Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 30

Libro settimo

Capitolo 30

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Seguito questo primo insulto, deliberorono, prima che ogni cosa, mandare oratori a Firenze; i quali feciono intendere a quelli Signori che, se volevono conservare loro i capituli antichi, che ancora eglino la città nella antica sua servitù conserverebbono. Fu assai disputata la risposta. Messer Tommaso Soderini consigliava che fusse da ricevere i Volterrani in qualunque modo e’ volessero ritornare, non gli parendo tempi da suscitare una fiamma sì propinqua, che potesse ardere la casa nostra, perché temeva la natura del Papa, la potenza del Re, né confidava nella amicizia de’ Viniziani, né in quella del Duca, per non sapere quanta fede si fusse nell’una e quanta virtù nell’altra, ricordando quella trita sentenza: essere meglio uno magro accordo che una grassa vittoria. Dall’altra parte Lorenzo de’ Medici, parendogli avere occasione di dimostrare quanto con il consiglio e con la prudenza valesse, sendo massime di così fare confortato da quegli che alla autorità di messer Tommaso avevono invidia, deliberò fare la impresa, e con l’armi punire l’arroganza de’ Volterrani; affermando che, se quelli non fussero con esemplo memorabile corretti, gli altri sanza reverenzia o timore alcuno, di fare il medesimo per ogni leggera cagione non dubiterebbono. Deliberata adunque la impresa, fu risposto a’ Volterrani come eglino non potevano domandare la osservanza di quegli capitoli che loro medesimi avevano guasti, e per ciò, o e’ si rimettessero nell’arbitrio di quella Signoria, o eglino aspettassero la guerra. Ritornati adunque i Volterrani con questa risposta, si preparavano alle difese, affortificando la terra e mandando a tutti i principi italiani per convocare aiuti, e furono da pochi uditi, perché solamente i Sanesi e il signore di Piombino dettono loro alcuna speranza di soccorso. I Fiorentini dall’altra parte pensando che la importanza della vittoria loro fusse nello accelerare, messono insieme dieci mila fanti e due mila cavagli, i quali, sotto lo imperio di Federigo signore d’Urbino, si presentorono nel contado di Volterra, e facilmente quello tutto occuporono. Messono di poi il campo alla città, la quale, sendo posta in luogo alto e quasi da ogni parte tagliato, non si poteva, se non da quella banda dove è il tempio di Santo Alessandro, combattere. Avevano i Volterrani per loro difesa condotti circa mille soldati; i quali, veggendo la gagliarda espugnazione che i Fiorentini facevono, diffidandosi di poterla difendere, erano nelle difese lenti e nelle ingiurie che ogni dì facevono a’ Volterrani prontissimi. Dunque quegli poveri cittadini, e fuori dai nimici erano combattuti, e dentro dagli amici oppressi; tanto che, desperati della salute loro, cominciorono a pensare all’accordo, e non lo trovando migliore, nelle braccia de’ commissari si rimissono. I quali si feciono aprire le porti, e intromesso la maggior parte dello esercito, se ne andorono al Palagio dove i Priori loro erano; a’ quali comandorono se ne tornassero alle loro case; e nel cammino fu uno di quegli, da uno de’ soldati, per dispregio, spogliato. Da questo principio, come gli uomini sono più pronti al male che al bene, nacque la destruzione e il sacco di quella città; la quale per tutto un giorno fu rubata e scorsa; né a donne né a luoghi pii si perdonò; e i soldati, così quegli che l’avevano male difesa, come quegli che l’avevano combattuta, delle sue sustanze la spogliarono. Fu la novella di questa vittoria con grandissima allegrezza da’ Fiorentini ricevuta; e perché la era stata tutta impresa di Lorenzo, ne salì quello in reputazione grandissima. Onde che uno dei suoi più intimi amici rimproverò a messer Tommaso Soderini il consiglio suo, dicendogli: - Che dite voi, ora che Volterra si è acquistata? - a cui messer Tommaso rispose: - A me pare ella perduta: perché, se voi la ricevevi d’accordo, voi ne traevi utile e securtà, ma avendola a tenere per forza, ne’ tempi avversi vi porterà debolezza e noia, e ne’ pacifici danno e spesa.