In questi tempi il Papa, cupido di tenere le terre della Chiesa nella obbedienza loro, aveva fatto saccheggiare Spuleto, che si era, mediante le intrinseche fazioni, ribellato; di poi, perché Città di Castello era nella medesima contumacia, l’aveva obsediata. Era in quella terra principe Niccolò Vitelli: teneva costui grande amicizia con Lorenzo de’ Medici; donde che da quello non gli fu mancato di aiuti, i quali non furono tanti che defendessero Niccolò, ma furono ben suffizienti a gittare i primi semi della nimicizia intra Sisto e i Medici; i quali poco di poi produssono malissimi frutti. Né arebbono differito molto a dimostrarsi, se la morte di frate Piero, cardinale di Santo Sisto, non fusse seguita; perché, avendo questo cardinale circuito Italia, e ito a Vinegia e Milano, sotto colore di onorare le nozze di Ercule marchese di Ferrara, andava tentando gli animi di quelli principi, per vedere come inverso i Fiorentini gli trovava disposti. Ma ritornato a Roma si morì, non sanza suspizione di essere stato da’ Viniziani avvelenato, come quelli che temevano della potenza di Sisto, quando si fusse potuto dell’animo e dell’opera di frate Piero valere: perché, non ostante che fusse dalla natura di vile sangue creato, e di poi intra i termini d’uno convento vilmente nutrito, come prima al cardinalato pervenne, apparse in lui tanta superbia e tanta ambizione che, non che il cardinalato, ma il pontificato non lo capeva; perché non dubitò di celebrare uno convito in Roma, che a qualunque re sarebbe stato giudicato estraordinario; dove meglio che ventimila fiorini consumò. Privato adunque Sisto di questo ministro, seguitò i disegni suoi con più lentezza. Non di meno, avendo i Fiorentini, Duca e Viniziani rinnovato la lega, e lasciato il luogo al Papa e al Re per entrare in quella, Sisto ancora e il Re si collegorono, lasciando luogo agli altri principi di potervi entrare. E già si vedeva l’Italia divisa in due fazioni, perché ciascuno dì nascevano cose che infra queste due leghe generavono odio; come avvenne dell’isola di Cipri, alla quale il re Ferrando aspirava, e i Viniziani la occuporono; onde che il Papa e il Re si venivano a ristringere più insieme. Era in Italia allora tenuto nelle arme eccellentissimo Federigo principe di Urbino, il quale molto tempo aveva per il popolo fiorentino militato. Deliberorono per tanto il Re e il Papa, acciò che la lega nimica mancasse di questo capo, guadagnarsi Federigo; e il Papa lo consigliò, e il Re lo pregò andasse a trovarlo a Napoli. Ubbidì Federigo, con ammirazione e dispiacere de’ Fiorentini, i quali credevano che a lui come a Iacopo Piccinino intervenisse. Non di meno ne avvenne il contrario: perché Federigo tornò da Napoli e da Roma onoratissimo, e di quella loro lega capitano. Non mancavano ancora il Re e il Papa di tentare gli animi de’ signori di Romagna e de’ Sanesi per farsegli amici e per potere, mediante quegli, più offendere i Fiorentini. Della qual cosa accorgendosi quegli, con ogni rimedio opportuno contro alla ambizione loro si armavano; e avendo perduto Federigo da Urbino, soldorono Ruberto da Rimino; rinnovorono la lega con i Perugini, e con il signore di Faenza si collegorono. Allegavano il Papa e il Re la cagione dello odio contro a’ Fiorentini essere che desideravano da’ Viniziani si scompagnassero e conlegassinsi con loro; perché il Papa non giudicava che la Chiesa potesse mantenere la reputazione sua, né il conte Girolamo gli stati di Romagna, sendo i Fiorentini e Viniziani uniti. Dall’altra parte i Fiorentini dubitavano che volessero inimicargli con i Viniziani, non per farseli amici, ma per potere più facilmente ingiuriargli: tanto che in questi sospetti e diversità d’umori si visse in Italia duoi anni prima che alcuno tumulto nascesse. Ma il primo che nacque fu, ancora che piccolo, in Toscana.