L'avvenire!?/Capitolo settimo

Capitolo settimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo settimo
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CAPITOLO SETTIMO




«Formata che sia l’armata industriale,» dissi io, «comincia secondo me una gran difficoltà, poichè in questo punto cessa l’analogia con l’armata militare. I soldati hanno tutti la stessa cosa da fare; invece quest’armata deve imparare ed esercitare diversi mestieri. Come si fa per dare a ciascuno il mestiere che gli sia più adatto? Chi fa la scelta?» [p. 38 modifica]

«Ognuno per sè, secondo le disposizioni naturali. La scelta è libera per ogni uomo. La soddisfazione dell’operaio durante il suo tempo di servigio dipende appunto da ciò che l’occupazione è di suo gusto. Dalla prima infanzia i genitori ed i maestri osservano quali siano le inclinazioni speciali dei bambini e si conducono i giovinetti nelle officine per ispirare loro l’amore al lavoro».

«Non è però possibile.» diss’io «che il numero di quelli che hanno scelta liberamente una industria, corrisponda giustamente col numero degli operai che possono occorrere».

«Il numero dei volontari», riprese il Dott. Leete, «corrisponde sempre al bisogno. A questo pensa poi l’Amministrazione. Quando le domande per un tale mestiere sono in numero elevato, è una prova esser quello il preferito: e il contrario invece ne dimostra la difficoltà. Il compito dell’Amministrazione è dunque di bilanciare i vantaggi di un mestiere con gl’inconvenienti di un altro e fare in modo che tutte le industrie abbiano la loro parte di attrattiva. Le ore del lavoro sono proporzionate a seconda della difficoltà dei mestieri. Per esempio gli operai minatori hanno il minor tempo di lavoro. Si procura che il lavoro dell’uno non sia più pesante di quello dell’altro, e gli operai stessi sono chiamati a giudicare. Salute e sicurezza sono le condizioni generali per ogni industria».

«Quando per una stessa industria, vi sono richieste maggiori al bisogno, come si risolve la questione?» domandai.

«Quelli che possono dare migliori referenze, hanno la preferenza. Tutti quelli però che insistono nel loro desiderio, non vengono mai respinti. Nel caso di deficienza nell’uno o nell’altro ramo d’industria, l’amministrazione chiama i volontari speciali pronti a prestarsi in qualunque circostanza. Qualche volta anche si cerca, nella classe dei meno abili, quelli che possono prestare miglior servizio. A questa classe appartengono le nuove reclute durante i tre primi anni di servizio. Dopo questo periodo, in cui il giovane può venir comandato dagli anziani, egli manifesta liberamente la sua vocazione. Nessuno può esimersi da questi tre anni di severa disciplina». [p. 39 modifica]

«Per un sistema industriale, questo mi sembra un’eccellente disposizione» dissi «ma che si fa per gli uomini che servono la Nazione con la testa e non con la mano? Come si scelgono fra gli agricoltori e gli operai? Ciò richiede una scelta prudente».

«Senza dubbio» rispose il dottor Leete, «in questo caso si usa la più grande precauzione, e lasciamo ad ogni uomo la scelta per divenire lavoratore di testa o lavoratore di braccia. Alla fine dei tre anni, periodo in cui ognuno deve servire come semplice operaio, si spiega la propria vocazione. Le scuole di tecnologia, di medicina, pittura, musica, arte drammatica e d’ogni maggior coltura, sono aperte ad ogni aspirante».

«Le scuole non sono allora stipate di giovanotti, il cui movente è di liberarsi dal lavoro?»

Il dottor Leete sorrise un po’ ironicamente e disse «Vi assicuro che nessun uomo entra in una di queste scuole coll’intento di sottrarsi al lavoro.

Queste scuole sono destinate a coloro che hanno disposizioni intellettuali speciali. Alcuni travisano la loro vocazione, e quando si avvedono di avere sbagliato strada, tornano al servizio industriale. Le scuole ai vostri tempi si mantenevano a seconda del numero degli scolari e credo vi fosse l’uso di dare certificati non meritati; le nostre scuole invece sono istituti nazionali e l’aver superati degli esami è una prova sicura di attitudini speciali. Fino ai trentacinque anni, l’uomo può continuare nello studio, più tardi non si accettano studenti. Ai vostri giorni i giovinetti dovevano decidere presto quale sarebbe stata la loro carriera, e si pentivano forse più tardi per l’infelice scelta. Avendo noi al contrario constatato che non in tutti si sviluppano in ugual tempo le facoltà naturali, lasciamo ai giovani di 24 anni aperta per 11 anni ancora la via alla scelta d’un impiego soddisfacente».

Azzardai una domanda, che m’era già venuta più volte alle labbra, una domanda alla quale non si sarebbe potuto dar risposta ai miei tempi.

«È strano» dissi, «che non mi abbiate ancora parlato del salario in generale».

Siccome la nazione è il solo ed unico committente imprenditore, [p. 40 modifica]così tocca al governo di stabilire le mercedi dal dottore al bracciante.

Per quanto io possa giudicare, ai nostri tempi questo piano non avrebbe potuto effettuarsi, e non comprendo come sia ora possibile il farlo. Allora nessuno era contento del suo avere. Se il malcontento riversato in maledizioni contro gl’innumerevoli distributori di lavoro venisse concentrato su di uno solo, e cioè sul governo, questo, per quanto sia forte, non resisterebbe due giorni».

Il dottor Leete scoppiò a ridere.

«È verissimo, è verissimo» disse egli, «uno sciopero generale avrebbe fatto seguito al primo giorno di paga ed uno sciopero contro il governo vale una rivoluzione».

«E allora, come schivare una rivoluzione ogni giorno di paga?» domandai. «Un prodigioso aritmetico ha forse inventato un nuovo sistema di calcolo per riuscire a soddisfare tutti, qualunque sia il genere di servizio prestato, colla testa, coi muscoli, con la voce, con l’orecchio o con l’occhio, oppure la natura umana è talmente cambiata, che nessuno si cura più dei propri interessi, ma bensì di quelli del suo vicino? Quale di queste due supposizioni è la giusta?»

«Nè l’una, nè l’altra», fu la risposta del dottor Leete. «Ma, signor West» continuò, «voi dovete pensare, che non siete soltanto mio ospite: ma bensì il mio paziente, così vi ordino il sonno prima di parlare più oltre su ciò. Sono già suonate le tre».

«Questa ordinazione è certo molto prudente», risposi, «e voglio sperare che verrà eseguita».

«Quanto a questo ci penso io» aggiunse il dottore, e lo fece difatti, poichè mi diede un bicchiere pieno di una bevanda la quale, non appena appoggiata la testa all’origliere, mi fece addormentare profondamente.