Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 17

Libro terzo

Capitolo 17

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Parve alla plebe che Michele, nel riformare lo stato, fusse stato a’ maggiori popolani troppo partigiano; né pareva avere loro tanta parte nel governo quanta, a mantenersi in quello e potersi difendere, fusse di avere necessario; tanto che, dalla loro solita audacia spinti, ripresono le armi, e tumultuando, sotto le loro insegne, in Piazza ne vennono; e che i Signori in ringhiera per deliberare nuove cose a proposito della securtà e bene loro scendessero domandavano. Michele, veduta la arroganza loro, per non gli fare più sdegnare, senza intendere altrimenti quello che volessero, biasimò il modo che nel domandare tenevano, e gli confortò a posare le armi, e che allora sarebbe loro conceduto quello che per forza non si poteva con dignità della Signoria concedere. Per la qual cosa la moltitudine, sdegnata contro al Palagio, a Santa Maria Novella si ridusse; dove ordinorono infra loro otto capi, con ministri e altri ordini che dettono loro e reputazione e reverenzia: tale che la città aveva duoi seggi ed era da duoi diversi principi governata. Questi capi infra loro deliberorono che sempre otto, eletti dai corpi delle loro Arti, avessero con i Signori in Palagio ad abitare, e tutto quello che dalla Signoria si deliberasse dovesse essere da loro confermato; tolsono a messer Salvestro de’ Medici e a Michele di Lando tutto quello che nelle altre loro deliberazioni era stato loro concesso, assegnorono a molti di loro ufici e suvvenzioni, per potere il loro grado con dignità mantenere. Ferme queste deliberazioni, per farle valide, mandorono duoi di loro alla Signoria, a domandare che le fussero loro per i Consigli conferme, con propositi di volerle per forza, quando d’accordo non le potessero ottenere. Costoro, con grande audacia e maggiore prosunzione, a’ Signori la loro commissione esposono; e al Gonfaloniere la dignità ch’eglino gli avieno data, e l’onore fattogli, e con quanta ingratitudine e pochi rispetti si era con loro governato, rimproverorono. E venendo poi, nel fine, dalle parole alle minacce, non potette sopportare Michele tanta arroganzia, e ricordandosi più del grado che teneva che della infima condizione sua, gli parve da frenare con estraordinario modo una estraordinaria insolenza; e tratta l’arme che gli aveva cinta, prima gli ferì gravemente di poi gli fece legare e rinchiudere. Questa cosa, come fu nota, accese tutta la moltitudine d’ira; e credendo potere, armata, conseguire quello che disarmata non aveva ottenuto, prese con furore e tumulto le armi, e si mosse per ire a sforzare i Signori. Michele, dall’altra parte, dubitando di quello avvenne, deliberò di prevenire, pensando che fusse più sua gloria assalire altri che dentro alle mura aspettare il nimico, e avere, come i suoi antecessori, con disonore del Palagio e sua vergogna, a fuggirsi. Ragunato adunque gran numero di cittadini, i quali già si erano cominciati a ravvedere dello errore loro, salì a cavallo e, seguitato da molti armati, n’andò a Santa Maria Novella per combattergli. La plebe, che aveva, come di sopra dicemmo, fatta la medesima deliberazione, quasi in quel tempo che Michele si mosse partì ancora ella per ire in Piazza; e il caso fece che ciascuno fece diverso cammino, tale che per la via non si scontrorono. Donde che Michele, tornato indietro, trovò che la Piazza era presa e che il Palagio si combatteva; e appiccata con loro la zuffa, gli vinse; e parte ne cacciò della città, parte ne constrinse a lasciare l’armi e nascondersi. Ottenuta la impresa, si posorono i tumulti, solo per la virtù del Gonfaloniere. Il quale d’animo, di prudenza e di bontà superò in quel tempo qualunque cittadino, e merita di essere annoverato intra i pochi che abbino benificata la patria loro: perché, se in esso fusse stato animo o maligno o ambizioso, la republica al tutto perdeva la sua libertà, e in maggiore tirannide che quella del Duca di Atene perveniva; ma la bontà sua non gli lasciò mai venire pensiero nello animo che fusse al bene universale contrario, la prudenza sua gli fece condurre le cose in modo che molti della parte sua gli cederono e quelli altri potette con le armi domare. Le quali cose feciono la plebe sbigottire, e i migliori artefici ravvedere e pensare quanta ignominia era, a coloro che avevano doma la superbia de’ Grandi, il puzzo della plebe sopportare.