L'Utopia (1863)/Libro secondo/Del commercio tra i cittadini

Del commercio tra i cittadini

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Tommaso Moro - L'Utopia (1516)
Traduzione dal latino di Anonimo (1863)
Del commercio tra i cittadini
Libro secondo - Degli artefici Libro secondo - Pellegrinaggi degli Utopiensi
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Del commercio tra i cittadini.


È ragionevole che si dichiari in che guisa i cittadini hanno commercio insieme, e trattano le loro bisogne. Essendo la città composta di famiglie, essi le fanno grandi col maritar le figliuole. Perchè vanno le giovani maritate in casa dei mariti; ma i figliuoli maschi e i discendenti rimangono nella famiglia ed ubbidiscono o al [p. 43 modifica]più vecchio, al quale si sostituisce un altro per età prossimo, se egli mancasse di giudizio. Ma perchè la città non venga meno di cittadini, nè cresca oltre modo, vietasi che niuna famiglia (perchè in ogni città ne sono seimila, non contando il senato) abbia meno di dieci più che sedici fanciulli, poichè negli adulti non si può tener misura. E fassi questo agevolmente, dando nelle famiglie più rare quei figliuoli, che nascono nelle più copiose; e quando crescono oltre modo, mandandoli nelle altre città meno popolose. Quando poi moltiplicano per tutta l’isola, inviano colonie ai luoghi vicini, ove siano larghi terreni non coltivati dagli abitatori; cui pigliano in compagnia a vivere con le loro leggi, se si contentano. E se ne contentano facilmente, perchè i coloni coi loro buoni istituti rendono fertile il terreno, il quale forse era giudicato sterile e maligno. Ma se non vogliono abiure con loro, li cacciano da quei confini, che si prendono. E credono aver causa giustissima di guerreggiare e trattar da nemici coloro, i quali non lasciano lavorare ad altri quel terreno, che ad essi avanza, e di cui si possono nodrire molti. Se alcune città loro tanto si scemano di uomini, che non vi si possa supplire dalle altre (il che a memoria loro è accaduto solamente due fiate per la pestilenza) richiamano cittadini dalle colonie, per fare l’isola loro popolosa; volendo piuttosto disfare le une, che lasciar venir meno le altre. Ma torno alla foggia del viver loro. Il più vecchio è preposto alla famiglia, le mogli servono ai mariti, e i figliuoli ai padri, ed universalmente i minori ai maggiori. Ogni città si divide in quattro parti eguali, e nel mezzo di ciascuna è una piazza, ove ogni famiglia porta i suoi lavori, e li dispone per ordine in certi granai. Ogni padre di famiglia piglia di qui ciò che fa bisogno ai fatti suoi, senza prezzo alcuno; quando che hanno copia di ogni cosa, nè alcuno teme che gli manchi, e si contenta solamente di quanto gli fa mestieri. Essendo manifesto che dove non è il timore di dover mancare delle cose necessarie, nè superbia di [p. 44 modifica]volersi aumentare di ricchezze soverchie (le quali cose fanno l’uomo avido e rapace; il che non avviene agli Utopi), ivi è un vivere tranquillo. Evvi il mercato dei cibi, ove si portano erbe, frutti, pane, pesci, carne di ogni animale, e questo fuori della città vicino al fiume, ove si possono lavare le immondizie. Gli animali sono uccisi e lavati per mano di famigli, onde non si contaminino i cittadini, parendo loro che la umanità e clemenza all’uomo naturale, con tali uccisioni a poco a poco venga meno. Nè lasciano introdurre nella città cosa alcuna sporca o fracida, acciocchè non si corrompa l’aria, e indi nasca pestilenza. Ogni borgo ha certe spaziose sale, distanti ugualmente una dall’altra, e con i loro propri nomi. In queste abitano i Sifogranti: e le trenta famiglie a loro commesse, quindici da un lato e quindici dall’altro della loro dimora: ivi hanno a venire a mangiare in comune. Quelli, a cui spetta di apparecchiare i cibi per ciascuna sala, vengono in piazza a chiedere i cibi per quante persone si trovano avere. Hanno special cura degli infermi, i quali sono governati in pubblici alberghi. Perchè mantengono fuori della città quattro stanze tanto capaci, che paiano quattro picciole città, onde vi stiano molti infermi acconciamente, e i contagiosi possano tenersi dagli altri lontani. Sono queste stanze ad ogni comodo degli infermi artificiosamente fabbricate, e tanta diligenza vi si usa e assidua cura di medici, che ognuno, infermando, si contenta piuttosto di esser governato in tai luoghi, che nella casa propria: ma niuno vi si manda contra sua voglia. I cibi, secondo l’ordine dei medici, sono assegnati ai dispensieri, che li dividono tra quelli di ciascuna sala. Se non che si ha riguardo al principe, al pontefice, ai tranibori, agli ambasciatori e agli stranieri, i quali per altro vi si veggono di raro, e a cui si provvede altresì di certe stanze a sufficienza fornite. Concorrono ad ora di mangiare a suono di tromba di metallo tutte le famiglie raccomandate ad un Sifogrante, eccetto gl’infermi che giacciono negli alberghi o nelle [p. 45 modifica]proprie case. Benché soddisfatto alle sale, non si nega il cibo della piazza a chi lo chiede, sapendosi di certo che questo non faccia senza causa ragionevole. Perchè quantunque non sia vietato ad alcuno il mangiare in casa, tuttavia niuno vi sta volentieri, non essendo tenuta per cosa onesta, anzi sembrando pazzia pigliar la fatica di apprestare un magro desinare, potendo trovarlo delicato nella sala. Ivi i servi ministrano in quelle cose, che sono di fatica o di qualche sporchezza; e le femmine cuociono i cibi ed apparecchiano il convitto. Mangiano le famiglie a tre tavole o pili, come porta il numero loro, i maschi colla schiena al muro, le femmine di fuori; acciocchè volendosi levare per qualche disconcio, come suole avvenire alle gravide, non turbino gli ordini; ed anco possano andare a rivedere le balie, che stanno in una stanza sempre col fuoco e l’acqua monda, per governare i bambini a voglia loro. Ognuna latta i suoi figliuoli, se non è impedita da infermità; e quando avviene questo, le mogli dei Sifogranti agevolmente proveggono di balia. Perchè quelle che sono atte a far questo, si offeriscono spontaneamente; massime che tutti le commendano di clemenza, e quelli che da alcuna è lattato la riconosce per madre. Nella stanza delle balie stanno i fanciulli da cinque anni in giù. Gli altri sinché sono all’età di maritarsi, e maschi e femmine servono alle tavole, e chi non può servire sta presente con sommo silenzio. Mangiano quello che loro viene sporto da quei che seggono, senza avere ora alcuna assegnata al loro desinare. Nel mezzo è la prima tavola a traverso del cenacolo, dalla quale si mirano tutte le tavole. A quella seggono il Sifogrante e la moglie, e due de’ più vecchi. Seggono a quattro a quattro per tutte le tavole. Se in quella sifogranzia è tempio alcuno, il sacerdote e la moglie di quello seggono a tavola col Sifogrante. Si pongono d'amendue le parti i più giovani, di poi i vecchi, di maniera che si trovano insieme di età dissimili, acciocchè la gravità e riverenza dei vecchi ratfreni i giovani di ogni sconvenevole atto [p. 46 modifica]o parlare. Le vivande più delicate sono portate primieramente ai più vecchi, i luoghi dei quali sono ragguardevoli: di poi si serve agli altri ugualmente. I vecchi dispensano a chi loro piace quei delicati cibi, dei quali non era tanta copia, che se ne potesse dare a tutti. Così vengono onorati i vecchi, e nondimeno il comodo a tutti perviene. In ogni desinare e cena si legge brevemente qualche cosa, che vaglia a formare i costumi. Da questa lezione i vecchi pigliano occasione di onesti parlamenti, ma sollazzevoli e grati. Non però tanto sono prolissi nel parlare che non vogliano udire ragionare i giovani; anzi a studio li provocano, per comprendere nella libertà del convito la prontezza e disposizione di ciascuno. Il desinare è di corto tempo, perchè si va al lavoro; ma la cena tengono più lunga, perchè segue poi il dormire, che giudicano molto efficace per il digerire. Non cenano senza canti, e copia di frutti o confezioni; fanno profumi odoriferi; spargono unguenti, e non risparmiano cosa alcuna, che possa rallegrare il convito: non parendo loro che sia vietata alcuna voluttà, purchè non ne riesca qualche incomodo. In questa guisa vivono nella città: ma in villa, ove sono le famiglie una dall’altra lontane, tutte mangiano a casa propria, nè manca loro cosa alcuna, perchè viene ad esse portato di quello che si mangia dagli altri nella città.