Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 7

Libro settimo

Capitolo 7

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In questi tempi, che Firenze e Italia nelle dette condizioni si trovava, Luigi re di Francia era da gravissima guerra assalito, la quale gli avieno i suoi baroni, con lo aiuto di Francesco duca di Brettagna e di Carlo duca di Borgogna, mossa; la quale fu di tanto momento che non potette pensare di favorire il duca Giovanni d’Angiò nelle imprese di Genova e del Regno; anzi, giudicando di avere bisogno degli aiuti di ciascuno, sendo restata la città di Savona in potestà de’ Franciosi, insignorì di quella Francesco duca di Milano, e gli fece intendere che, se voleva, con sua grazia poteva fare la impresa di Genova. La qual cosa fu da Francesco accettata; e con la reputazione che gli dette l’amicizia del Re, e con li favori che gli ferono gli Adorni, s’insignorì di Genova; e per non mostrarsi ingrato verso il Re de’ beneficii ricevuti, mandò al soccorso suo, in Francia, millecinquecento cavagli, capitaneati da Galeazzo suo primogenito. Restati per tanto Ferrando di Aragona e Francesco Sforza, l’uno duca di Lombardia e principe di Genova, l’altro re di tutto il regno di Napoli, e avendo insieme contratto parentado, pensavano come e’ potessero in modo fermare gli stati loro, che vivendo li potessero securamente godere e morendo agli loro eredi liberamente lasciare. E per ciò giudicorono che fusse necessario che il Re si assicurasse di quelli baroni che lo aveno nella guerra di Giovanni d’Angiò offeso, e il Duca operasse di spegnere le armi braccesche al sangue suo naturali nimiche, le quali sotto Iacopo Piccinino in grandissima reputazione erano salite, perché egli era rimaso il primo capitano di Italia, e non avendo stato, qualunque era in stato doveva temerlo, e massimamente il Duca, il quale, mosso da lo esemplo suo, non gli pareva potere tenere quello stato, né securo a’ figliuoli lasciarlo, vivente Iacopo. Il Re per tanto con ogni industria cercò lo accordo con i suoi baroni, e usò ogni arte in assicurarli, il che gli succedette felicemente, perché quelli principi, rimanendo in guerra con il Re, vedevono la loro rovina manifesta, e facendo accordo e di lui fidandosi, ne stavano dubi. E perché gli uomini fuggono sempre più volentieri quel male che è certo, ne seguita che i principi possono i minori potenti facilmente ingannare: credettono quelli principi alla pace del Re, veggendo i pericoli manifesti nella guerra, e rimessisi nelle braccia di quello, furono di poi da lui in varii modi e sotto varie cagioni spenti. La qual cosa sbigottì Iacopo Piccinino, il quale con le sue genti si trovava a Solmona; e per torre occasione al Re di opprimerlo, tenne pratica con il duca Francesco, per mezzo de’ suoi amici, di riconciliarsi con quello; e avendogli il Duca fatte quante offerte potette maggiori, deliberò Iacopo rimettersi nelle braccia sua, e lo andò, accompagnato da cento cavagli, a trovare a Milano.