era lunga cinque piedi e larga tre. Era di legno di quercia, chiusa con gran cura e coperta d’una fitta pelle trattenuta da chiodi d’ottone. I due grossi barili ermeticamente chiusi, ma vuoti, come appariva al suono, aderivano ai suoi fianchi per mezzo di corde robuste strette con nodi, che Pencroff riconobbe facilmente per nodi da marinajo. Sembrava essere benissimo conservata: il che si spiegava da ciò, che la si era arenata sopra un greto di sabbia e non fra le scogliere.

Esaminandola bene, si poteva asserire che il suo soggiorno sul mare non era stato lungo e che da poco [p. 20 modifica]tempo era sulla spiaggia. L’acqua non sembrava essere penetrata nell’interno, onde gli oggetti che conteneva dovevano essere intatti.

Era evidente che quella cassa doveva essere stata gettata di sopra il fasciame d’una nave disalberata che moveva verso l’isola e che, per la speranza che giungesse alla costa e ve la trovassero più tardi, i passeggieri avevano preso la precauzione d’alleggerirla.

— Rimorchieremo questo rottame fino al Palazzo di Granito; colà ne faremo l’inventario; poi se scopriremo qualche superstite del presente naufragio, la consegneremo a’ suoi legittimi proprietarî. Se non troviamo nessuno...

— Ce la terremo per noi! esclamò Pencroff. Ma per Iddio, che cosa può esserci dentro?

Già la marea cominciava a toccare la cassa, che doveva evidentemente galleggiare al momento della massima altezza dell’acqua. Una delle corde che tratteneva i barili fu disciolta in parte, e servì d’ormeggio per legare l’apparecchio galleggiante al canotto. Poi Pencroff e Nab scavarono la sabbia coi loro remi per facilitare lo spostamento della botte, nè andò molto che la scialuppa, rimorchiando la cassa, cominciò a doppiare la punta, a cui fu dato il nome di punta del Rottame.

Il rimorchio era grave e i barili bastavano appena a reggere la cassa fuori dell’acqua, onde il marinajo temeva ad ogni istante che si staccasse e colasse a fondo; ma per fortuna i suoi timori non s’avverarono, e un’ora e mezzo dopo la sua partenza — che tanto c’era voluto per percorrere quelle tre miglia — la piroga toccava la spiaggia dinanzi al Palazzo di Granito.

Canotto e rottame furono allora tirati sulla sabbia, e siccome cominciava già la marea bassa, non tardarono a trovarsi all’asciutto. Nab era andato a pren[p. 21 modifica]dere gli strumenti per forzare la cassa in guisa di guastarla il meno possibile e cominciare l’inventario. Pencroff non cercò di nascondere che era estremamente commosso.

Il marinajo cominciò a staccare i due barili, che essendo intatti, potevano servire a qualche cosa, poi forzò la serratura con una tenaglia, e il coperchio fu subito sollevato.

Un secondo involucro di piombo copriva la cassa, la quale era stata disposta in guisa che gli oggetti che conteneva si trovassero in ogni occorrenza al riparo dall’umidità.

— Attenti! esclamò Nab; che ci sieno delle conserve qua dentro? [p. 256 modifica]Attenti! esclamò Nab.

Vol. III, pag. 21.

— Spero di no, rispose il reporter.

— Se almeno ci fosse... disse il marinajo a bassa voce.

— Che cosa? domandò il reporter.

— Nulla!

Fu spezzato l’invoglio di zinco in tutta la sua larghezza, poi ripiegato sui lati della cassa, e a poco a poco diversi oggetti di natura differenti furono estratti e deposti sulla sabbia. A ogni nuovo oggetto che si estraeva, Pencroff mandava nuovi evviva. Harbert batteva le mani e Nab danzava come un negro. Vi erano dentro dei libri che avrebbero reso Harbert pazzo di gioja, e degli utensili da cucina che Nab avrebbe coperto di baci!

Del resto, i coloni ebbero ragione d’essere soddisfattissimi, perchè la cassa conteneva utensili, armi, vestimenta, libri, ed eccone la nomenclatura esatta, quale fu riportata sul taccuino di Gedeone Spilett: [p. 22 modifica]

Utensili:

3 coltelli a molte lame.

2 accette da legnajuolo.

2 accette da carpentiere.

3 pialle.

2 ascie.

1 bicciacuto.

6 forbici a freddo.

2 lime.

3 martelli.

3 trivelle.

2 trapani.

10 sacchi di chiodi e di viti.

3 seghe di varia grandezza.

2 scatole d’aghi.

Armi:

2 fucili a pietra.

2 fucili a capsula.

2 carabine ad infiammazione centrale.

5 coltellacci.

4 sciabole.

2 barili di polvere capaci ciascuno di 25 libbre.

12 scatole di capsule fulminanti.

Strumenti:

1 sestante

1 lapazza.

1 cannocchiale.

1 scatola di compassi.

1 bussola da tasca.

1 termometro Fahrenheit.

1 barometro. [p. 23 modifica]

1 scatola contenente un intero apparecchio foto grafico, oggettivo, lastre, prodotti chimici, ecc.

Vestimenta:

2 dozzine di camicie d’uno speciale tessuto che assomigliava a lana, ma la cui origine era evidentemente vegetale.

3 dozzine di calze del medesimo tessuto.

Utensili:

1 cogoma di ferro.

6 cazzeruole di rame stagnato.

3 piatti di ferro.

10 piatti d’alluminio.

2 ramini.

1 fornelletto portatile.

6 coltelli da tavola.

Libri:

1 bibbia contenente l’antico ed il nuovo testamento.

1 dizionario di scienze naturali in sei volumi.

3 risme di carta bianca.

2 registri a pagine bianche.


— Bisogna confessare, disse il reporter, dopo che l’inventario fu terminato, che il padrone di questa cassa era un uomo pratico. Utensili, strumenti, armi, ferri, abiti, libri, nulla vi manca; si direbbe veramente che egli si aspettasse di far naufragio e che ci si fosse preparato.

— Nulla vi manca infatti, mormorò Cyrus Smith in aria pensosa. [p. 24 modifica]

— E senza dubbio, aggiunse Harbert, la nave che portò questa cassa e il suo proprietario non era di un pirata malese.

— A meno che quel proprietario non fosse stato fatto prigioniero da’ pirati.

— Non è ammissibile. È più probabile che un bastimento americano od europeo sia stato trascinato in questi paraggi e che alcuni passeggieri, volendo almeno salvare il necessario, abbiano preparata la cassa e buttatala in mare.

— La pensate voi così? domandò Harbert.

— Sì, fanciullo mio, la cosa è potuta andare a questo modo; è possibile che al momento in cui previdero un naufragio, abbiano riuniti in questa cassa diversi oggetti di prima utilità per trovarli in qualche punto della costa....

— Anche la scatola di fotografia! esclamò il marinajo in aria incredula.

— Quanto a quell’apparecchio non ne comprendo bene l’utilità, e meglio sarebbe stato per noi, come per ogni altro naufrago, una bella provvista di vesti e di munizioni.

— Ma non vi è sugli strumenti, sugli utensili, sui libri alcun segno che possa farcene riconoscere la provenienza? domandò Cyrus Smith.

Era da vedersi. Ciascuna cosa fu esaminata attentamente, specialmente gli strumenti, i libri e gli utensili. Contrariamente a quello che suole accadere, le armi non portavano la marca di fabbrica. Erano del resto in ottimo stato. Tutto era nuovo, il che provava che quegli oggetti non erano stati presi a casaccio, ma scelti e classificati con cura.

La stessa cosa era stata indicata dall’invoglio di metallo che li avea preservati dall’umidità e che non avrebbe potuto essere stato saldato in un momento di fretta.

Quanto ai dizionari delle scienze naturali e degli [p. 25 modifica]idiomi polinesiani, erano entrambi inglesi, ma non portavano nome di editore, nè data di pubblicazione.

Lo stesso dicasi della bibbia stampata in lingua inglese in quarto, notevole dal lato tipografico, che sembrava essere stata molto sfogliazzata.

Quanto all’atlante, era una magnifica opera; conteneva le carte di tutto il mondo e molti emisferi tracciati secondo il sistema di Mercator; la sua nomenclatura era francese, ma non portava nè data, nè nome di editore.

Non v’era dunque in quei diversi oggetti alcun indizio che ne potesse indicare la provenienza, nulla da far sospettare la nazionalità della nave che aveva dovuto passare poco prima in quei paraggi. Ma da qualsiasi luogo provenisse quella cassa, essa formava la ricchezza dei coloni dell’isola Lincoln. Fino allora, trasformando i prodotti della natura, essi avevano creato ogni cosa di per sè stessi, e grazie alla loro intelligenza si eran tolti d’impaccio; ma non pareva che la Provvidenza avesse voluto ricompensarli inviando loro quei diversi prodotti dell’industria umana? Onde essi mandarono i loro ringraziamenti al Cielo. Uno solo non era soddisfatto: Pencroff. Pare che la cassa non contenesse una cosa a cui egli pareva dare molta importanza; man mano che venivano tolti gli oggetti, i suoi evviva andavano diminuendo d’intensità, e finito l’inventario, lo si udì mormorare:

— Tutto ciò è bello e buono, ma scommetto che non vi sarà nulla per me.

Il che indusse Nab a domandargli:

— Vediamo, che cosa ti aspettavi tu?

— Una mezza libbra di tabacco, e nulla sarebbe mancato alla mia felicità.

Non si potè trattenere le risa alle parole del marinajo.

Risultava da codesta scoperta del rottame essere ora più che mai necessario fare un’attenta esplora[p. 26 modifica]zione dell’isola. Fa dunque convenuto che il domani si mettessero in cammino all’alba, risalendo la Grazia, in guisa da giungere alla costa occidentale. Se qualche naufrago era sbarcato su qualche punto di quella costa, era da temere che fosse in penuria, e bisognava soccorrerlo senza indugio.

In quella giornata i diversi oggetti furono trasportati al Palazzo di Granito e disposti metodicamente nella gran sala.

Quel giorno, il 29 ottobre, era appunto una domenica e, prima di coricarsi, Harbert domandò all’ingegnere se non volesse leggere loro qualche passaggio del Vangelo.

— Volentieri, rispose Cyrus Smith.

Prese egli il libro sacro e stava per aprirlo, quando Pencroff, trattenendolo, disse:

— Signor Cyrus, io sono superstizioso; apritelo a caso e leggete il primo versetto che vi capita sotto gli occhi; vedremo se si adatta alla nostra condizione.

Cyrus Smith sorrise all’asserzione del marinajo ed aprì l’Evangelo precisamente in un punto in cui un segnacolo ne separava le pagine.

D’un tratto i suoi sguardi furono arrestati da una croce rossa, fatta colla matita dinanzi al versetto ottavo del capitolo settimo del Vangelo di San Matteo, ed egli lesse quel versetto così concepito:

Chiunque domanda riceve, e chi cerca trova.