L'Unico e la sua proprietà/Parte prima/I. Una vita umana
Questo testo è completo. |
◄ | Parte prima | Parte prima - II. Uomini del tempo antico e del moderno | ► |
I.
UNA VITA UMANA
Dal momento in cui apre gli occhi alla luce, l’Uomo cerca di liberarsi e conquistare se stesso in mezzo al caos in cui rimane confuso con il resto del mondo.
Ma tutto ciò cui sì rivolge il bambino si ribella contro i suoi tentativi e afferma la propria indipendenza.
E siccome ognuno vuol fare di se stesso il centro di ogni cosa, urta da ogni parte contro le medesime pretensioni insite in tutti gli altri; e da ciò risulta inevitabilmente il conflitto, la lotta per l’autonomia e la supremazia.
Vincere o essere vinto non v’è altra alternativa. Il vincitore sarà il padrone; il vinto lo schiava l’uno eserciterà la sovranità e i «diritti di signore»; l’altro adempirà, umile e timoroso, ai «doveri di suddito»
Gli, avversari, però, non abbandonano la lotta: ciascuno rimane in agguato, spiandosi vicendevolmente la reciproca debolezza; i figli quella dei genitori; i genitori quella dei figli (la paura, per esempio); — chi non colpisce è colpito.
Dall’infanzia noi riusciamo a liberarci cercando di penetrare in fondo alle cose, o «dietro le cose»; perciò ne ricerchiamo il loro punto debole (nel che i fanciulli sono, come si sa, guidati da un istinto che non li inganna); ci divertiamo a spezzare tutto quello che ci capita sotto mano, ed è nostro grande godimento poter frugare negli angoli più recanditi e spingere i nostri sguardi e tentar di esplorare tutto quello che ci si tiene nascosto; provando in questo modo su tutto le nostre forze. E quando finalmente siamo riusciti a scoprire il segreto di una cosa, ci sentiamo sicuri di noi stessi: così, per esempio, quando siamo convinti che lo scudiscio non può più nulla contro la nostra ostinatezza, non Io temiamo più: «noi abbiamo oltrepassata l’età della sferza».
La nostra volontà ostinata, la nostra audacia, si ergono, più potenti di esse, dietro le verghe!
Piano piano riusciamo a persuaderci della nostra superiorità su tutto quello che ci sembrava inquietante: dietro la forza temuta della sferza, dietro il viso accigliato di nostro padre, dietro a tutto, insomma, noi scopriamo la nostra Atarassia; — cioè più niente ci turba, più nulla ci incute timore; noi acquistiamo la percezione del nostro potere di esistere e di vincere; noi scopriamo che nulla può contraddirci» Ciò che ci inspirava timore e rispetto, lungi dall’intimidirci, ci incoraggia; di fronte al rigido comando dei superiori e dei genitori, più ostinata si drizza la nostra volontà, più artificiosa gioca la nostra astuzia. E mano mano che apprendiamo a conoscerci, sempre più ci appare trascurabile e insignificante ciò che credevamo insormontabile. Ma che cos’è, dunque, la nostra destrezza, la nostra astuzia, il nastro coraggio, la nostra audacia, se non Spirito? Per lungo tempo siamo sottratti a una lotta che più tardi ci si imporrà incessantemente: la lotta contro la Ragione. La più bella infanzia trascorre senza che ci troviamo costretti a dover dibatterci contro la ragione.Noi non ci curiamo affatto di essa: con essa noi non abbiamo alcun rapporto; ed essa non ha alcun impero su di noi. Non si ottiene nulla da noi tentando di convincerci; sordi alle buone ragioni ed indifferenti ai migliori argomenti, siamo, al contrario, vivamente acquiescenti alle carezze ed ai castighi.
Solo più tardi incomincia l’aspro periodo di lotta contro la ragione: e con esso si apre una nuova fase della nostra vita. Fanciulli, non ci abbandonavamo a vane fantasticherie.
Lo Spirito è il primo aspetto sotto il quale si rivela a noi stessi il nostro essere intimo; è il primo nome con il quale umanizziamo il divino, cioè l’oggetto delle nostre preoccupazioni, il fantasma, la «potenza superiore». Nulla più ormai s’impone al nostro rispetto: noi siamo pieni di giovanili entusiasmi, consci della nostra forza; ed il mondo perde ai nostri occhi ogni credito, perchè noi ci sentiamo superiori ad esso: - noi ci sentiamo Spirito, Da questo momento ci accorgiamo che avevamo fin qui guardato il mondo senza vederlo; noi non l’avevamo ancora contemplato con gli occhi dello Spirito.
È sulle potenze della natura che noi misuriamo le nostre prime forze. I genitori s’impongono quali potenze naturali; più tardi, si dice: «Bisognerebbe abbandonare padre e madre perchè ogni potenza naturale fosse spezzata». E viene il giorno in cui si abbandonano e il legame si spezza. Per l’uomo che pensa, cioè per l’uomo «spirituale», la famiglia non è una potenza naturale, e deve fare astrazione dei genitori, dei fratelli, delle sorelle, ecc. Se questi «rinascono» in seguito conte potenze spirituali e razionali, queste nuove potenze non sono più quello che erano in origine.
E non è solamente il giogo dei genitori che il giovane scuote: è di ogni autorità umana che si libera. Gli uomini non formano più un ostacolo davanti al quale egli s’arresta, perchè gli si dice: «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini», il nuovo punto di vista sotto cui si mette, è il celeste; e, visto da questa altezza, tutto il «terrestre» si allontana, rimpicciolisce, si offusca e si perde avvolti in una bruma di disprezzo.
Da questo momento avviene un cambiamento radicale nell’orientamento intellettuale del giovane, essendo divenuto Spirito; mentre il fanciullo, non sentendosi ancora Spirito, era alla mercè dei libri dai quali riceveva automaticamente gli insegnamenti. Il giovane non si attiene più alle cose, ma cerca di afferrare i pensieri che queste cose racchiudono; così, per esempio, tralascierà di accumulare confusamente nella sua testa i fatti e le date storiche, per sforzarsi di penetrarne lo Spirito; il fanciullo, al contrario, se può comprendere bene l’incatenamento dei fatti, è incapace di scioglierne le idee; perciò ammucchia le conoscenze che acquista senza attenersi a priori a un metodo teorico: insomma, senza ricercare delle Idee.
Nell’infanzia si doveva sormontare la resistenza delle leggi del mondo; al presente, per qualunque cosa ci proponiamo di fare, urtiamo contro a qualche obbiezione dello spirito, della ragione, della coscienza. «Ciò non è ragionevole; non è cristiano; non è patriottico!» ci grida la coscienza; e noi ci asteniamo dal fare quella data cosa Quello che noi temiamo non è nè la potenza vendicatrice delle Eumenidí, nè la collera di Poseidone, nè il Dio che tutto vede, nè il castigo paterno: noi temiamo la Coscienza...
Ormai siamo «i servitori dei nostri pensieri»; noi obbediamo ai loro ordini come altre volte obbedivamo a quelli dei genitori o degli uomini. Sono esse (idee, rappresentazioni, credenze) che sostituiscono le ingiunzioni paterne e che governano la nostra vita.
Non pertanto anche da fanciulli, noi pensavamo di già: ma i nostri pensieri non erano incorporei, astratti, assoluti; essi non erano altro che dei pensieri; (un cielo per sè stesso; un puro mondo di pensieri); non erano insomma dei pensieri logici.
Non avevamo, al contrario, altri pensieri all’infuori di quelli che ci ispiravano gli avvenimenti o le cose; noi giudicavamo che una data cosa fosse di tale o tal’altra natura. E pensavamo pure che «Dio ha creato questa mondo che noi vediamo»; ma il nostro pensiero non andava più lontano; non «scrutavamo» «le profondità della stessa Divinità». Dicevamo: «Questo è vero; questa è la verità»; senza ricercare il Vero in sè, la Verità in sè, senza domandarcí se»Dio è la Verità». Poco ci importavano» le profondità della Divinità, la quale è la Verità». Pilato non si ferma a delle domande di pura logica o, in altri termini, di pura teologia) come: «Che cos’è la Verità?»; tuttavia, presentandosí l’occasione, non esiterà a distinguere «quello che è vero da quello che è falsi di una data cosa»; cioè, se tale cosa determinata è vera.
Ogni pensiero inseparabile da una cosa non è ancora un pensiero per se stesso, un pensiero assoluto.
Per il giovane non v’è più vivo godimento che scoprire e far suo il pensiero puro la Verità, la Libertà, la Umanità, l’Uomo, tutti questi astri luminosi che rischiarano il mondo dei pensieri, illuminano ed esaltano l’anima giovanile.
Ma una volta che lo Spirito è riconosciuto come la cosa essenziale, si rileva una differenza: lo spirito può essere ricco o povero; per conseguenza non trascuriamo nessun mezzo per diventare ricchi di spirito. Lo spirito vuole estendersi, vuole fondare un suo proprio regno; un regno che non è di questo mondo, ma lo sorpassa: perciò egli aspira a riassumere e concretare in su ogni spiritualità. Dunque, benchè io sia spirito, non sono ancora spirito perfetto, e debbo accingermi a ricercare questo spirito per letto. Ed ecco che non appena ho ritrovato me stesso, riconoscendomi quale spirito, mi smarrisco di nuovo, e subito, conscio della mia pochezza, mi sento umiliato davanti allo spirito perfetto, riconoscendo che egli non è in me, ma fuori di me, al di là di me.
Tutto dipende dallo Spirito: ma qual’è lo spirito «buono»? Lo spirito buono e vero è l’ideale dello spirito: «Spirito Santo». Esso non è nè il mio, nè il tuo: è una spirito ideale, superiore: è «Dio», «Dio è lo Spirito». E «Dio che è nei cieli concede lo spirito perfetto a coloro che glielo domandano», (Luca, 11, 13).
L’uomo adulto differisce dal giovane per ciò che egli prende il mondo come è, senza vedere da per tutto degli errori da correggere, dei mali da guarire, e senza pretendere di foggiarlo secondo il suo ideale. In lui si fortifica l’opinione che si deve agire verso il mondo a seconda del proprio interesse, e non secondo il proprio ideale.
Fino a tanto che l’uomo non vede in se stesso che lo Spirito, e basa ogni suo merito nell’essere spirito (poco; importa al giovane di arrischiare la sua vita, la vita «materiale» per un nonnulla, per la più insignificante offesa al suo amor proprio) avrà sempre dei pensieri, delle idee che spera di poter un giorno realizzare, allorquando avrà trovato la sua via, uno sbocco alla sua attività; questi pensieri, queste idee che l'uomo possiede rimangono provvisoriamente inadempiuti, irrealizzati: non si ha che un Ideale.
Ma appena ci metteremo ad amare il nostro «corpo» ciò avviene ordinariamente nell’età matura - e a provare piacere nell’essere quello che si è, a vivere la propria vita, cessiamo di inseguire l’ideale per attenerci ad un interesse personale — egoista — ; ad un interesse che non si limita più alla soddisfazione del solo spirito; ma si estende ed abbraccia tutto l’individuo: l’interesse diventa allora veramente interessato. Confrontate l’uomo maturo col giovane: quello vi sembrerà più aspro, più egoista, meno generoso: senza dubbio. E forse per questo più cattivo? No, non è vero? Egli è semplicemente diventato più positivo; o, come più comunemente si dice, più «pratico». E ciò avviene perchè l’uomo maturo, man mano, e sempre più risolutamente, è andato facendo di se stesso il centro di tutto; mentre il giovane, facile all’entusiasmo, è distolto dalla riflessione da altri pretesti — Dio, la Patria, ecc. — che non lo riguardano. Da questo momento l’uomo ritrova se stesso una seconda volta. Il giovane aveva trovato la sua «spiritualità» e si era di nuovo smarrito nella ricerca dello Spirito universale e perfetto dello Spirito Santo, dell’Uomo, dell’Umanità, di tutti gli Ideali, insomma. L’uomo adulto si riprende e ritrova il suo spirito incarnato in se stesso, fatto carne, e divenuto qualcuno.
Il fanciullo non mette nei suoi desideri nè idee nè pensieri; il giovane non conosce che interessi spirituali; invece gli interessi dell’uomo sono materiali, personali ed egoistici. Allorchè il fanciullo non ha qualche oggetto con cui possa trastullarsi, si annoia, perchè non sa ancora occuparsi di se stesso. Al contrario, il giovane si stanca presto degli oggetti, perché da questi oggetti nascono per lui dei pensieri; ed egli si dedica innanzi tutto ai suoi pensieri e ai suoi sogni, che l’occupano spiritualmente: «il suo spirito è occupato».
Il giovane non attribuisce alcun valore a tutto quello che non è spirituale, e considera tutte le altre cose come cose «futili». Se gli avviene di prendere sul serio i più insignificanti nonnulla (per esempio, le cerimonie della vita universitaria e le altre formalità in uso tra studenti), è perchè vi ha scoperto lo Spirito, cioè perchè in esse gli si sono rivelati dei simboli.
Io mi sono ritrovato dietro alle cose e mi sono scoperto Spirito; più tardi mi ritrovo dietro ai pensieri e mi scopro loro creatore e loro possessore. All’età delle visioni i miei pensieri facevano ombra al mio cervello come l’albero al suolo che lo nutre: essi aleggiavano attorno a me quali incubi febbrili e con la loro terribile potenza mi turbavano. I pensieri stessi avevano assunto forme corporee, e questi fantasmi io li vedevo: essi si chiamavano Dio, Imperatore, Papa, Patria, ecc., ecc. Oggi distruggo queste incarnazioni menzognere, rientro in possesso dei miei pensieri e dico: Io solo ho un corpo e sono qualcuno. Io considero il mondo per quello che rappresenta per me: esso è il mio mondo: è mia proprietà: tutto riferisco a me stesso. Príma ero spirito e il mondo era ai miei occhi degno solamente del mio disprezzo: oggi sono lo; sono prietario, e respingo nel nulla questi spiriti e queste idee di cui ho misurata la vanità. Essi non hanno più alcun potere su di me, come nessuna «potenza della terra» può averne sullo Spirito.
Il fanciullo era realista, occupato delle cose di questo mondo fino a che gli venne dato di penetrare la loro essenza occulta; il giovane è idealista, entusiasta dei suoi pensieri, fino al giorno in cui diventa uomo fatto: — uomo egoista, che pone al disopra delle cose e delle idee la sua gioia, il suo interesse personale. E il vecchio?... Allorchè avrò raggiunto questo gradino e sarò divenuto tale, avrò tempo di parlarne.