L'agricoltura americana/I
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La scienza economica e la coscienza politica si interrogano, in tutto il mondo, sulle strade future dello sviluppo agricolo: scienziati e uomini politici, responsabili economici e uomini di cultura si chiedono dove andrà, nei prossimi venti, cinquant'anni, l'agricoltura del mondo. E' una domanda che costituisce il passaggio obbligato per formulare qualsiasi quadro di previsioni del futuro della società umana, essa impone, tuttavia una serie di problemi tanto vasti da rendere aleatoria qualsiasi risposta. Ma a chi si chieda dove andrà domani l'agricoltura del mondo, più di un elemento significativo per formulare ipotesi e previsioni può venire dalla risposta ad una domanda diversa: dove va oggi l'agricoltura americana? Sono cento anni, infatti, che i processi e le tendenze che si manifestano nelle campagne americane anticipano e precedono i processi e le tendenze che si realizzeranno dieci, venti anni dopo, nelle campagne di tutti i paesi industrializzati, che determinano e condizionano l'evoluzione tecnica ed economica che si svolge nelle campagne delle società preindustriali. E' per questo ruolo di forza trainante e di causa determinante di quanto si verificherà nelle campagne di tutto il mondo che le linee di sviluppo dell’agricoltura americana si impongono come elemento essenziale all'attenzione di quanti seguono, in ogni paese del globo, l'evoluzione tecnica, economica, sociale delle produzioni della terra. Non meno che per tutte le altre del mondo, quell'interesse si impone per l'agricoltura italiana, a causa della dipendenza dall’approvvigionamento di derrate fondamentali legata al gigante agricolo statunitense da vincoli molteplici e cogenti.
E' per il convincimento dell'importanza di conoscere quello che l'agricoltura americana è oggi per prevedere ciò che l'agricoltura italiana sarà domani che Terra e Vita propone ai propri lettori, da questo numero, un panorama del più grande contesto agricolo del mondo. Un panorama del continente agricolo America ”visto dal di dentro” dagli uffici del Dipartimento dell’agricoltura di Washington ai centri decisionali delle organizzazioni agricole, dai recinti dei ranchers ai laboratori dei genetisti da cui escono le nuove varietà per soddisfare le esigenze di un mercato in perenne, dinamica evoluzione.
Esso è il frutto di un lungo viaggio attraverso l'America agricola che Antonio Saltini ha effettuato, ospite del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti, che ha voluto, tramite il nostro giornale, consentire al lettore italiano di conoscere il volto complesso e multiforme del più imponente complesso agricolo del mondo. Legate da vincoli antichi di complementarietà e di cooperazione, solidi e profondi al di là delle pure palesi ragioni di competizione e di confronto, l'agricoltura americana e l'agricoltura italiana debbono conoscersi e comprendersi.
A unire gli agricoltori del gigante produttivo statunitense e gli operatori agricoli della Penisola non esistono, infatti, solo legami economici e tecnologici, esiste un'identità profonda di opzioni e di aspirazioni: l'amore per la terra, il gusto della propria indipendenza, la scelta di vivere in una società libera, operosa, aperta. Ringraziando i responsabili del Governo americano che hanno reso possibile il nostro viaggio attraverso l'America agricola, Terra e Vita si augura che il quadro economico, tecnologico, sociale che esso ha consentito di comporre rappresenti un elemento di conoscenza e di stima reciproca, uno stimolo per una più intensa cooperazione tra due sfere produttive, tra due mondi ideali chiamati allo stesso impegno di lavoro, di intelligenza, di decisione per il progredire futuro della società umana.
Dall’Atlantico alle Montagne Rocciose un’unica distesa di terra fertile
«Apra una carta del continente: dalla valle del Mississippi ai lembi del deserto dell'Ovest, salendo a Nord fino ai grandi laghi si stende un'unica distesa di fertili terre agricole, una delle pianure più vaste del pianeta. Aggiunga un clima con piovosità e temperature tanto favorevoli alle coltivazioni da non avere eguali sulla terra. Aggiunga ancora la tecnologia produttiva più avanzata del mondo, e l'organizzazione dei mercati più moderna ed efficiente. La somma di questi addendi le darà l'agricoltura americana».
A propormi questo quadro del mondo agricolo di cui sto iniziando la visita è Glenn Tussey, assistant director della Farm Bureau Federation, l'organizzazione che riunisce la grande maggioranza degli agricoltori degli Stati Uniti. L'elegante ufficio in cui si svolge la nostra conversazione è parte della “missione” a Washington della grande organizzazione agricola, al settimo piano di un palazzo di cemento e di vetro sulla 13a strada, a duecento metri dal Mall, il grande asse di parchi e di viali sul quale si affacciano tutti i centri della vita politica del paese, dal Campidoglio alla Casa Bianca, dal Ministero del Commercio a quello dell'Agricoltura.
Aprire, seguendo il suggerimento di Tussey, una carta del paese, fornisce la prova indiscutibile di quanto l'asserzione dell'assistant director della Farm Bureau Federation costituisca tutt'altro che espressione di enfasi patriottica, di quanto essa non rappresenti che la descrizione sintetica di una realtà assolutamente priva di riscontro su tutto il planisfero. Immenso rettangolo i cui estremi coprono sessanta gradi di longitudine e venticinque di latitudine, gli Stati Uniti costituiscono un immenso tavolato pianeggiante disteso tra l'Atlantico e il Pacifico, lungo le cui coste si dipanano gli unici complessi montuosi del continente, che circondano come un immenso bacino, con effetti fondamentali sulla climatologia del paese. Quel bacino è l'area di condensazione naturale dei venti umidi dell'Atlantico: per ragioni astronomiche e meteorologiche dal Pacifico non entrano nel continente perturbazioni piovose. E l'umidità atlantica si scarica progressivamente, al procedere degli anticicloni verso il cuore del continente, creando una serie di fasce di piovosità decrescente disposte nel senso dei paralleli, dal caratteristico regime umido-temperato della costa orientale a quello arido a grandi escursioni stagionali della fascia posta ad Est delle Montagne Rocciose, dove le perturbazioni giungono ormai esaurite, e la piovosità è quella irregolare delle aree desertiche.
Escludendo “piccoli” bacini marginali, più di uno peraltro più vasto di quello del nostro Po, tutta la regione piovosa del continente può essere ripartita tra due grandi bacini imbriferi: quello del Mississippi e quello dei Grandi Laghi, il sistema di acque interne al confine con il Canada confluente nel San Lorenzo, un sistema lacustre dagli effetti fondamentali sul clima.
A margine del grande bacino continentale, due “piccole” appendici dalle caratteristiche assolutamente diverse da quelle dell'interno del paese, la lunga lingua della Florida, con una superficie corrispondente a metà di quella italiana, dal clima tipicamente tropicale, e la grande piana costiera della California, una superficie corrispondente ad una volta e mezzo quella italiana, separata dal bacino continentale dalle creste delle Montagne Rocciose, dal tipico clima marittimo, con una gamma di situazioni regionali, data l'estensione latitudinale, dal temperato-asciutto al caldo arido.
Lungi dal costituire una remora per la ricchezza agricola del paese, la varietà degli ambienti climatici, il passaggio graduale dall'uno all'altro sono il presupposto e il fondamento del suo straordinario polimorfismo: tracciare il profilo dell'agricoltura americana equivale, infatti, ad elencare una serie interminabile di primati in tutte le sfere della produzione agricola. Su una superficie di 430 milioni di ettari, un'entità che é seconda soltanto a quella dell'Unione Sovietica, il paese realizza una produzione che gli assicura il primo posto mondiale tra i produttori di mais (160 milioni di tonnellate), di sorgo (21 milioni di tonnellate), di soia (46 milioni di tonnellate), di cotone (3 milioni di tonnellate), di carne bovina (12 milioni di tonnellate), di carne suina (6 milioni di tonnellate), di pollame (6,6 milioni di tonnellate) e di uova (65 miliardi di pezzi). Il secondo posto mondiale nella produzione di grano (58 milioni di tonnellate) dopo l'URSS, e di latte (55 milioni di tonnellate) dopo la Cee: il primato incontestato, quindi, in tutte le derrate di carattere strategico, oltre a posizioni preminenti in un numero pressoché illimitato di produzioni ortofrutticole, dalle pesche alle mele, dai pompelmi alle mandorle, e nelle produzioni zootecniche di secondo rango: polli, tacchini, pesci e crostacei di allevamento.
All’apice dei consumi mondiali, all’apice delle esportazioni
Ma i primati produttivi dell'agricoltura americana non rivelano, da soli, per intero la fisionomia di un mondo che rende vano qualsiasi sforzo di reperire termini di confronto: per ricavarne il significato complessivo essi devono essere esaminati sulla scorta di alcune constatazioni essenziali sul tessuto aziendale e organizzativo che anno dopo anno di quei primati assicura la continuità ed il rafforzamento. Gli Stati Uniti sono, infatti, il paese del mondo in cui gli agricoltori rappresentano la quota minore della popolazione, assicurando la più alta disponibilità di alimenti per il consumo interno e per l'esportazione: due milioni e mezzo di aziende, un numero press'a poco corrispondente a quello che si registra in Italia, tra le quali assolutamente preponderanti le aziende familiari dove non lavorano che una-due persone. In tutta l'agricoltura americana prestano la propria opera 4, l milioni di lavoratori, in media uno ogni 100 ettari.
Ma con la superficie di terra e l'entità dei mezzi tecnici di cui dispongono, i 4,1 milioni di lavoratori agricoli americani assicurano a una popolazione di 220 milioni di abitanti il più elevato standard alimentare del mondo: 110 chilogrammi di carne a testa, 138 chilogrammi di latte, 72 di frutta, 102 di ortaggi. Assicurano, insieme, il flusso più consistente di prodotti agricoli che da qualsiasi paese del globo raggiunga i mercati mondiali: 61 milioni di tonnellate di mais, il 65 per cento del volume negoziato sui mercati internazionali, 30 milioni di tonnellate di grano, il 50 per cento degli scambi mondiali, 5 milioni di tonnellate di soia, l’82 per cento di tutta la soia scambiata sui mercati internazionali. E gli Stati Uniti sono i primi esportatori mondiali di riso, cotone, panelli proteici, pelli, pompelmi, prugne conservate.
TERRA E VITA, n. 47, 29 novembre 1980