Trovavasi in questi tempi a Bologna Giannozzo da Salerno, capitano di Carlo di Durazzo, disceso de’ Reali di Napoli, il quale, disegnando fare la impresa del Regno contro alla reina Giovanna, teneva questo suo capitano in quella città, per i favori che da papa Urbano, nimico della Reina, gli erano fatti. Trovavansi a Bologna ancora molti fuori usciti fiorentini, i quali seco e con Carlo strette pratiche tenevano; il che era cagione che in Firenze per quelli che reggevano con grandissimo sospetto si vivesse, e che si prestasse facilmente fede alle calunnie di quelli cittadini che erano sospetti. Fu rivelato per tanto, in tale suspensione di animi, al magistrato, come Giannozzo da Salerno doveva a Firenze con i fuori usciti rappresentarsi e molti di dentro prendere l’armi e dargli la città. Sopra questa relazione furono accusati molti; i primi de’ quali Piero degli Albizzi e Carlo Strozzi furono nominati, e apresso a questi, Cipriano Mangioni, messer Iacopo Sacchetti, messer Donato Barbadori, Filippo Strozzi e Giovanni Anselmi; i quali tutti, eccetto Carlo Strozzi che si fuggì, furono presi; e i Signori, acciò che niuno ardisse prendere l’armi in loro favore, messer Tommaso Strozzi e messer Benedetto Alberti con assai gente armata a guardia della città deputorono. Questi cittadini presi furono esaminati, e secondo l’accusa e i riscontri, alcuna colpa in loro non si trovava; di modo che, non li volendo il Capitano condannare, gli inimici loro in tanto il popolo sollevorono, e con tanta rabbia lo commossono loro contro, che per forza furono giudicati a morte. Né a Piero degli Albizzi giovò la grandezza della casa, né la antica riputazione sua, per essere stato più tempo sopra ogni altro cittadino onorato e temuto: donde che alcuno, o vero suo amico, per farlo più umano in tanta sua grandezza, o vero suo nimico, per minacciarlo con la volubilità della fortuna, faccendo egli uno convito a molti cittadini, gli mandò uno nappo d’ariento pieno di confetti, e tra quelli nascosto un chiodo; il quale scoperto e veduto da tutti i convivanti, fu interpetrato che gli era ricordato conficcasse la ruota, perché, avendolo la Fortuna condotto nel colmo di quella, non poteva essere che, se la seguitava di fare il cerchio suo, che la non lo traesse in fondo: la quale interpetrazione fu, prima dalla sua rovina, di poi dalla sua morte verificata. Dopo questa esecuzione rimase la città piena di confusione, perché i vinti e i vincitori temevono; ma più maligni effetti da il timore di quelli che governavano nascevano, perché ogni minimo accidente faceva loro fare alla Parte nuove ingiurie, o condannando, o ammunendo, o mandando in esilio i loro cittadini; a che si aggiugnevano nuove leggi e nuovi ordini, i quali spesso in fortificazione dello stato si facevono. Le quali tutte cose seguivono con ingiuria di quelli che erano sospetti alla fazione loro; e per ciò creorono quarantasei uomini, i quali insieme con i Signori, la republica di sospetti allo stato purgassero. Costoro ammunirono trentanove cittadini, e feciono assai popolani Grandi, e assai Grandi popolani; e per potere alle forze di fuora opporsi, messer Giovanni Aguto, di nazione inghilese e reputatissimo nelle armi, soldorono, il quale aveva per il papa e per altri in Italia più tempo militato. Il sospetto di fuora nasceva da intendersi come più compagnie di gente d’arme da Carlo di Durazzo per fare l’impresa del Regno si ordinavano, con il quale era fama essere molti fuori usciti fiorentini. Ai quali pericoli, oltre alle forze ordinate, con somma di danari si provide; perché, arrivato Carlo in Arezzo, ebbe dai Fiorentini quarantamila ducati, e promisse non molestargli; seguì di poi la sua impresa, e felicemente occupò il regno di Napoli, e la reina Giovanna ne mandò presa in Ungheria. La quale vittoria di nuovo il sospetto a quelli che in Firenze tenevono lo stato accrebbe, perché non potevono credere che i loro danari più nello animo del Re potessero, che quella antica amicizia la quale aveva quella casa con i Guelfi tenuta, i quali con tanta ingiuria erano da loro oppressi.