L'eroina di Port Arthur/15. L'agguato dei giapponesi

15. L'agguato dei giapponesi

../14. La fuga di Shima ../16. Una terribile battaglia navale IncludiIntestazione 20 dicembre 2016 75% Da definire

14. La fuga di Shima 16. Una terribile battaglia navale

15. L'AGGUATO DEI GIAPPONESI


Fallito quel primo tentativo di chiudere la flotta russa entro il porto, l'ammiraglio Togo, giudicando pel momento inutile sacrificare altri piroscafi e soprattutto i marinai, poiché quasi tutti quelli che li montavano erano rimasti uccisi nell'audace impresa, aveva nuovamente ripresa la crociera attraverso il Mar Giallo, avendo due compiti da fare: sorvegliare Port-Arthur, onde le navi russe non uscissero e si gettassero sui porti giapponesi e nel medesimo scortare i trasporti che di quando in quando rovesciavano migliaia di combattenti giapponesi sulle coste coreane.

Lo preoccupava sempre la mancanza del piano delle mine subacquee che non aveva potuto ancora ottenere e senza il quale non osava accostarsi all'avamporto della piazza per non correre il pericolo di far saltare le proprie navi: tuttavia non disperava di poterlo, in una fortunata occasione, ricevere. Aveva lasciato una squadriglia di torpediniere al comando di Sakya a non poca distanza dal porto coll'incarico di tentare di accostarsi al faro, invece la sorveglianza dei russi diventava estremamente attiva dopo il tentato imbottigliamento, ed aveva costretto le piccole navi a tenersi sempre molto al largo. Così nuove settimane erano trascorse senza che alcunché di straordinario fosse avvenuto nelle acque di Port-Arthur, nondimeno se la squadra, troppo impegnata nel suo doppio e non troppo facile compito, non aveva tentato alcun altro colpo di testa, le truppe di terra non erano rimaste inoperose. Splendidamente organizzate, con marce meravigliose per celerità, avevano occupata tutta la Corea ammassandosi e fortificandosi nei punti più strategici, mandando poi due corpi di esercito sul fiume Yalù, incaricati di entrare risolutamente nella Manciuria e di misurarsi colle truppe terrestri del grand'Orso del Nord.

La Russia non era nemmeno da parte sua rimasta colle mani alla cintola. Più lentamente, data la grande distanza che le sue truppe dovevano percorrere per giungere sul teatro della guerra e per le grandi difficoltà che dovevano superare, aveva ammassate divisioni su divisioni verso i confini della Manciuria, poi, preoccupata per la sorte della sua flotta, aveva inviato a Port-Arthur il più grande e più popolare uomo di mare che avesse: l'ammiraglio Makaroff. Quell'uomo rappresentava un vero valore e poteva dare del filo da torcere al suo fortunato competitore, il piccolo Togo. Come Skobelew, il valoroso conquistatore dell'Asia centrale, incarnava l'esercito, Makaroff, marinaio nato, avvezzo alla perpetua lotta contro gli elementi, uomo veramente d'azione, terrore dei turchi a cui aveva affondato non poche navi sul Danubio, rappresentava la marina.

La sua presenza in Port-Arthur aveva rialzato non poco il morale degli equipaggi della squadra russa, alquanto depresso dopo la sorpresa delle torpediniere giapponesi e la perdita di parte delle sue migliori navi. Tutti molto si aspettavano da lui e soprattutto molto lo Czar, che aveva una fiducia illimitata nel suo grande ammiraglio che colla sua spada e colla sua penna si era fatto ammirare dal mondo intero.

Ed infatti dopo l'arrivo di quel grande marinaio, una straordinaria attività aveva cominciato a regnare nella piazzaforte, attività che aveva non poco preoccupato Yamaga, il quale per istinto sentiva l'avvicinarsi di grandi avvenimenti che potevano rendere difficile la crociera del suo ammiraglio. Perciò lo spione aveva raddoppiata la sua sorveglianza raccomandando alla ghesha di tenerlo minutamente informato di ciò che poteva apprendere da Boris.

Aveva già notato un insolito movimento sulle corazzate e sugli incrociatori russi che s'affrettavano a completare le loro provviste di carbone e di munizioni, quando una sera Naga, approfittando dell'uscita delle torpediniere guidate da Boris, comparve nel faro, dove il giapponese e Shima stavano cenando.

— L'ammiraglio si prepara per un colpo audace — gli disse. — Io ho saputo da Boris che, domani all'alba, tutta la squadra lascerà Port-Arthur per tentare di congiungersi con quella di Vladivostok.

Yamaga, quantunque preparato a tutte le sorprese, aveva corrugato la fronte ed era diventato un po' smorto.

— Ciò non deve avvenire — disse, dopo un momento di silenzio. — Le due flotte lì riunite e libere, significano la rovina dei porti giapponesi. Bisogna avvertire Togo a qualunque costo e portargli il piano delle mine, prima che la squadra russa si muova.

— In quale modo? — chiese Shima.

— È necessario che Sakya questa notte sia qui e che venga a raccoglierci. La salvezza della patria dipende solo da noi.

— Potrà accostarsi inosservata la sua torpediniera?

— Vi sono delle nebbie laggiù, ed il vento soffia da quella parte — rispose Yamaga, che si era alzato guardando fuori della finestra della stanzetta. — Quei vapori a poco a poco si avanzeranno, e non è improbabile che questa sera Port-Arthur ne sia avvolto.

— Potrà mio fratello scorgere il vostro segnale? — chiese Shima.

— Lancerò un razzo poderoso che salirà ben alto. Quello è il segnale convenuto di un estremo pericolo, e le torpediniere, vedendolo, accorreranno da tutte le parti.

— Ed i russi non s'accorgeranno che tu li tradisci?

— È probabile — rispose Yamaga — e spero che giungeranno troppo tardi per prendermi. Tutte le sere, come è stato convenuto, la Morioka s'accosta fino a tre miglia, e non impiegherà che cinque minuti a percorrere quella distanza. Noi non attenderemo qui i russi. Appena fatto il segnale andremo a nasconderci fra le scogliere e non ci scopriranno facilmente.

— Dunque v'imbarcate con me.

— La mia missione ormai è finita, e poi, se rimanessi dopo quel segnale, mi fucilerebbero.

— Ed io devo restare? — chiese Naga con una certa apprensione e guardando Shima.

— Penso che voi potreste rendere ancora dei servizi preziosi — disse Yamaga dopo aver scambiato uno sguardo colla figlia del gran daimio. — A Shima non importa più che voi amiate o no Boris: ve l'ha interamente abbandonato, purché serviate sempre la patria.

— Sì, te lo lascio — disse la sorella di Sakya con voce calma. — La passione che io un giorno ho nutrito per quell'uomo è finita da tempo.

La ghesha aveva chinata la testa. I suoi occhi erano diventati umidi e sul suo viso si leggeva una profonda tristezza.

— Lasciate almeno che vi accompagni fino alla scogliera — disse poi. — Boris non tornerà prima della mezzanotte, me lo ha detto, e se voi vi esponete a dei pericoli, voglio dividerli anch'io per darvi una prova che nel mio cuore vibra sempre l'amor per la patria.

— Ci pensavo — disse Yamaga. — Ci siete necessaria per accendere un altro fuoco, dovendo noi averne bisogno di tre per guidare le torpediniere verso la scogliera, senza di che i nostri correrebbero il rischio di arenarsi sui due banchi che si prolungano alle due estremità, e dei quali forse ignorano l'esistenza.

— Grazie di aver pensato a me — disse Naga.

Yamaga guardò l'orologio appeso ad una parete.

— Sono le cinque — disse. — Facciamo i nostri preparativi, Shima.

Alle otto di sera, come il giapponese aveva predetto, la nebbia che il vento del sud spingeva a ondate, calava su Port-Arthur avvolgendolo interamente. Tuttavia non era ancora così fitta da impedire di scorgere un razzo, specialmente se lanciato dalla cima del faro.

Alle dieci, quando le torpediniere russe rientravano nel porto per proteggere le corazzate e gl'incrociatori, Yamaga fece scendere le due fanciulle affidando a loro tre lanterne cinesi di diverso colore, poi, dopo aver atteso qualche minuto, diede fuoco al razzo che aveva già collocato al di fuori della balaustrata, facendolo partire orizzontalmente, verso il mare.

Appena lo vide scoppiare, a sua volta scese le scale a precipizio, portando con sé un fucile ed un paio di rivoltelle.

— Presto, fuggiamo — disse alle due giovani. — I russi non tarderanno a venire qui per sapere che cosa significa quel razzo.

Prese per mano le fanciulle, essendo la notte oscurissima, non giungendo fino a quel luogo i raggi luminosi dei proiettori elettrici, e dopo aver percorso tre o quattrocento passi, scese verso una scogliera contro cui si rompevano le onde con gran fragore e che formava una specie di semicerchio.

— Collocate due lampade alle due estremità, la verde a destra, la rossa a sinistra mentre io tengo quella bianca possibilmente entro qualche crepaccio, onde i russi non le possano vedere. Presto: le torpediniere dei nostri non devono essere lontane.

Le due fanciulle si erano allontanate correndo in direzioni opposte, mentre Yamaga abbassava ed alzava la sua lanterna a luce bianca.

Cominciava ad udire, al largo, un rumore sordo che aumentava rapidamente.

— Vengono — mormorò. — Shima, Naga, accorrete.

In quel momento una massa nera emerse fra la nebbia ed una voce gridò:

— Sei tu Yamaga?

— Sì, Sakya — rispose il giapponese. — Cala una scialuppa.

— Viene! E Shima?

— Eccomi, fratello — rispose la fanciulla.

— Salutatevi — disse Yamaga volgendosi verso le due giovani che si tenevano per mano. — Il momento della separazione è giunto.

In quel momento alcuni colpi di fucile balenarono sulla ripa, mentre una voce gridava:

— I giapponesi! Fuoco, ragazzi!

Yamaga aveva mandato un grido di furore.

— Ci hanno sorpresi: Naga, non potete più fuggire; vi ucciderebbero se lo tentaste.

— Vieni con noi, fanciulla — disse Shima. — Non voglio che tu muoia sotto i miei occhi.

Una scialuppa approdò in quel momento, e dieci o dodici uomini si gettarono sulle due fanciulle, levandole di peso e deponendole fra i banchi, mentre altri cinque o sei facevano una scarica contro i russi che stavano calando dalla ripa.

— Al largo! — gridò Yamaga, balzando a sua volta nell'imbarcazione. — Siamo salvi!

In pochi colpi di remo raggiunsero la torpediniera; la scialuppa fu rapidamente issata, poi la velocissima nave s'allontanò rapidissima, scomparendo fra la nebbia.

Sakya, affidato il comando ad uno dei suoi ufficiali, aveva subito condotto nella sua camera di poppa le due fanciulle e Yamaga. Riconoscendo la ghesha, non aveva potuto frenare un grido di stupore.

— Che cosa fate, voi, in compagnia di mia sorella? — chiese.

— Lo saprai più tardi, fratello — disse Shima. — Pel momento ascolta Yamaga e ti basti sapere che la notizia che egli reca la dobbiamo esclusivamente a Naga. Senza la devozione di questa fanciulla, domani i nostri sarebbero stati sorpresi.

— Che cosa vuoi dire, sorella?

— Dimmi, innanzi a tutto: dove si trova la squadra? — disse Yamaga.

— Incrocia dinanzi a Dalny.

— Raggiungiamola subito. Non è quello il suo posto, bensì alle isolette di Miao-Tse, dove domani si dirigerà la squadra russa.

— Escono? — esclamò Sakya.

— Makaroff, per rialzare il morale dei suoi uomini e far vedere che non ci teme, uscirà all'alba, da Port-Arthur e farà una punta verso quelle isole. È necessario quindi che tutte le nostre navi si trovino sul posto pronte a dare addosso ai nemici prima che ritornino nella piazza.

— Domani — rispose Sakya — il popolo russo piangerà. Riposatevi, fanciulle, e tu Yamaga sali con me sul ponte.

Un momento dopo la torpediniera cambiava rotta, slanciandosi a tutto vapore verso Dalny, piccola città che sorge all'est di Port-Arthur, presso Talienwan. A mezzanotte Yamaga e Sakya salivano a bordo della nave ammiraglia di Togo, e mezz'ora dopo la squadra si avviava tutta unita verso le isolette di Miao-Tse per sorprendervi i russi e piombare sulla loro flotta, costringendola così a misurarsi in mare aperto.