L'aes grave del Museo Kircheriano/Classe IV. Tavola IV.

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Classe IV. Tavola III. B. L'aes grave del Museo Kircheriano
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CLASSE V. TAVOLA I.

Da mutarsi secondo l'avviso già dato in

CLASSE IV. TAVOLA IV.


Le monete di questa officina si rimarrebbono forse tra le incerte, se non avessero il vantaggio delle tudertine e delle romane, d’esser divise in diverse età e nella doppia arie della fusione e del conio. Ne’ primi tempi i loro autori non fecero alcun cenno del particolare loro nome: nella seconda età vi scolpirono in una L arcaica la propria iniziale: nella terza vi espressero l’intero nome LOVCERI. Possiam dunque rimanerci in una piena certezza, avuto anche riguardo alla provenienza delle monete, che la intera serie spetta a Lucera, che è forse la più illustre fra le città dell’antica Daunia. Abbiam ripetuto più volte che il rutulo Pico ebbe a figliuolo Fauno o Dauno: e come i piceni presero da Pico il loro nome, così i daunj lo presero da Fauno o Dauno. Ma Festo ci lascia argomentare, che anche il nome di Lucera venga dalle terre de’ rutuli. Lucero, dice egli, chiamavasi quel re d’Ardea che venne in soccorso di Romolo nella guerra che questi sostenea contro Tazio; e aggiunge che la terza centuria de’ cavalieri, la quale poco dopo quella guerra in Roma s’istituì, fu detta de’ Luceri dal nome [p. 115 modifica]di quello stesso re. Non è inverisimile, che tra gli antenati di costui si contasse un altro Lucero, e che questi varcato l’appennino con una colonia di cistiherini, chiamasse Daunia la terra e Lucera la città, che la sorte gli diede a nuova patria. Ella è questa una ripetizione di nomi in tutto eguale a quella che abbiam riconosciuta nel piceno e in Atri.

Che i luceresi in origine sieno rutuli, latini, equi e volsci, noi l’argomentiamo altresì dalle loro monete che troppo apertamente si riconoscono ricopiate dagli originali di queste genti cistiberine. Il cavallo che qui è nell’asse, ha il suo prototipo nel triente della serie de’ rutuli; e la ruota del rovescio della serie de’ rutuli è pure ripetuta sul diritto e sul rovescio del pentobolo lucerese. Questa è la sola ripetizione d’imagine che veggasi nelle monete di quest’officina: ed una tale ripetizione noi la crediamo ordinata da’ luceresi a meglio inculcare il nome della stirpe da cui erano originati.

Sono secondo il pensar nostro degli equi di Tivoli l’Ercole dell’asse, la rana dell’obolo e la seppia del semiobolo: e son presi dalle quattro serie latine la clava e il fulmine del tetrobolo, il delfino del triobolo, la conchiglia e l’astragalo del diobolo. La spiga dell’obolo è de’ volsci; e d’ altre genti cistiberine meno conosciute l’astro che vedesi nel triobolo e la mezzaluna nell’obolo de’ luceresi. E a noi di qualche maraviglia il vedere come i daunj di Lucerà, i quali sarebbon pure fratelli a’ piceni di Atri, abbian voluto tra le imagini delle monete cistiberine eleggersi esclusivamente quelle che gli atriani non aveano curate. L’Ercole tiene il luogo del Pico per la ragion forse del voto della primavera fatto ad Ercole e non a Pico: così il cavallo in luogo dell’irpo ci significa una emigrazione guidata forse da un cavallo e non da un irpo. Ma nel rimanente perché i luceresi non si mettono in migliore accordo con gli atriani, e non ci mostrano come la stirpe, cosi eziandio la fratellanza comune ?

Con quest’ultime parole. Come ognun vede, noi abbiam decisa la quistione che potrebbe muoversi su l’anteriorità delle due officine d’Atri e di Lucera. La decisione dipendeva dal fatto del molto numero delle monete atriane, le quali tulle sono della prima età e del primo peso, in confronto della molta rarità delle monete luceresi di quella antica forma. Sono esse rare tanto, che noi finora non sappiamo dove esistano l’asse ed il semiobolo. Il pentobolo per ciò che da noi si conosce, non è che nella biblioteca reale di Parigi, ma in quel misero stato che vedesi nel disegno del n. 14. Tavola V. Incerte. Guardavansi in questo museo il tetrobolo, il triobolo e l’obolo: il diobolo l’avevam preso dal rozzo disegno offertoci da un buon amico. Ma il Barone d’Ailly or ora ce ne ha recato da Napoli un ottimo esemplare, su cui la conchiglia e l’astragalo hanno la lor vera forma, non quella incerta e goffa che è nel disegno. Tale è la rarità delle monete luceresi della prima età: comuni in loro confronto dir si possono le coniate, che da noi si hanno come de’ tempi romani cioè di quella età, in cui già [p. 116 modifica]Lucera ubbidiva a’ romani. Cade qui in acconcio il ripetere agli studiosi un avviso ohe ci viene dallo stesso Barone d’Ailly. Ci attesta egli che nel ricchissimo medagliere d’un tra’ più nobili Signori che abbia Napoli conservasi un asse a noi sconosciuto, di grandezza e di peso primitivo, con le imagini d’Ercole nel diritto e d’un busto di cavallo nel rovescio. Non sarebbe per noi inverisimile, che se in questa moneta vi concorresse lo stile e la forma molto convessa della primitiva fabrica lucerese, l’asse appartenesse a questa antica serie. Converrebbe tuttavia imaginare che al tempo della prima diminuzione il busto di cavallo venisse in Lucera trasformato in quel cavallo medesimo che è nel triente de’ rutuli.

Tornando per poco alle monete coniate di questa officina, ne giova dire il perchè da noi si riportino a’ tempi delle prime conquiste de’ romani su quella parte della Puglia. Noi lo deduciamo dalla medesima mancanza di asse che abbiamo già osservata in Tivoli e in Todi ed abbiamo attribuita al romano orgoglio, pentoboli, tetroboli, trioboli, dioboli ed oboli coniati in questa zecca, sono ovvj: e perchè mai l’asse coniato ci si tien tuttora nascosto? Anzi invece di crederlo nascosto, noi sospettiamo che forse affatto non esista: mercechè se esistesse aver dovrebbe per sua prima impronta l’Ercole dell’asse fuso. Ma in questa serie acefala l’Ercole è invece effigiato nel tetrobolo: come nel semisse i tudertini costretti furono a rapresentare l’aquila e il corno d’abbondanza, che nell’epoca della loro indipendenza aveano sempre effigiati nell’asse.

L’altra differenza che appare tra le sette monete fuse e le cinque coniate di Lucera, consiste in questo, che nel pentobolo una delle ruote ha ceduto il luogo ad una testa di Minerva, la ruota rimastavi s’è fornita di otto raggi, in luogo de’ quattro primitivi. Il tetrobolo ha sostituita la testa d’Ercole al fulmine, e alla clava ha aggiunta la faretra e l’arco. Il triobolo ov’era l’astro, ha la testa di Nettuno e sotto al delfino porta scolpito un tridente: il diobolo ha la testa di Venere nel luogo dell’astragalo ch’era pure un simbolo di Venere: la conchiglia è rimasta qual era. Finalmente alla spiga dell’obolo vedesi sostituita una testa d’Apollo, il quale ritiene nel rovescio la sua rana senza mutazione né aggiunte.

L’arte de’ luceresi in tutte tre le epoche della loro moneta non si leva al di sopra d’una discreta mediocrità. I caratteri che adoperano per la loro lingua sono quelli de’ popoli cistiberini, da cui son nati al modo medesimo de piceni e de’ vestini.

Nel metter termine a questi preliminari, co’ quali non intendiamo che ad appianar la via ad un più serio e lungo trattato su la scienza dell’aes grave, avvisiamo gli studiosi che il fautore amorevolissimo di questi nostri studj Barone d’Ailly tra le altre buone cose recateci nel sua ritorno dal viaggio di Napoli e Sicilia, ci ha donato il quadrante dal delfino [p. 117 modifica]raddoppiato del n. 3. Tavola III. Incerte. In questo nuovo e ben conservato esemplare leggesi tutto intero il monogramma v E, laddove nell’antico non vi sapevam riconoscere se non una delle due linee del v. Abbiamo qui quasi intera una serie decimale di monete onciali coniate con questo medesimo monogramma. Su di essa ci sono necessarj ulteriori studj e confronti, per ben discorrerne a miglior tempo. Tant’è maggiore questa necessita di studiare e confrontare, quanto che dalla medesima mano riceviam ora un’oncia coll’imagine de’ due dioscuri rappresentata nel modo medesimo del sestante de’ volsci. Da queste due monete effigiate secondo il costume latino e volsco può congetturarsi l’esistenza d’altre serie dalle latine e volsche non dissomiglianti.

Quando descrivevamo l’oncia del n. 6. Tavola III. Incerte, dichiaravamo di non saper dicifrare quel monogramma che vedesi ripetuto sotto e sopra il grano d’orzo. Con qualche sforzo, vano forse interamente, abbiam creduto di riconoscervi dipoi la prima sillaba della voce ΑΝΞΑΝΩΝ. Che con questa greca epigrafe v’esista una serie d’aes grave italico, pare debba tenersi per certo, ora che è certa in Napoli l’esistenza dell’asse presso quel nobilissimo numismatico che è il padrone eziandio dell’altro asse, il quale testé sospettavamo poter essere quello della prima officina lucerese. A chi conosce la prima storia delle città maritime dell’Italia meridionale non parrà certamente un paradosso, che tra Atri e Lucera, le quali usano latini caratteri, i frentani di Lanciano adoperino caratteri greci.

Nella Tavola V. Incerte sotto la lettera A. n. 4. abbiam riprodotto un semisse che il Passeri avea già publicato ne’ Paralipomeni al Dempstero. Per le istancabili industrie del Barone D’Ailly un semisse quasi eguale è al presente in nostra mano: anzi fortunatamente dalla benevolenza del Signor Avvocato Rusca abbiam ricevuto quasi nel medesimo tempo anche il triente con queste medesime imagini: talché con queste due monete e con l’oncia che già avevamo, abbiam giusta ragione di proclamare l’esistenza d’una serie intera con questa curiosa impronta ripetuta in tutte le sei monete. Dicevamo il semisse nostro quasi eguale a quello del Passeri, perché manca dell’ampio margine che gira intorno alla cornice di quello da lui publicato, e le sei palle son qui ripetute sotto alle due mezzelune in quella specie d’esergo che vedesi senza alcun segno nella stampa ricordata. Il triente ha le quattro palle su la sinistra de’ due putti, non su la destra come il semisse; e qui pure questo segno del triente ripetesi sotto alle due mezzelune che chiudonsi i due astri entro la propria curvatura. Secondo la massima da noi stabilita sul fondamento delle undici serie etrusche, una serie di monete, che nelle parti inferiori dell’asse rinnova inalterabilmente le imagini scolpite nel diritto e nel rovescio dell’asse medesimo; debbe aversi per etrusca. Opporrebbesi a tal sentenza la fabrica e lo stile delle tre che qui abbiamo su gli occhi. Nulla qui vedesi che s’assomigli alle officine volterrane [p. 118 modifica]o a quelle dell’ altre nove serie. Vero è tuttavia , che, quantunque l’artifizio de’ volterrani sia diversissimo da quello degli altri etruschi, non perciò cessa d’essere etrusco. Opporrebbesi la provenienza, perchè due di queste monete ci son venute certamente da Napoli e forse anche la terza. Ma anche qui converrà distinguere il commercio numismatico che si fa in Napoli, dalle escavazioni che si praticano in mille parti di quel regno e di tutta questa Italia media, dalle quali non è maraviglia che sieno andate a colare in quel ricco emporio d’ anticaglie anche tutte tre queste monete. Il tempo e l’attenzione sapranno darcene i più sicuri avvisi.

Finalmente il Barone D'Ailly, per particolare richiesta fattagli da noi, ha studiata nel museo Borbonico di Napoli la genuinità dell’asse di Volterra con l’imagine del delfino che colà si conserva , e l’ha trovata sincerissima. Lo stesso ci attesta il Signor Avvocato Rusca che ripetutamente ha riscontrata in Volterra cotesta impronta con tutti i caratteri dell’antichità. Cadono con ciò i dubbj da noi promossi, e Volterra con due città da lei non molto lontane ed amendue maritime, Vetulonia forse e Populonia, si rimangono in possesso delle tre loro diverse serie.