Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 21

Libro settimo

Capitolo 21

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Seguita la pace, quelli cittadini che erano rimasi in Firenze superiori non parendo loro avere vinto, se con ogni ingiuria, non solamente i nimici, ma i sospetti alla parte loro non affliggevano, operorono con Bardo Altoviti, che sedeva gonfaloniere di giustizia, che di nuovo a molti cittadini togliessi gli onori, a molti altri la città. La qual cosa crebbe a loro potenza, e agli altri spavento; la qual potenza sanza alcuno rispetto esercitavano, e in modo si governavano, che pareva che Iddio e la fortuna avesse dato loro quella città in preda. Delle quali cose Piero poche ne intendeva, e a quelle poche non poteva, per essere dalla infirmità oppresso, rimediare; perché era in modo contratto, che d’altro che della lingua non si poteva valere. Né ci poteva fare altri rimedi che ammunirli e pregarli dovessero civilmente vivere e godersi la loro patria salva più tosto che destrutta. E per rallegrare la città, deliberò di celebrare magnificamente le nozze di Lorenzo suo figliuolo, con il quale la Clarice nata di casa Orsina aveva congiunta; le quali nozze furono fatte con quella pompa di apparati e di ogni altra magnificenza che a tanto uomo si richiedeva; dove più giorni in nuovi ordini di balli, di conviti e di antiche rapresentazioni si consumorono. Alle quali cose si aggiunse, per mostrare più la grandezza della casa de’ Medici e dello stato, duoi spettaculi militari: l’uno fatto dagli uomini a cavallo, dove una campale zuffa si rapresentò; l’altro una espugnazione di una terra dimostrò; le quali cose con quello ordine furono fatte e con quella virtù esequite, che si potette maggiore.