L'impresario delle Smirne/L'autore a chi legge

L’autore a chi legge

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L'impresario delle Smirne Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE1.


I
O ho conosciuto in Italia molti e molti Impresarj di Opera in musica; ho molto scritto per loro in serio ed in buffo, e posso parlarne con fondamento. Alcuni fanno gl’Impresarj per una specie di necessità, e sono quelli che possedendo qualche Teatro, per profittare della rendita considerabile di un tal fondo, fanno andare l’impresa per loro conto, e sovente vi rimettono, oltre il profìtto de’ palchetti, qualch’altra parte del patrimonio. Altri lo fanno per un’inclinazion generosa di divertir se stessi ed il Pubblico, e questi ci rimettono più degli altri. Vi sono di quelli che si lasciano indurre a farlo dalle lusinghe di un’amabile Virtuosa, la quale, non trovando chi voglia darle il posto di prima Donna, induce l’Amico ed il Protettore a prendere sopra di sè l’impresa d’un’Opera, e lo sagrifica alla sua vanità ed al suo interesse. Molti lo fanno sedotti dalla lusinga dell’utile, alla persuasione di quelli che fanno i sensali di tal genere di mercanzia, e danno loro ad intendere, che non vi è danaro meglio investito, in tempo che non vi è danaro più sicuramente perduto. Altri finalmente lo fanno per disperazione, non avendo niente da perdere, e colla speranza di guadagnare, e se le cose van male, s’impossessano della cassetta, piantano l’impresa, e lasciano i Musici nell’imbarazzo. Tutte queste differenti qualità d’Impresarj convengono in una cosa sola: grandi e piccioli, ricchi e poveri, generosi o venali, tutti accordano, e provano, e si lamentano, che un’impresa d’Opera in musica è il più grande, il più fastidioso e il più pericoloso degl’imbarazzi. Da che procedono questi fastidi, queste noie, questi pericoli? Dal carattere degli Attori, dai loro puntigli, dalle loro pretensioni, dalla loro indiscretezza, quasi universale. Dico quasi, [p. 198 modifica]poichè fra il vasto numero de’ Virtuosi e delle Virtuose di musica, vi sono delle oneste e discrete persone come in ogni altro corpo di Arte, di Mestiere o di Professione, con questa differenza, che nel ceto armonico i cattivi sono moltissimi, e volendo far Opera, non si può fare senza di loro. Le Compagnie sono composte di sei o sette, o al più di otto persone. È una fortuna se se ne trovano fra queste una o due, che uniscano al merito del talento e della bravura quella della docilità e della discretezza, e per uno o due Soggetti lodevoli, ne avete cinque o sei che vi fanno girare il capo, e sono ordinariamente i meno abili e i men necessari. Nella presente Commedia ho dipinto questo genere di persone, tali e quali le ho conosciute, ed anche esperimentate. Non ch’io abbia voluto mai imbarazzarmi in alcuna impresa, ma coll’occasione di scrivere pel Teatro, ho provato quanto vagliano e quanto pesano i loro catarri e le loro maniere. Non credo che i Virtuosi e le Virtuose di merito si offenderanno di una critica che non li riguarda, nè vorranno prender partito per una Truppa indegna della loro pregievole Società, ma eglino stessi mi faranno buon grado di avere un poco sforzato coloro che osano innalzarsi al loro grado, senza le qualità necessarie per arrivarvi; e quelli di qualunque rango si sieno, che fossero malcontenti de’ miei ritratti, per essere forse un poco troppo fedeli, mi compatiranno più facilmente, veggendo ch’io non l’ho perdonata nè meno ai Poeti; osservino però i miei confratelli, che il mio Maccario è di quel genere di Poeti, che conviene ai Musici di cui parlo. Circa al sensale di Opera in musica, rappresentato da Nibio, non ho grandi scuse a fare sopra di ciò; quest’è un mestiere. Ciascuno cerca di mettere in credito la mercanzia che vuol far vendere e comperare, e quando non convengono colle parti per ingannare, non vi è niente che dire, e non possono offendersi di quel ch’io ne dico.

Per rendere utile e piacevole questa Commedia, avrebbe bastato ch’io mi fossi servito d’un Impresario Italiano; di uno di quelli che lo fanno, come dissi a principio, o per necessità, o per vanità, o per impegno, ma per renderla più giocosa, ho immaginato un Impresario Turco, al quale arrivano affatto nuove tutte le [p. 199 modifica]circostanze, che rendono l’impresa laboriosa e pericolosa. Il più difficile in questa Commedia era lo scioglimento. Spero d’averne trovato uno assai2 conveniente; ed il carattere del Conte Lasca mi pare non solo originale e giocoso, ma utile, instruttivo e degno di essere considerato e imitato.

Osserverà il Leggitor finalmente, che questa è una di quelle Commedie ch’io aveva scritte in versi, per secondare il fanatismo che allora correva in favore de’ Martelliani. Ho promesso ridurre in prosa tutte quelle ch’io credo dover meglio riuscire nel famigliare discorso, e che non hanno bisogno dell’incantesimo del metro e della rima. Questa è una di quelle. Ho anche cambiato in buon Italiano corrente i tre differenti linguaggi delle tre Cantatrici, per migliore intelligenza di quelli che non intendono il Veneziano ed il Bolognese, e non gustano i riboboli Fiorentini.

Note

  1. La presente prefazione fu stampata in testa alla commedia nel t. XII (1774) dell’ed. Pasquali di Venezia. Il Goldoni non dedicò a nessuno questa sua commedia.
  2. Nel testo: un’assai.