L'eroina di Port Arthur/12. Sulla lanterna di Port-Arthur

12. Sulla lanterna di Port-Arthur

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12. SULLA LANTERNA DI PORT-ARTHUR


Mentre il tenente entrava, come abbiamo veduto, Naga e Yamaga avevano attraversato velocemente la stanza attigua salvandosi nel giardino, avendo la casa due uscite. La ghesha aveva avuto appena il tempo di gettarsi sulle spalle una pelliccia per ripararsi dal freddo della notte che era assai intenso, soffiando il vento sempre con violenza dalle gelate pianure della vicina Manciuria.

— Rifugiamoci in qualche luogo in attesa che quel colloquio finisca — aveva detto Yamaga.

— Vi è un chiosco all'estremità del giardino — rispose la ghesha con voce tremante.

— Ripariamoci là dentro; fa troppo freddo per le figlie del Sol Levante.

Brancolando fra le tenebre e la nebbia, la ghesha riuscì finalmente a giungere dinanzi ad un piccolo chiosco, di stile cinese, colla cupoletta di piastrelle di porcellana e le pareti artisticamente traforate a vari disegni che volevano rappresentare dei draghi spaventosi.

Spinse la porta e cercò qualche cosa in un angolo.

— Che cosa fate? — chiese Yamaga che era per natura diffidente.

— Vi è una lanterna qui — rispose la fanciulla.

— Datemela che l'accenda — disse Yamaga, chiudendo la porta onde il vento non s'ingolfasse.

Pochi momenti dopo una luce scialba, che filtrava attraverso i vetri di talco azzurro da una lanterna cinese, illuminava il chiosco.

Yamaga guardò subito la ghesha e la vide pallidissima e cogli occhi umidi.

— Vi pentireste, per caso, di ciò che avete promesso? — le chiese, deponendo la lanterna su un tavolino laccato che si trovava nel mezzo, assieme ad alcune leggere sedie di bambù.

— No, non rimpiango ciò che ho giurato alla figlia del gran daimio e anche la vita della figlia del popolo apparterrà alla patria.

— Eppure mi sembrate commossa. Ah! Vi ho compresa!

La ghesha guardò il giapponese interrogandolo collo sguardo.

— Voi temete che Shima approfitti della vostra assenza per rubarvi Boris.

La ghesha chinò il capo senza rispondere.

— La figlia del gran daimio di Yokohama non commetterà mai un simile tradimento — disse Yamaga con voce grave. — Fra lei e Boris, voi lo saprete, vi sta un cadavere: quello del padre, del vecchio daimio.

— Perdonatemi d'aver per un istante dubitato di Shima — disse Naga.

— Vivete tranquilla: la figlia del gran daimio odia ormai troppo profondamente Boris.

S'appressò ad una delle finestre e guardò verso la casa. La lampada brillava sempre nel salotto, e attraverso i vetri gli parve di scorgere due ombre.

— Shima avrebbe fatto meglio a seguirmi — disse. — Quei maledetti barbari dell'Occidente hanno il cuore troppo corazzato per sentire il peso di un rimprovero.

— Che cosa dirà a Boris? — chiese Naga, che si era accostata al giapponese.

— Lo ignoro, solo ripeto che ha commessa una imprudenza affrontando quell'uomo.

— Temete che le succeda qualche cosa?

— Non sono tranquillo. Aspettatemi qui; forse riuscirò a capire qualche cosa del loro colloquio.

— Volete che vi accompagni?

— Fa troppo freddo fuori.

Aprì la porta e guidandosi colla luce che filtrava attraverso le finestre, raggiunse la casa e s'appoggiò alle pareti, mettendosi in ascolto. Udiva talvolta la voce di Shima che pareva avesse degli scatti violenti senza riuscire a comprendere il senso delle parole.

Rimase là parecchi minuti, forse mezz'ora, insensibile al freddo ed ai soffi gelati del vento, poi si scostò rapidamente. Aveva udito dei passi echeggiare nel vicino atrio.

— Che sia Boris che se ne va?

Raggiunse in fretta il chiosco. La ghesha, semiabbandonata su una sedia, singhiozzava sordamente.

— Venite — le disse con voce dolce. — Il russo deve aver lasciata la casa.

La prese per una mano e la trasse nel giardino, rasentando la cancellata di ferro.

Ad un tratto si fermò. Aveva udito la porta della palazzina chiudersi con fragore.

Guardò attraverso la cancellata e vide tre persone allontanarsi in mezzo alla nebbia. Una sorda imprecazione gli sfuggì:

— Conducono via la figlia del daimio!

Aveva armata rapidamente la rivoltella e si era scagliato verso la cancellata per scavalcarla. La ghesha lo trattenne.

— Che cosa fate?

— Vado a salvarla.

— Perdereste tutti, fermatevi! Al primo sparo accorrerebbero le ronde delle calate e sareste presi tutti e due.

— Bisogna che sappia dove quel cane d'un russo la conduce.

— Boris non tarderà a tornare e non si rifiuterà di dirmelo.

— Come potrò saperlo io?

— Lascerò socchiusa la finestra in modo che voi possiate udire tutto quello che mi dirà.

— Una parola ora: non mancherete al vostro giuramento?

— Che Gungin, il dio della guerra, punisca la ghesha se io non manterrò le promesse fatte in favore della patria.

— Siete libera di uscire per la piazzaforte?

— Boris mi ha accordata ampia libertà e nessuno si occupa o sospetta di me, avendo egli fatta spargere la voce che io sono una dama cinese.

— Avete scorta la lanterna?

— So dov'è. L'ho veduta entrando nel porto sull'Amur.

— Io abito colà: domani vi aspetto.

— La ghesha non mancherà alla parola data.

— Entrate, presto — disse Yamaga. — Mi pare di udire dei passi sulla via.

— A domani — rispose Naga allontanandosi rapidamente.

Era appena entrata nel salotto ed aveva socchiusa la finestra onde Yamaga nulla potesse perdere di ciò che doveva dire Boris, quando udì la porta aprirsi, poi dei passi sulla scala. Un momento dopo, Boris entrava col mantello coperto di neve.

— Tu, Naga! — esclamò vedendo la suonatrice. — Avevo tremato per te, fanciulla.

— Sono fuggita a tempo — disse la ghesha fingendosi ancora in preda ad un violento terrore.

— Ti ha minacciata Shima?

— Sì, era armata.

— Come aveva fatto ad introdursi qui? — chiese Boris che pareva agitatissimo.

— Fingendo di dovermi consegnare un biglietto da parte vostra, mio signore.

— E tu sei caduta nel laccio.

— Chi poteva supporre che la figlia del daimio fosse qui? Vorrei sapere come ha fatto a giungere mentre non ho veduto nessun'altra nave entrare nel porto dopo l'Amur.

— Deve averla sbarcata suo fratello, durante l'attacco delle torpediniere. Dove sei stata finora?

— Sono rimasta nascosta nel chiosco, poi non udendo più alcun rumore e supponendo che Shima se ne fosse andata, ho osato rientrare.

— Allora tu ignori che io l'ho veduta.

Naga lo guardò fingendo la più grande sorpresa.

— Voi l'avete incontrata, mio signore! — esclamò.

— E l'ho anche condotta in un luogo sicuro onde non possa farti più alcun male e dove rimarrà, come prigioniera, fino alla fine della guerra.

— Dove?

— Nella batteria N. 4, dove io ho una stanza particolare, per le notti in cui sono di servizio a terra.

— E non fuggirà?

— La mia ordinanza è incaricata di vegliare giorno e notte sulla prigioniera.

— E se la scoprissero? Non la fucilerebbero?

— Non vi è alcun timore, potendo io dire che quella fanciulla è una mia parente. D'altronde nessuno se ne accorgerà; quella stanza si trova all'estremità dei magazzini e vi è il deposito delle polveri che la divide dalla batteria.

— Potrei io vederla, mio signore?

— Se lo desideri, sia pure. Non te lo proibisco, purché tu non le parli. Non desidero che tu venga a spiegazioni con Shima.

— Grazie, mio signore.

— È tardi — disse Boris dopo qualche istante — e devo riprendere il largo sulla mia torpediniera.

— Non vi aspettavo, questa sera, mio signore.

— Un piccolo guasto ad un tubo mi ha costretto a ritornare ed è stata una vera fortuna. Shima ti avrebbe forse uccisa.

— Quella fanciulla mi fa paura e non vivrò tranquilla finché non se ne sarà andata. Io, se fossi voi, la rimanderei al suo paese.

— Nessuna nave può più uscire; i tuoi compatrioti vegliano al largo.

— Fatela condurre fuori dalla piazza e avviatela verso la frontiera cinese.

— Correrei il pericolo di compromettermi.

— Lasciate che s'imbarchi sulla torpediniera di suo fratello.

— Non sono il comandante di Port-Arthur per poter far ciò — rispose Boris. — D'altronde Sakya non sarebbe così pazzo di accostarsi alle nostre batterie. Non temere, Shima è ben guardata. Buona notte, fanciulla, ormai più nessuno ti minaccia, e poi ho collocata una sentinella dinanzi alla casa e nessuno entrerà.

Yamaga non aveva perduto una sillaba di quel colloquio. Apprendendo che vi era una sentinella al di fuori, stimò miglior partito di andarsene al più presto, giudicando troppo pericoloso d'introdursi nella casa.

— Il guasto della torpediniera potrebbe non essere stato ancora riparato e Boris ritornare a sorprendermi. Aspettiamo domani la visita della ghesha e andiamo ad avvertire Sakya onde non si esponga inutilmente al pericolo di farsi cannoneggiare.

Scavalcò prudentemente la cancellata e si lasciò cadere sulla via.

Fra la nebbia vide subito una forma umana che passeggiava dinanzi la porta della palazzina, tossendo fragorosamente.

— La sentinella — mormorò. — Alla larga!

Partì a passo rapido e fece il giro delle calate, rispondendo sempre colla parola d'ordine ai richiami delle ronde notturne e giunse felicemente al faro. Si sbarazzò del cappotto e salì fino alla cupola, interrogando ansiosamente il fosco orizzonte, che era coperto di nebbia.

— Se, come Shima mi ha detto, è vero che Sakya ronzerà nelle acque del porto, non sarà lontano e potrà scorgere i segnali convenuti.

Levò da una cassa un certo numero di vetri di vari colori, attraversati alcuni da strisce nere ed altri coperti di grosse macchie; ne scelse alcuni, poi ne prese uno e lo collocò dinanzi alla lanterna, la cui luce intensa, visibile ad una distanza di quindici miglia, per un momento rimase offuscata. Poi ne collocò successivamente, ad intervalli più o meno lunghi, parecchi altri di diversi colori, quindi attese con una certa trepidazione. Erano trascorsi quindici o venti secondi da quelle segnalazioni, quando una linea di fuoco s'alzò fra la nebbia e un razzo scoppiò in aria spandendo all'intorno miriadi di scintille.

— Ha capito che non è il momento d'accostarsi — mormorò Yamaga.

Nel medesimo istante udì una violenta detonazione e udì in aria il rauco sibilo d'una palla, probabilmente un obice.

I russi, vedendo quel razzo e sospettando che fosse stato lanciato da qualche nave avversaria, avevano fatto fuoco in quella direzione sperando di colpirla. Yamaga si era curvato sulla balaustrata, ascoltando attentamente.

— L'obice non è scoppiato, dunque si è immerso in mare senza aver colpito nessuno. Sakya è ormai salvo.

Regolò la luce del faro, rinchiuse la cassa delle lastre e discese nella sua camera, mormorando:

— È tempo di riposarsi un po'. Nulla accadrà questa notte ed i nostri si terranno lontani.

Quando l'alba sorse, il nebbione si era dileguato e le torpediniere russe, che avevano passata la notte in mare, onde impedire una nuova sorpresa, entravano in porto a piccolo vapore.

All'orizzonte non si scorgeva più nulla. La squadra giapponese doveva essersi portata assai lontano, perché non vi era alcuna traccia di fumo.

— Eppure non devono essere lontani — aveva mormorato Yamaga, che ai primi albori era salito fino alla cupola per spegnere il fanale. — Togo non è così sciocco da lasciare il campo libero alla squadra russa.

Il ritorno delle torpediniere, fra le quali aveva scorto la Strakny comandata da Boris, lo aveva reso di cattivo umore, temendo che la ghesha non potesse recarsi all'appuntamento.

— Ciò mi spiacerebbe — si era detto — premendomi conoscere le intenzioni di Naga.

Fu nondimeno una preoccupazione di poca durata, perché verso il mezzodì vide improvvisamente alzarsi sull'orizzonte numerose colonne di fumo che annunciavano la presenza della formidabile squadra di Togo. Pochi minuti dopo le torpediniere russe lasciavano precipitosamente i loro ancoraggi, dirigendosi verso l'alto mare per sorvegliare le mosse delle navi nemiche e constatò, con soddisfazione, che vi era anche la Strakny.

— La ghesha verrà — disse.

Ed infatti venti minuti dopo che le piccole navi avevano preso il largo, guardando verso le calate, scorse una giovane donna, vestita all'europea, con una pesante pelliccia sulle spalle, che attraversava la linea ferroviaria.

— Naga! — aveva esclamato. — La fanciulla ha mantenuto la sua parola. Ormai possiamo essere sicuri della sua fedeltà!

Scese nella stanza pianterrena nel momento in cui la ghesha entrava nella torre.

— Tu sei una brava fanciulla — le disse — ed ho avuto torto ieri sera di dubitare della tua lealtà!

— Boris mi ha lasciato poco fa — rispose Naga — e sono venuta.

— E Shima?

— Prigioniera fino alla fine della guerra.

— Lo so, ho udito tutto ieri sera.

— Che cosa posso fare per lei? Ordinate. Io sono pronta a qualsiasi sacrificio, purché possa recare qualche vantaggio alla nostra patria.

— Esigo la liberazione di Shima, dipendendo da quella fanciulla la vittoria finale del nostro grande ammiraglio.

— In quale modo?

— È lei che è incaricata di consegnare a Togo il piano delle torpedini subacquee che i russi hanno collocato nell'avamporto, senza il quale i nostri non potrebbero avvicinarsi a buon tiro.

Una fiamma d'improvviso entusiasmo era salita in viso alla ghesha.

— Ed io non potrei fare altrettanto? La mia vita, come quella della figlia del gran daimio, l'ho votata alla patria.

— No — rispose Yamaga dopo un momento di riflessione. — Tu sei troppo preziosa e conto su di te per far dare ai russi un colpo tremendo che li priverà della loro flotta e che darà ai nostri il dominio assoluto sul mare.

— Io?

— Sappimi dire quali sono i progetti dei russi ed i nostri compatrioti ne saranno avvertiti a tempo — disse Yamaga. — Perché credi che io da due anni sia qui, io tenente della marina giapponese, avido di gloria, assetato di lotte? Ci sto perché, spiando i russi, rendo forse maggiori servigi al mio paese, che combattendo sulle corazzate di Togo.

Stette un momento silenzioso, poi rispose:

— È prigioniera nella batteria N. 4, se ho bene inteso, è vero?

— Sì — rispose Naga.

— Puoi tu introdurti?

— Ne ho il permesso.

— Se i nostri tentassero un nuovo colpo su Port-Arthur potresti approfittare della confusione per liberare Shima?

— Sono decisa a dar fuoco alle polveri pur di salvarla.

— Le polveri! Che cosa vuoi tu dire, fanciulla?

— Boris mi ha detto che fra la batteria e la stanza dove si trova rinchiusa Shima, vi è il deposito delle munizioni.

— Ciò può rendere un gran servigio — disse Yamaga. — Sfondate le pareti dalla scossa, scappano anche i topi. Va', mi darai il piano della batteria, che Boris possederà di certo.

— Non sarà difficile — rispose Naga. — Ho pregato Boris di farmi visitare la batteria e di vedere, inosservata, la figlia del gran daimio.

— Quando ti rivedrò, fanciulla?

— Domani sera, appena le torpediniere avranno preso il largo.

— Addio, sempre per la patria e pel Mikado.

— Sì, sempre — rispose Naga, con voce solenne. — Mostrerò che le figlie del popolo non sono da meno delle figlie dei gran daimio.

— Cuor nobile — mormorò Yamaga, accompagnandola fin alla porta del faro.

La stessa sera, servendosi delle lastre colorate, segnalava ad una sottile ombra che cercava accostarsi alle scogliere di Port-Arthur approfittando della profonda oscurità:

«Shima prigioniera di Boris, senza correre pel momento pericolo alcuno. Al vostro primo attacco, la salverò».

Due razzi, innalzatisi su quella linea oscura, l'uno giallo e l'altro verde, avevano subito risposto al misterioso telegramma.

— Sakya è avvertito ed ha risposto — aveva mormorato il giapponese. — Ed ora aspettiamo la buona occasione.